Pubblicata nel 1922, questa raccolta di novelle è una delle prime manifestazioni di interesse in Italia per la letteratura cinese. Va sottolineato come fosse estremamente difficile per gli studiosi occidentali cimentarsi con traduzioni dal cinese.

Fino al 1917 – anno in cui il Manifesto di Hu Shih diede inizio alla “rivoluzione letteraria” che iniziò gradatamente l’abbandono della lingua storicamente adottata in letteratura, la lingua letteraria appunto, per adottare il “volgare” (pai-hua) che, nonostante le feroci polemiche, fu introdotto in ogni scuola – la letteratura cinese si esprimeva in una lingua che aveva poco collegamento con la lingua parlata ed era compresa solo da una élite di eruditi. Facevano eccezione alcuni testi teatrali e qualche romanzo.

Gli occidentali elaborarono vari sistemi per la trascrizione degli ideogrammi; in Italia e nei paesi anglosassoni era prevalente il sistema Wade Giles. Faccio questa premessa per sottolineare come il lavoro di traduzione di Paolo Bellezza possa apparire oggi approssimato e insufficiente, ma va considerato invece come uno sforzo pregevole e accurato per presentare, in una veste editoriale popolare, un esempio di una letteratura che per gli italiani di 100 anni fa era totalmente sconosciuta.

Bellezza molto spesso riassume piuttosto che tradurre – ma con estrema correttezza segnala i brani “riassunti” e non propriamente tradotti – e con una interessante introduzione prepara il lettore a quello che può aspettarsi da queste novelle; si sforza altresì, sia per la scelta che per il linguaggio, di non renderle troppo estranee alle abitudini letterarie del potenziale lettore.

Solo con l’adozione, nel 1958, del pinyn (scomposizione in suoni singoli) è diventata relativamente più semplice la conoscenza occidentale della letteratura cinese. Il pinyn adotta in pratica i simboli dell’alfabeto latino con 21 suoni consonantici e 37 suoni vocalici semplici e composti che vanno a sostituire i quattro “toni musicali” della lingua cinese (piatto, ascendente, spezzato, discendente).

La collocazione temporale delle novelle è all’interno del periodo della dinastia Ming, che va dal 1368 al 1644. Per il romanzo si andava diffondendo l’uso della lingua parlata, mal tollerata dai letterati confuciani. Il primo romanzo scritto in questo modo fu San-kuo chih yen-i (Senso esteso della storia dei Tre Regni) attribuito a Lo-Kuan-Chung.

Le novelle di questa raccolta antologica provengono da Kin-ku-ki-kuan che raduna e compendia in quaranta novelle tutta una tradizione popolare e orale probabilmente molto antica, e dallo studio Liao (Liao-chai-chih-i) messo a punto dall’attività di raccolta di P’u Sung-ling (1630-1715 – anche se Bellezza indica come data di nascita il 1622).

Sono racconti fantastici scritti rigorosamente in lingua letteraria. Anche se non è indicata la provenienza di ogni singolo racconto, per il lettore non sarà difficile identificarla, poiché il Liao-chai-chih-i fu in pratica la prima esperienza di “narrativa di genere” cinese dove prevale marcatamente l’impronta fantastica, talvolta con connotati macabri. Questa narrativa di genere sfociò poco più tardi nel romanzo, in lingua volgare, Hung-lou-meng (Sogno della camera rossa) scritto da Ts’ao Hsüeh-ch’in.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit della prima novella Il paravento rivelatore:

Il ricco mandarino Tsiun-chin, che viveva a Chinchen sotto la dinastia dei Yuen, doveva recarsi a Yon-kia a reggervi quella importante sotto-prefettura, a cui era stato di recente nominato. S’imbarcò colla moglie e il personale di servizio sopra un battello, manovrato da cinque o sei giovani, di cui uno era fratello e gli altri erano nipoti del proprietario del battello stesso.
Dopo qualche giorno di navigazione, egli diede un festino propiziatorio delle divinità, e volle che figurassero sulla tavola delle splendide coppe d’oro che fino allora aveva tenute chiuse nei bauli.
La vista di tanti oggetti preziosi destò la cupidigia del proprietario del battello, che era un uomo senza scrupoli. Quando scese la notte, e si fu giunti in una località deserta, egli distribuì asce e coltelli al fratello e ai nipoti, andò alla cabina dove erano i Tsiun-chin, massacrò un domestico che era postato fuori di guardia, e entrò seguito dalla ciurma.
Il mandarino si rese subito conto della terribile situazione.

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