Nel volume Mal di Calabria sono radunati il romanzo Carmela Zivillica e 21 novelle. Il titolo proviene dall’indicazione presente nella prefazione a Carmela Zivillica dove l’autore dice: “È il male di Calabria, la forza rigeneratrice della sua gente”. Il dattiloscritto originale del romanzo reca una data a penna: 2.11.1944.
Colpisce per prima cosa il sapiente uso linguistico e l’accurato dosaggio delle forme dialettali filtrate sempre dalla sintassi italiana. Questo lavoro di sintesi consente un’espressione artistica che risulta particolarmente in armonia con la narrazione delle ansie, delle pene, dei travagli del popolo, che lui conosceva assai bene per essere cresciuto nell’ambiente popolare di una classe sociale schiacciata da sopraffazioni che la guerra e il fascismo avevano evidentemente acuito. Nella rappresentazione di quella realtà sociale Spinoso può liberare l’emozione del proprio mondo interiore.
La protagonista del romanzo è un’orfana affidata a una famiglia di commercianti di legname presso i quali fa la domestica. Non appare certo originale l’iniziazione di Carmela al sesso tramite Brasi, il giovane rampollo di questa famiglia di commercianti; ma entrambi trovano l’amore in questa relazione. È originale invece la capacità di affrontare questa vita di sottomissione in maniera che non appare mai umiliante. Infatti lo sbocco narrativo consente a Carmela di conquistare il posto nella casa nella quale abita, corrispondente a quello che già occupa nel cuore del giovane, il quale, dalla guerra, era tornato con una sposa forestiera che muore in un devastante incendio nonostante il tentativo di Carmela di trarla in salvo. Troviamo quindi una sorta di riscatto o di rivincita che corrisponde alla voglia di migliorare tramite lavoro onesto che possa fungere da emancipazione dalla miseria e dagli errori.
Il metodo pirandelliano che adotta Spinoso è quello di far conoscere i fatti attraverso l’ottica dei vari personaggi. Anche molte novelle presentano questo stile che trasporta dal verismo la capacità di traghettare il realismo oggettivo verso un realismo linguistico svincolato dall’andamento cronicistico della narrazione. Da ricordare la mendicante di Santa Nunziata, “limosinante” come la definisce Spinoso, che muore lasciando un figlio “scimunito” che però pare comprendere tante cose attraverso la sua esistenza da emarginato e intagliatore di statuette votive di legno. Umili e emarginati sono i protagonisti di quasi tutte le novelle di questa raccolta, anche di quelle, come Guerre Paesane, dove traspare un’interessante vena umoristica e satirica attraverso la contrapposizione di due gruppi contrapposti di parrocchiani. Quello che emerge è sempre la capacità di Spinoso di stemperare il dolore nella speranza. Scrive ad un’amica:
“La speranza, questa fatina della vita, non ha misure e resta integra in ogni piccolezza, come integro resta il ricordo dei sorrisi materni, anche quando di essi resta in noi solo il lucore di una bocca sbiadita. La speranza ci insegna a sorridere anche quando gli occhi sono annegati nel pianto”.
È attraverso questa speranza che Spinoso porta in veste letteraria la sua acuta osservazione per la gente di Calabria e per le sofferenze di cui si fa testimone sensibile ed efficace.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
— S’avete cominciato a questa maniera v’assicuro io che di strada ne farete e di molta, e alla casa de’ Cei porterete bene coi carri. Tu sulla schiena di serva spidocchiata e sfamata in casa, voi sulle spalle di padrone che avrebbe a dar l’esempio e sta invece pel mal’esempio. Belle cose da vero, buone per dar consolazioni grandi a chi si rompe la schiena per darvi da mangiar pane. Non c’è che dire: vi siete trovati bene per far il paio, tanto che meglio bestie non si potevan trovare per far andare il carro all’incontrario. Ora vi manca solo la mascherata sulla faccia, ché briganti lo siete già, peggio di quelli che scannano la gente per la strada, ché voi il Cristo del Sacramento scannate, e lo pestate sotto i piedi. Se in questa testa vacante ci aveste un dito di cervello v’avreste a vergognare tutt’e due d’inghiottire ancora pane impastato e cotto in casa, vergognarvi, per Cristo, peggio che se l’aveste rubato crudo nella màdia, che è come un tabernacolo qua dentro; roba che nemmanco quelli del porcile fanno. Io, vedete, v’avrei dovuto portare non qua a parlarvi come fo, ma davanti al padrone e alla padrona avrei dovuto; svergognarvi avanti a loro. Se non l’ho fatto è perché son Turi l’Orbo che ha servito sempre qua, e senza sporcar niente, e pulendo le cose sporche se mai ce ne sono state. Però, intendiamoci, io ve la canto chiara perché le medicine date a tempo posson sanare, altrimenti s’ha da dar mano al coltello dei medici e tagliar fondo fino all’osso. Pensateci da voi prima d’arrivare alla cancarena. Io ci ho un occhio solo ma ci vedo meglio degli altri che ce ne han due. Vedo bene e lontano anche, e se ci sarà ancora un tanto da dire dirò senza misericordia. Pensateci. Oggi son parole che pesano, domani non so da vero; ma rose vellutate non saran di certo.
Scarica gratis: Mal di Calabria di Vincenzo Spinoso.