La tomba del re cretese Minosse potrebbe trovarsi in Sicilia. Ad Agrigento, per essere più precisi. Rosamaria Rita Lombardo, studiosa di archeologia, prova ad argomentare questa tesi nel suo L’ultima dimora del re. Una millenaria narrazione siciliana «svela» la tomba di Minosse (ed. Fara), fra documenti, leggende orali e ricostruzioni storiche.
La vera collocazione della tomba del re Minosse: qual è la portata di questa informazione in archeologia?
Credo, in verità, che la portata di questa informazione in campo archeologico possa rivelarsi di natura epocale su più versanti. L’identificazione della tomba-tempio del re Minosse in terra di Sicilia con il sito di un monte di mia proprietà dell’agrigentino, credo difatti possa ridisegnare ex novo sul piano storico, se accreditata e convalidata come ipotesi dall’avallo scientifico ed accademico che auspico e caldeggio con la mia opera, il quadro dei contatti e dei rapporti in antico tra Oriente ed Occidente, retrodatandoli di diversi secoli ( XVI-XIII sec. a. C. ) rispetto a quelli conclamati della colonizzazione greca d’età storica (VIII sec. a.C.), nonché sul piano filologico-letterario possa servire a riconoscere, in via definitiva ed una volta per tutte, piena veridicità ai miti antichi e alla loro tradizione orale conservatasi, come nel nostro caso, prodigiosamente inalterata nel tempo. A questo titolo va messo in rilievo che lo stesso storico greco Tucidide, nella sua «Archaiologia», affrontando il tema del mito, intuisce che la narrazione mitica, tradita oralmente, è a suo modo storia, indizio di realtà non altrimenti conoscibili. Sempre per il nostro storiografo la tradizione mitica, accanto ai dati materiali, «archeologici», è uno degli strumenti di cui chi si occupa di storia può avvalersi per ricostruire epoche per le quali non esistono testimonianze scritte. Va inoltre ricordato che per Erodoto, Diodoro Siculo nonché Aristotele, maggiori fonti dell’infausta saga del re Minosse in Sicilia, la storicità di personaggi quali Minosse, Dedalo e Cocalo non è posta minimamente in dubbio. Quindi nessuno iato ed estraneità radicali fra mito e storia! Gli «arkhaìoi lògoi» più affidabili e più noti meritano pertanto di far parte a pieno titolo della Storia e fungere da elementi spia e guida, come lo sono stati per me, nella conduzione della ricerca archeologica. La memoria mitica della sepoltura di un re dal nome «Mini Minosse» nelle viscere della mia montagna, memoria questa, non so per quale arcano disegno del Destino, tramandatami sin dalla mia più tenera età da mio padre, «aedo» moderno e inconsapevole custode di una verità appartenente al tempo «aionico» del mito, unita alla sbalorditiva concordanza dei dati forniti dalle fonti storiche sul triste epilogo dell’avventura del re Minosse in Sicilia con quelli emersi dall’indagine autoptica, topografica, toponomastica, idrografica e folklorica da me effettuata sul territorio in questione, indurrebbe ad avvalorare la suggestiva ipotesi archeologica avanzata e a considerare l’identificazione della fortezza dedalica di Camico e del tempio-sepolcro del talassocrate cretese col sito di mia proprietà, non solo possibile e probabile ma pressoché sicura.
Chi sono Minosse e Cocalo, quest’ultimo co-protagonista della Sua interessante storia?
Minosse e Cocalo, personaggi della cui autenticità storica, insieme al deuteragonista Dedalo, nessuno dei grandi storiografi antichi ha mai dubitato, sono i protagonisti indiscussi della narrazione «aedica» da cui sono scaturite tutte le ricerche e indagini esposte e illustrate nel mio libro. Primo grande talassocrate cretese, Minosse, re di Cnosso figlio di Zeus ed Europa, trovò la morte in Sicilia a Camico, nell’inseguire Dedalo colà riparatovi, per mano del re indigeno sicano Cocalo, che l’uccise con il concorso delle figlie in un bagno bollente. Il suo cadavere fu dai compagni che lo avevano seguito nella spedizione punitiva sepolto con grande fasto nell’isola. Quest’ultimi difatti, come narra la fonte diodorea, «costruirono un doppio sepolcro e posero le ossa nella parte nascosta , mentre in quella scoperta edificarono un tempio ad Afrodite». Più tardi la sua tomba sarebbe stata rinvenuta da Terone, tiranno di Agrigento, e le spoglie trasportate a Creta, dove gli si sarebbe stato innalzato un monumento sepolcrale (la Temple-Tombe scoperta a Cnosso da Evans).
Sostiene di avanzare un’ipotesi «eccezionale» e di temere il «fuoco incrociato» dell’accademia e del pubblico. Perché?
Senza ombra di dubbio quella da me avanzata si configura come un’ipotesi sensazionale che prende avvio dalla caparbia convinzione, nutrita sin da quando adolescente ne raccolsi testimonianza in ambito familiare ed in loco, che la memoria mitica della sepoltura di un re dal nome «Mini Minosse» che aleggia da tempi ancestrali sul mio monte, costituisse per il carattere orale della sua veicolazione, nonché per il fatto che a tramandarla fossero degli «aedi» moderni, privi e sprovvisti di qualsivoglia conoscenza delle fonti letterarie in merito, la prova più autentica e fededegna della conservazione nei millenni della tradizione leggendaria di un evento realmente accaduto e testimoniato dalle fonti classiche. A suffragio dell’ipotesi che identificherebbe la maestosa e svettante struttura rupestre, pregna di arcaica e fascinosa sacertà, ubicata nelle remote e solitarie campagne dell’agrigentino, con l’ultima dimora del re Minosse in terra di Sicilia di cui parla in particolare Diodoro Siculo nella «Biblioteca storica» concorrono e risultano elementi probanti la particolare localizzazione geografica della rupe, le patenti coordinate minoico-micenee della rocca ivi costruita, seppur frammiste alle successive contaminazioni operate in seguito dai dominatori bizantini, musulmani, normanni e svevi succedutisi (gli studi precedenti la mia opera si limitano per lo più a considerare e a classificare tale insediamento come genericamente altomedievale), nonché la preziosissima memoria popolare da me raccolta e verificata direttamente in loco. Quanto ai timori da me nutriti in merito alla risposta del mondo scientifico e del pubblico di fronte all’eccezionalità dell’ipotesi avanzata, devo confessare che essi sono dettati dalla natura divulgativa, «democratica» e controcorrente della mia opera, lontana per molti versi dalle pubblicazioni a carattere strettamente specialistico, di nicchia e a circuito chiuso di pubblico di un certo mondo accademico tuttora scettico circa la validità delle fonti mito-storiche, fonti letterarie antiche riferenti notizie relative a età protostoriche, in parte deformate dalla fantasia narrativa del mito ma contenenti, in realtà, elementi utili e preziosi per la ricostruzione storica.
Parla del «disagio di lavorare in solitudine»: qual è stato il peso più grande nella conduzione della Sua ricerca?
Sicuramente nel corso di questa mia avvincente avventura umana ed archeologica in terra di Sicilia diversi sono stati i momenti in cui ho avvertito « il disagio del lavorare in solitudine», proprio di chi, mosso da una vocazione archeologica «freelance», lontana dagli apparati e dai supporti dell’archeologia ufficiale, si è trovata da ricercatrice indipendente e autonoma a condurre negli anni indagini e sopralluoghi sistematici in un sito di sua proprietà. Tale scenario operativo se da un lato mi ha consentito ampi spazi di manovra e azione di ricerca sul campo dall’altro mi ha caricato talora oltremisura del peso derivante da un forte senso di responsabilità e vincolo di rispetto e segretezza verso una storia che, per dirla tutta, ho esitato per lungo tempo a rendere di dominio pubblico e a consegnare fiduciosa alla Storia ufficiale.
In apertura denuncia la Sua «vocazione archeologica romantica e singolare», che lascia pensare che Minosse sia solo l’inizio della strada. Qualche anticipazione su ciò che ci aspetta?
Non so, a dire il vero, ora come ora se Minosse rappresenti l’inizio o la conclusione di questo mio indimenticabile « viaggio a ritroso nel tempo del Mito». Certo è che la stessa appendice del mio libro farebbe presagire un «continuum» della storia, dai risvolti, per certi versi, inquietanti e misteriosi. Diversi indizi e testimonianze raccolti poi nel corso degli studi condotti in terra di Trinacria mi hanno spinto ad allargare l’orizzonte delle ricerche a particolari «relitti» folklorici (riti, danze, fiabe, canti e «cunti»), per il loro sostrato e la loro matrice in stretto rapporto di filiazione e mutuazione con l’antica civiltà ellenica, che mi riservo in un futuro di approfondire. Per essi, come per la memoria mitica della tomba-tempio di Minosse, vale l’illuminante pensiero dell’insigne archeologo Paul Faure, «cometa» di tutte le mie indagini: «Una grande civiltà non può morire tutta intera, colare a picco con tutti i suoi uomini e tutti i suoi apparecchi. Di un naufragio resta sempre qualche cosa».