La raccolta di poesie Misticanza venne pubblicata a Roma nel 1933. Jandolo fin dal 1895, poco più che ventenne, aveva scritto poesie. La prima raccolta che pubblicò era dedicata ai racconti ispirati a Li busti ar Pincio (1907), ma non aveva avuto molto successo. Non per questo aveva rinunciato a scrivere, perché il suo intento quasi vitale era comporre versi per il proprio piacere sì ma anche e, forse, soprattutto per il piacere degli amici ai quali, in tutte le occasioni di lieto ritrovo, si dilettava di declamare quelle composizioni che raccontavano, naturalmente in dialetto, la vita dei romani di Roma.

Il dialetto è meno crudo e diretto di quello del Belli, a volte più vicino alla lingua, più curato: la belliana ‘bonificenza’ in Jandolo è ‘beneficenza’, la ‘monacella’ di Belli diventa una ‘monachella’, ‘noantri’ è per Jandolo il più elegante ‘nojantri’… La raccolta è ricca di termini fantastici: ‘acciaccapisti’, ‘gelacore’, ‘spianuzzato’, ‘garofalato’, ‘sfravolare’… e un bellissimo ‘cunnolare’ che significa cullare, far dondolare con la culla, con la cuna. In latino culla è cun**æ da cui il termine ‘incunabolo’ che sta ad indicare i primi prodotti della stampa a caratteri mobili tra il 1455 e il 1500, cioè quei libri creati quando la stampa era neonata, era ancora in culla. Quelli stampati dopo si chiameranno cinquecentine, seicentine…

Il titolo della raccolta, Misticanza, che è anche il titolo della prima lirica, è anche questo un bel termine popolare del Lazio, che profuma di erbe selvatiche. Misticanza (dal latino mixtus, part. pass di miscēre) è un’insalata più mista possibile di erbe di campo. Vediamo quali sono in questa raccolta: troviamo un po’ di pimpinella (le poesie più delicate e nostalgiche come Misticanza, Sor Giacinta …), un po’ di rughetta (Er tifo, Li parenti …) e di cicoria selvatica dal gusto un po’ amaro (Nojantri, La madre che cia ‘n filo de cervello, La servetta …), di raperonzoli e campanule (simbolo di una natura delicata da accostare alla poesia San Francesco…) e anche un po’ di tarassaco (per le proprietà curative si collega a Ar medico mio). Il gioco passa a lettrici e lettori.

Da non perdere la lista delle specialità irrinunciabili della cucina romana, dalle più elaborate alle più semplici:

«… stuzzichini improvisati
co’ du’ fette de lonza e mortadella
drento a ’na pagnottella ancora calla…» (Ar medico mio)

Questi ‘stuzzichini’ ricordano molto da vicino la ‘tartina’ di Elide Catenacci (Giovanna Ralli), figlia di ‘palazzinaro’, nel film C’eravamo tanto amati di Ettore Scola (1974). Alla cerimonia della posa della bandiera su un ennesimo palazzo nella Roma degli anni del cemento, Elide, nel tentativo di sembrare elegante, chiama così, una tartina, una bella pagnotta colla porchetta che sta per divorare.

E come in ogni buona misticanza, anche qui troviamo poesie emigrate da altre raccolte o che vi migreranno: Nojantri (la raccolta con questo titolo sarà pubblicata nel 1945), Ponte Nomentano, Er pittore ceco, …, qualche lirica sui busti al Pincio e qualcuna dedicata alle storie delle torri medioevali che cingono Roma (la raccolta Torri del Lazio uscirà nel 1941).

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS

Dall’incipit della prima poesia La misticanza:

Fraticello cappuccino
ch’ogni mese, puntuale,
ce portavi l’inzalata,
benchè io fossi regazzino
t’arivedo come allora,
t’arivedo tale e quale
co’ la barba rada e bianca
strascinanno un po’ la cianca.
E «Deo Gratias» dicevi,
soridenno, su la porta,
«dove sta l’insalatiera?»
Poi cavavi da la sporta
’na manciata ch’era er piatto
prilibbato de la sera.
Misticanza d’indiviola,
d’erba noce e de riccetta,
caccialepre e lattughella
co’ du’ fronne de rughetta:
misticanza delicata,
saporita, profumata!

Scarica gratis: Misticanza di Augusto Jandolo.