Il percorso della vicenda editoriale di L’uva puttanella trascende la vicenda letteraria per trasferirsi sul piano degli «orientamenti attuali degli intellettuali […] nei confronti della questione meridionale e in genere contadina»; così afferma Mario Alicata.
Ma è tutto l’ambiente del Partito Comunista dell’epoca – altre ad Alicata commentano duramente e con asprezza i libri di Scotellaro, Giorgio Napolitano, Giorgio Amendola, il responsabile della sezione culturale del Partito Comunista Carlo Salinari – che interviene sui libri di Scotellaro con attacchi impregnati di settarismo ideologico e manifestando la totale incapacità di comprendere il contributo originale portato dallo scrittore lucano nell’ambito del processo di presa di coscienza dei contadini e il ruolo che Scotellaro aveva avuto nell’aprire spiragli per le forze di sinistra nel momento in cui il centrismo pareva in crisi e un diverso rapporto con la parte avanzata della borghesia meridionale avrebbe potuto allentare i legami di quest’ultima con la Democrazia Cristiana.
Purtroppo le masse contadine del Sud avevano forse trovato i propri poeti ma avevano più difficoltà a trovare i propri politici. Carlo Levi infatti sottolinea come il lascito scotellariano sia innanzitutto un lascito poetico, da intendersi come terreno culturale sulla strada dell’allestimento di «una storia generale e una sociologia poetica del Mezzogiorno». «La poesia è creazione per sé e per gli altri, per tutti: è scoperta della verità, e nasce soltanto da un rapporto con gli uomini e col mondo». Ma mentre Gramsci aveva sottolineato la carenza di una letteratura capace di arrivare a un pubblico che non fosse necessariamente colto, in pratica tutto l’establishment comunista – egemone nelle università e nel mondo culturale in genere – non riusciva a vedere in Scotellaro che l’avversario “socialista”, perdendo in un colpo solo due possibili sviluppi interessanti, sia quello culturale che quello politico. Natalia Ginzburg dice invece:
«I versi di Scotellaro sono ricordati rasentando i muri, case, vicoli di Tricarico. Parlano di lui i suoi familiari, i suoi amici, i suoi avversari politici. Parlano di lui contadini vecchi, che lo conobbero, parlano giovani che non lo conobbero mai. Parlano di lui e di loro stessi, con accenti veritieri del tutto insoliti sul piccolo schermo, famosa per rendere la gente anonima, spenta, banale.»
Si riferiva in questo caso Natalia Ginzburg al film documentario televisivo L’Uva puttanella realizzato da Gabriele Palmieri. L’opposizione degli intellettuali comunisti impedì di fatto la pubblicazione di L’Uva puttanella presso Einaudi (nonostante l’entusiastica adesione di Calvino); Carlo Muscetta giunse a parlare di opera che tradiva «disordine patologico» assunto «a simbolo, ideale e vanto della sua anarchia di artista». Carlo Levi affidò quindi la cura editoriale a Laterza che pubblicò il libro nel dicembre 1955 nella collana Libri del tempo.
Più che un romanzo autobiografico, che rimane in questo caso, per la sua genesi e per la morte dell’autore che avrebbe certamente voluto lavorarci ancora, certamente frammentario, siamo di fronte a un testo intermedio tra il libro di memorie e il saggio-inchiesta. Assolto un ruolo pubblico – quello di sindaco – e tumultuosamente allontanato da questo con la carcerazione, Scotellaro si concentra su questo segmento della sua esistenza; si ispira in parte a fatti realmente accaduti e a persone realmente esistenti. La struttura non è ordinata, ma ogni parola, ogni frase va a comporre quella che Carlo Levi definì «storia generale poetica del Mezzogiorno». In questo contesto L’Uva Puttanella ci consente di capire meglio il percorso esistenziale, politico e sociale di cui Scotellaro è stato protagonista, in quanto costituisce una tappa essenziale in questo percorso. Per approfondire l’argomento è molto utile il saggio di Sebastiano Martelli L’Uva puttanella: un progetto di romanzo, pubblicato nel volume Tutte le opere di Rocco Scotellaro.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Uscii per la seconda porta di casa, che mena alla parte a monte del paese; con la borsa che avevo, ognuno, dallo spiazzo di sant’Angelo fino in campagna, mi chiese con meraviglia dove andavo, perché sapevano tutti che sarei dovuto partire e pensavano a una delle solite improvvise decisioni: quando mi caricavano troppo, io ero solo di fronte ai loro malanni, alle loro grida, ai loro problemi recenti e remoti, taluni irrisolubili e disperati, allora prendevo il biroccio o la corriera o mi mettevo la via sotto i piedi, dovevano lasciarmi stare, si dispiacevano per avermi irritato, tornavano calmi ad aspettare il mio ritorno e le risposte che potevo alle loro domande.
Con questa borsa, se non partivo, dovevo apparire stravagante, io stesso credevo di sapere le loro supposizioni e i commenti, altre cose pensavo da me così che questa passeggiata alla vigna con la borsa era e non era per un viaggio, per una visita alle ciliegie, a un posto senza vento dove leggere e studiare, per una partenza clandestina, per un saluto ai morti.
Mi stavo appunto avviando, in prima, verso il Cimitero, che è di fianco al paese, sulla grande strada, nella piega di due colline: da tutte le finestre e i balconi si può vederlo di fianco con pudore, lì stanno i nostri morti nudi, di lì misurano loro puntualmente la nostra fedeltà.
Scarica gratis: L’uva puttanella di Rocco Scotellaro.