Il romanzo comparve su «La Presse» fra il 22 dicembre 1840 e il 26 settembre 1841 (88 puntate), ad opera di Eugéne Sue: fu uno dei primi feuilleton e fu molto apprezzato dal pubblico, essendo il primo dei romanzi-fiume di Sue. Fu pubblicato subito in sei volumi da Gosselin, e trasposto in un’opera teatrale nel giro di un anno, recensito favorevolmente dalla critica, e segnò l’inizio di una fitta corrispondenza fra l’autore ed i suoi lettori.
Come molti feuilleton, l’opera contamina parecchi generi letterari, al fine di accontentare i lettori: dal comico al tragico, dalla narrazione storica alla critica sociale, dal romanzo noir al melodramma; e si caratterizza per la ricerca di situazioni esagerate. Ma in questo romanzo prevalgono i temi romantici tradizionali, e in particolare lo sviluppo di una storia d’amore, pur non mancando l’osservazione della disuguaglianza di genere nel matrimonio e uno sguardo benevolo verso il divorzio (che la protagonista Matilde vorrebbe avere, ma…)
I personaggi principali si rifanno a ben noti cliché del melodramma, la protagonista Matilde è la donna virtuosa ma mal maritata; il marito Gontran il seduttore senza scrupoli; il persecutore infernale è inizialmente Madamigella di Maran, poi Lugarto; il protettore giusto e potente è inizialmente il signor di Mortagne e in seguito Rochegune; a tutta prova la fedeltà dei loro servitori, nel bene come la Blondet, nel male come Fritz. Se la loro profondità non è particolarmente notevole, i biografi di Sue concordano nel ritenere l’autore assolutamente sincero nella fiducia accordata ai personaggi stessi.
L’autore all’epoca del romanzo non si era ancora convertito agli ideali socialisti, rappresentando in Matilde un ambiente quasi contemporaneo, altoborghese o nobile, ma già l’anno successivo, al momento della riduzione per il teatro, si cercò di sottolineare l’aspetto della moralità delle classi operaie in contrapposizione alla mancanza di ideali nelle classi agiate. L’opera teatrale, realizzata con Félix Pyat, ottenne un grande successo nella stagione 1842-43, venendo rappresentata a Parigi ed a Bruxelles 93 volte. La sua ripresa, nel 1870, suscitò più curiosità ma meno entusiasmo, mostrando il mutamento di sensibilità del pubblico col passare del tempo.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Fonte principale:
Dall’incipit del libro:
Sul finire del mese di dicembre 1838, si vedeva, e probabilmente si vede tuttora, un modesto caffè, detto il caffè Lebœuf, situato in contrada San Luigi al Marais, rimpetto all’antico palazzo d’Orbesson, vasto e malinconico soggiorno, dato in affitto dopo essere stato abitato per una serie di generazioni da un’antica famiglia parlamentaria.
L’ultimo proprietario della predetta casa era morto pochi mesi dopo la Restaurazione.
Fin nell’ottobre dello stesso 1838 i cartelli per affitto erano stati levati. Un vecchio portinaio, custode del palazzo, lo aveva abbandonato, ed un pigionale venne a prender possesso di quel tetro edifizio a due piani, le cui facciate guardavano, una il cortile, l’altra il giardino. Un portone tarlato, fiancheggiato da due fabbriche destinate alla servitù, alle cucine, alle rimesse, si apriva sopra la strada.
Il palazzo d’Orbesson, benchè allora fosse abitato, pareva un deserto siccome prima. Continuava a crescere fitta l’erba su la soglia del portone, che non si era mai aperto dopo l’arrivo dell’ultimo pigionale, certo colonnello Ulrico.
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