(voce di SopraPensiero)

Pubblicato Nei giorni della cometa di Herbert George Wells.

Il romanzo si colloca nel genere fantascienza utopica, narrando, attraverso la lettura di un manoscritto trovato da un giovane, di come il mondo fosse stato sanato dalle sue brutture individuali e collettive grazie ai vapori verdognoli di una cometa che passa sempre più vicino al nostro pianeta fino a dissolversi nella nostra atmosfera.
Pubblicato tra il 1905 e 1906 il testo rispecchia fedelmente le idee e le prospettive dell’autore in quel periodo durante il quale era particolarmente attratto dal fabianesimo. La vicenda si dipana attraverso la vita di un giovane commesso e poi disoccupato socialista, William, rappresentante tipico della sua classe e portatore delle istanze proprie dei giovani di un sobborgo industriale del primo ‘900. La sua ribellione politica e sociale si interseca con la sua storia d’amore deluso. Alla vigilia dello sprigionarsi dei vapori della cometa, William giunge alla determinazione di uccidere l’ex fidanzata e il suo nuovo compagno e poi suicidarsi. Ma proprio quando il progetto sta per realizzarsi e, contemporaneamente, inizia il conflitto bellico tra Inghilterra e Germania, i vapori verdi addormentano tutti i viventi sulla Terra che al loro risveglio vedranno trasformate le prospettive di conflitto e violenza in istanze di solidarietà e comprensione reciproca. La seconda parte narra della trasformazione e di come William opera in essa, riavvicinandosi all’anziana madre dopo aver contribuito all’opera militare e politica per porre fine a ogni forma bellica. Si sposa infine, pur continuando ad amare l’antica fidanzata e ponendo anche le prospettive sentimentali in maniera tale che stupiscono il giovane lettore del manoscritto, che non può ricordare «l’antico mondo».

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Io vidi un uomo dai capelli grigi, un vecchio dall’aspetto sano, seduto davanti un tavolo e scrivendo.
Sembrava che si trovasse in una stanza situata in una torre molto alta, talchè, attraverso la grande finestra alla sua sinistra, si vedeva soltanto in distanza un lontano orizzonte di mare, un promontorio, e quel velo di nebbia e quello splendore, che nell’ora del tramonto del sole indicano l’esistenza di una città lontana parecchie miglia.
Tutte le suppellettili della stanza erano ordinate e belle, e di una certa finezza, con questa piccola differenza, che per me erano nuove e strane. Non erano in nessuno stile cui potessi dare un nome, ed il semplice costume che indossava l’uomo, non suggeriva alcuna idea dell’epoca nè del paese cui apparteneva. Pensai che potesse essere il «Felice Avvenire» o «Utopia» o il «Paese dei sogni puri»; una vaga rimembranza del «Gran Sito Buono» di Enrico James balenò attraverso la mia mente, e passò senza lasciarvi nessuna luce.
L’uomo che io vedevo, scriveva con un oggetto simile ad una penna stilografica ed ogni foglio che finiva, scrivendo con una calligrafia larga e scorrevole, lo aggiungeva ad un mucchio ognor crescente di altri fogli sopra un grazioso tavolinetto collocato sotto la finestra. Gli ultimi fogli giacevano sciolti, coprendo in parte degli altri, che erano uniti insieme in fascicoli.