Grazie a Giovanni Mennella la scheda del Viaggio Settentrionale di Francesco Negri (1623-1698) è arricchita da nuove note.
Pubblicato postumo nel 1700 è considerato dalla critica il più significativo libro italiano di argomento odeporico apparso fra il XVII e il XVIII secolo.Giunto a Danzica nel giugno del 1663, il suo autore (prete secolare ravennate, di aristocratica famiglia e col gusto dell’avventura) proseguì per Stoccolma attraverso il Baltico, risalì le coste svedesi insinuandosi nel golfo di Botnia, e continuò via terra fino a Tornio e poi nell’area di Kiruna in Lapponia; non riuscì però ad arrivare alla meta, e tornò allora a Stoccolma, dove stette un anno; sceso quindi a Copenhagen, e reimbarcatosi a Helsingør nell’ottobre del 1665, da Bergen riprese il viaggio dapprima per mare lungo le coste norvegesi, e poi per terra attraverso la regione di Finnmark, toccando infine l’agognato Capo Nord sugli sci: fu il primo viaggiatore italiano a raggiungere questo estremo lembo d’Europa. L’esplorazione gli diede un’ampia notorietà, ma ancora maggiore sarebbe stata quella del suo libro, che sullo sfondo di una ammirata simpatia per il popolo lappone offriva alla lettura una varietà di temi e argomenti del tutto nuovi su una terra fino ad allora rimasta ai margini degli itinerari di viaggio, anche perché si riteneva popolata da mostruose presenze.
L’opera consta di otto lettere dirette a vari destinatari: la prima è dedicata alla Lapponia e si sofferma sugli usi e costumi del suo popolo; la seconda riguarda la Svezia e i suoi abitanti, e illustra la cerimonia inaugurale della Dieta degli Stati generali; la terza si sofferma sulla caccia alla foca; la quarta, sempre sulla Svezia, descrive alcune sconosciute manifestazioni naturali; sulla parte meridionale della Norvegia si appuntano invece le due lettere successive, che si intrattengono sulle usanze dei mercanti tedeschi di Bergen e su certe curiosità marine; la settima, ancora sulla stessa nazione, concerne le isole Lofoten e il fenomeno del maelström; l’ultima contiene il resoconto del viaggio in Finnmark fino al Capo Nord e informa sulla caccia alla balena.
Vissuto quando ormai la cultura seicentesca cominciava a soccombere alle nuove istanze razionalistiche, il Negri poté dimostrare l’erroneità di molte credenze suscitate da terre ancora misteriose e spaventevoli; ma, pur sempre figlio del suo tempo, continuò ad accreditare l’autorità delle fonti classiche o, in loro mancanza, le dichiarazioni di testimoni reputati attendibili per validare la verosimiglianza di quei fenomeni che esulavano dalle proprie risorse cognitive, e ritenne veritiere non poche dicerie bizzarre o assurde. Sul piano narrativo prese forma, così, un’affabulazione sospesa tra il vero e il fantastico, che nelle sue alternanze non infastidiva, ma tanto più intrigava il lettore, ora coinvolgendolo nei rischi di inaudite avventure marine, ora catturandolo nell’arcano di taluni spettacoli naturali, e ora proponendogli aspetti inediti di vita quotidiana. Da parte sua, l’insolita e suggestiva ambientazione nordica contribuiva a conferire alla sostanza del racconto un valore aggiunto di singolare efficacia, che metteva a contatto con popoli che la letteratura romantica avrebbe riscoperto quasi due secoli dopo.
Sinossi a cura di Giovanni Mennella
Dall’incipit del libro:
A chi abbia fatte ricerche un po’ estese nel campo della nostra letteratura, non sarà certo sfuggito di osservare com’essa sia abbastanza ricca, quasi in ogni secolo, di descrizioni di viaggi, compiuti da Italiani, vuoi nelle varie parti dell’Europa, vuoi nelle regioni più lontane e più inesplorate del nuovo e del vecchio mondo. Ma pur troppo del maggior numero di questi scritti odeporici, come de’ loro autori, non fu tenuto gran conto nel passato da’ nostri scrittori di storia letteraria, e per molto tempo neanche dai nostri scenziati e da’ nostri geografi; e da questo derivò l’opinione, che anche oggi può dirsi comune, che l’Italia rimanga in questa parte di letteratura molto indietro alle altre nazioni europee, [IV] con le quali potrebbe invece giustamente competere, ove fossero meglio conosciute e apprezzate tutte le opere de’ nostri viaggiatori e navigatori dal secolo XIII al XIX. La fama stessa de’ più grandi, come il Polo, il Colombo, gli Zeno, il Vespucci ed altri tali, ha contribuito, se non vado errato, a far dimenticare per lungo tempo i minori; e la dimenticanza non poteva esser più ingiusta, se si considera che tra questi noi annoveriamo scrittori, dei quali soli altre nazioni sarebbero pure andate superbe. Ma forse non meno vi ha contribuito il falso concetto, che in gran parte predominò fino a’ giorni nostri nella storia letteraria, quello cioè di prendere a valutare il merito degli scrittori, specie di cose narrative e descrittive, come di scentifiche, più particolarmente in riguardo del merito attribuito a ciascuno di essi nel fatto della lingua e dello stile.
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