Secondo romanzo di Stephens, pubblicato subito dopo – entrambi nel 1912 – The Charwoman’s Daughter. Fino dalle prime pagine non possiamo non provare l’impressione di essere di fronte a un piccolo capolavoro.

Come nel primo romanzo seguiamo il percorso della giovane e povera Mary Makebelieve (il cognome è già la “trama” del racconto) dall’innocenza della fanciullezza all’esperienza adulta, in questo L’orcio d’oro (più conosciuto in Italia come “La pentola dell’oro”) seguiamo un percorso verso la consapevolezza, la maturità, la capacità di condivisione e l’ascolto. È questo il filo conduttore degli episodi che compongono il romanzo e che, se non leggiamo in questa luce, possono apparire slegati.

Il filosofo (all’inizio sono in due) inizia i suoi consigli costantemente con un “No” che simboleggia appunto l’incapacità di ascolto, di comprensione. Passerà attraverso passi successivi che lo porteranno dapprima dal dio Pan, poi da Angus Og – per chi poco conoscesse la mitologia irlandese, è il dio dell’amore, della vita, intesa però in senso meno “carnale” rispetto a Pan – al confronto tra i due dei stessi, incontro che è un po’ l’epicentro del romanzo; nel suo ritorno a casa il filosofo è trasformato.

Arrestato, si rende conto dell’inutilità dei “gendarmi” e riflette sulla loro origine pensando alle gazze: «Se queste creature rubano ai montoni ed agli uomini, non vedo la ragione perchè non debbano rubare fra di loro. È dunque fra le gazze che occorre ricercare l’inizio di uno sviluppo delle forze poliziesche. Orbene, non se ne riscontra traccia alcuna. La vera ragione è che, essendo una razza piena di spirito e di riflessione, considerano con ponderazione ciò che noi chiamiamo delitto e male». Anche l’esperienza della prigione costituisce per il filosofo l’acquisizione per imparare a “sentire” la terra e i suoi abitanti.

Filosofia e riflessione non sono mai disgiunte da ironia e dalla sottigliezza mentale che è sempre indice di disincantata sagacia. La conclusione va letta per realmente comprenderla e assaporarla. La forza che libera il filosofo dalla prigione è la stessa che libera l’intelligenza umana da “cerusici e legulei”, che la sottraggono ai “preti maliziosi, ai professori la cui bocca è colma di segatura di legno e ai mercanti che vendono filuzzi d’erba”. E in ogni caso la conclusione è lontanissima dal voler impartire la lezione di unica verità.

Dobbiamo questa prima traduzione italiana all’infaticabile ricerca e curiosità di Gian Dàuli che inserì il romanzo di questo allora sconosciutissimo (in Italia) Stephens, nel 1929, nella collana “Scrittori italiani e stranieri” delle sue dizioni Delta. La traduzione, forse non eccelsa ma efficace e nella quale ho annotato un’unica manchevolezza importante, è dell’altarese (savonese) Tullio Brondi, deceduto nel maggio 1945 nel cosiddetto “eccidio di Cadibona”.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

In mezzo ai boschi di pini chiamati Coilla Doraca, ultimamente vivevano due Filosofi. Nessuno al mondo era più saggio di loro eccetto il Salmone dello stagno di Glyn Cagny, nel quale i nocciuoli della riva lasciavano cadere i frutti colmi di scienza; naturalmente è lui la più profonda fra le creature viventi, ma, nell’ordine della saggezza, vengono subito i nostri due Filosofi.
Si sarebbe detto che il loro volto fosse di pergamena, e che avessero, sotto le unghie, perennemente dell’inchiostro. Tutte le sottigliezze presentate loro, sia pure da una donna, sarebbero state immediatamente spiegate.
La Grigia di Dun Gortin e la Magra d’Inis Magrath proposero loro tre problemi cui nessuno aveva mai dato risposta. Loro seppero rispondere e si attirarono in tal modo l’odio di queste due donne, più prezioso dell’amicizia degli angeli.
Per la rabbia di essere state smascherate, la Grigia e la Magra sposarono i due Filosofi onde poterli pizzicare in letto; ma i Filosofi avevano la cute tanto dura che non sentivano i pizzicotti. Corrisposero il furore delle loro spose con affetto così tenero che queste perverse creature quasi ne morirono di dispetto. Un giorno, nel parossismo dell’esasperazione, dopo ch’erano state baciate dai loro mariti, profferirono le mille e quattrocento maledizioni di cui si componeva la loro scienza. I Filosofi le impararono e divennero in tal modo ancora più saggi.

Scarica gratis: L’orcio d’oro di James Stephens.