Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub Il barone di Nicastro di Ippolito Nievo.

Il testo, un racconto “filosofico” dal tono ironico-satirico, narra le avventure del nobile erudito Camillo di Nicastro, che dopo aver dedicato buona parte della sua vita allo studio, decide di partire per un lungo (tragicomico) viaggio intorno al mondo, nel tentativo (vano) di dimostrare l’esistenza della virtù.

Dall’edizione del 1860.
Contiene le novelle “Il barone di Nicastro“, “La pazza del Segrino” e “La corsa di prova“.

Dall’incipit del libro:

"Il barone di Nicastro" di Ippolito NievoPer l’appunto allora nella più selvatica Giudicaria dell’isola viveva il barone Camillo di Nicastro; viveva, in barba ai dolcissimi tempi, tutt’ altro che beato. Il suo castello per la qualità del paese era grande e magnifico; le torricelle non gli pencolavano addosso con troppo amore, nè i colombi temevano di posare sulle grondaie; la scala aveva quasi tutti i suoi gradini, e due sole finestre perdevano le imposte; del resto tutti i boschi, tutte le montagne, tutti i seminati che si scoprivano dal più alto abbaino ingrassavano la Baronia di Nicastro, e gli avi remoti o per avarizia o per orgoglio, o per accidia aveano legato al loro ultimo rampollo un cassone pieno raso di belle monete; di quelle gialle che non patiscono ruggine o vecchiaia.

Finalmente l’albero, o meglio la selva genealogica, che copriva dei suoi rami a spalliera tutte le pareti della sala, faceva malleveria dei sessantaquattro quarti di questo prezioso rampollo; il che voleva dire, che circa duecento anni addietro, sessantaquattro parrucconi d’ambo i sessi erano abbassati a una certa funzione plebea per condensare le loro esimie virtù in trentadue figli o figliuole, e questi in sedici nipoti, e questi in otto pronipoti, e questi in quattro tra figli e figliuole di pronipoti, e questi in due nipoti di pronipoti, e questi da ultimo nel pronipote dei pronipoti, cioè nel Barone Camillo; il quale raccoglieva in sè lo stillicidio vitale di centoventisei tra Baroni e Baronesse, se non isbaglio; ma fate voi la prova della somma, poichè la parte aritmetica dell’anima mia risiede nelle dita, e non me ne fido gran fatto. Contuttociò, lo ripeto, il Barone non era felice, e gli stessi antenati, che per fabbricarlo squisitamente aveano speso tanti sudori, erano la cagione de’ suoi sospiri.

Figuratevi che lo stemma dei Nicastro era una bilancia in campo rosso col motto cabalistico: Pensare e pesare: alle quali parole uno stregone d’un trisarcavolo aveva accomodato un suo giudizio, che nessuno della famiglia potesse immischiarsi mai nelle cose degli uomini prima di averne cercato e conosciuto il valore. E tutti di padre in figlio avevano obbedito rigida mente alla sentenza gentilizia; sicchè tutti erano morti nel loro nicchio proprio mentre si credevano vicini a toccare le ardue sommità di quella scienza. Non saprei dir pel sottile a quali conclusioni fosse giunto ognuno degli antenati del nostro Barone, quando la morte veniva a conchiudere le loro conclusioni; soltanto posso affermare, che il bisavolo parteggiava per Democrito, e rideva di cuore quando capitò il becchino ad annunziargli l’ora della partenza: che l’avo invece s’attenne ad Eraclito vivendo per modo che dopo morto parve meno lunatico di prima, e che il padre s’accommiatò da questo mondo recitando il Rosario con pace serena. Ma già da qualche tempo il devoto infermo e il vecchio pedagogo erano iti ai cavoli, allorchè il Barone Camillo, orfano di padre e di madre a quindici anni, si chiuse nella Biblioteca di famiglia a rifar l’opera de’ suoi predecessori.

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