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Nel 1944 Savinio tradusse, in collaborazione con Anna Maria Sacchetti, Venti racconti di Maupassant (Racconti bianchi, racconti neri e racconti della pazzia) e antepose a questi racconti il suo saggio Maupassant e l’altro che è stato poi pubblicato nel 1960 – a cura di Marco Debenedetti, nipote di Giacomo Debenedetti che con Savinio aveva stretto una profonda amicizia – e in seguito in numerose riedizioni e ristampe, quasi a sottolineare la piena dignità autonoma di questo scritto.
Savinio già a Parigi nel 1914 aveva stretto un tenace sodalizio artistico con gli ambienti dell’avanguardia culturale e indirettamente si era interessato a Maupassant. In questo saggio abbiamo alcune riflessioni sui nomi e cognomi che ci consentono di comprendere meglio anche l’origine della sua scelta sullo pseudonimo. Scrisse una volta: «Io ho così poca fiducia nel potere magico del nome e del cognome che mi sono cambiato l’uno e l’altro» ma proprio in questo saggio, in una nota in relazione alla constatazione che Maupassant è il “Mal-Passante” e Mallarmé il “Mal-Armato”, scrive in apparente contraddizione con quanto già altrove affermato:
«Il destino di noi uomini “civili” è nei nostri nomi e nei nostri cognomi. Molto rari gli uomini che non “somigliano” al loro nome e al loro cognome. Molto rari gli uomini il cui destino non è scritto nel loro nome e prescritto nel loro cognome.».
Andrea De Chirico diviene così Alberto Savinio, ma lo pseudonimo non lo inventa, lo preleva praticamente bello e pronto dal poligrafo francese Albert Savin, che in inizio secolo era noto e apprezzato e scriveva opere letterarie tenute in grande considerazione negli stessi ambienti che Andrea De Chirico frequentava. Quindi la scelta dello pseudonimo racchiude l’indirizzo letterario che decise di percorrere e contemporaneamente gli consente di “sfuggire” il destino. Già l’inizio del saggio sembra quindi un voler “giocare” col proprio nome: «Nivasio Dolcemare arrivò la prima volta a Parigi la sera del 25 febbraio 1910, e quando smontò dal vagone tedesco di terza classe […]». Chi arriva a Parigi è quindi Nivasio che è anagramma di Savinio. Il volersi sottrarre al destino implicito nel proprio nome e cognome impianta quindi il seme dell’“altro”. Chi è dunque questo “altro”?
Nell’artista è quell’embrione portatore di elementi bizzarri, un po’ folli, di diversità non omologata; ed è quest’embrione che può permettersi di guardare, con sguardo d’insieme e all’opposto estremamente parcellizzato, alle forme e alle immagini che altri non vedono, che restano celate, quasi inesistenti. Ecco quindi anche la chiave di comprensione per il significato degli “occhi” che si intercalano ai racconti di Casa la vita. È l’“altro” quello che offre questa visione diversa. “Altro” che probabilmente è dentro ad ognuno di noi, che rappresenta la parte oscura, il “male di vivere”, ma che emergendo permette che la “visione” faccia balenare almeno qualche scampolo di genialità. Sono aspetti che ci appartengono ma che troppo spesso ci rifiutiamo di ascoltare. Quelli dell’“altro” sono aspetti compositi, non c’è solo l’elemento di follia, ma anche quello del sogno, della nostra infanzia, e in Maupassant troviamo anche l’aspetto umoristico. In questo quadro d’insieme emerge anche la condanna dell’estetismo:
«L’estetismo è una superficie che talvolta nasconde il falso e quasi sempre nasconde il vuoto. Da qui l’aspetto studiatamente bello dell’estetismo, ma inerte, non vivo e in fondo ripugnante come la morte. Il pericolo che rappresenta l’estetismo (gli estetismi) e il danno che esso reca, sunt graviores di quanto si crede. Esaminato biologicamente, l’estetismo è un residuo, una sopravvivenza, un cadavere mascherato: è il residuo di qualche cosa che non ha più possibilità né diritto di vita, e che a fine di far accettare la sua anacronistica presenza “si maschera di bellezza”. Gli estetismi sono altrettante cose morte».
Maupassant ai suoi inizi era un seguace del naturalismo, piuttosto mediocre. Quando interviene l’“altro” insieme alla “pazzia” porta la genialità e Maupassant diviene romanziere e narratore; intravede la verità che è al di là del verismo. Anche Savinio diventa grande narratore, non so se grazie alla sua parte oscura, ma certamente con questo libretto scrive un capolavoro di saggistica, un insuperabile breve saggio di critica letteraria nel quale attua il recupero di un Maupassant ben diverso dallo scrittore convenzionalmente amato da tutti.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Nivasio Dolcemare arrivò la prima volta a Parigi la sera del 25 febbraio 1910, e quando smontò dal vagone tedesco di terza classe che lo aveva portato da Monaco capitale della Baviera nella Ville Lumière e pose il piede calzato di spessi mocassini sul marciapiede lubrico e lucido della Gare de l’Est, aveva esattamente diciotto anni e sei mesi, essendo nato ad Atene, all’ombra di un ulivo e sotto il vigile sguardo rotondo di una civetta palladica, il 25 agosto 1891. Che importa se nell’ordine comune della vita i diciotto anni sono l’età ufficiale dell’adolescenza? Superato il traguardo del mezzo secolo, la vita di Nivasio Dolcemare continua più che mai a svilupparsi nel senso dell’adolescenza, e la maturità questo uomo fuori età non la raggiungerà probabilmente se non nella morte, che è la stagione dei frutti più maturi, dei canti più dorati e della memoria immortale.
La precisazione cronologica che apre questo scritto è stata messa a ragion veduta, e presto si vedrà perché. Notiamo di passaggio che il numero venticinque qui sopra due volte ripetuto dà 7, e aggiungiamo che il reggimento nel quale Nivasio Dolcemare militò nella Grande Guerra, che malgrado il male che se ne dice in Italia fu guerra di liberazione e di rinascita, era il 27° Fanteria che a sua volta dà un numero fatale: il 9.
Scarica gratis: Maupassant e “l’altro” di Alberto Savinio.