I primi dissidenti con la linea ufficiale del partito comunista bolscevico che in seguito prenderanno il nome di «Opposizione Operaia» erano dei militanti di origine esclusivamente proletaria che si radunavano intorno ad eminenti sindacalisti come Shliapnikov e Lutovinov già nell’anno 1919. I primi scontri tra gli oppositori e la maggioranza del gruppo dirigente bolscevico avvennero sulla questione del ruolo degli «specialisti» nell’economia sovietica e sulle loro funzioni nella gestione delle aziende.
Sulla “Pravda” del 27 marzo 1919, Shliapnikov lamentava che il ricorso agli «specialisti» fosse un disperato tentativo di sanare la frattura esistente tra i lavoratori e la gestione industriale. In pratica, diceva, un ricorrere a forze esterne alla classe anziché alla collettività operaia.
Al convegno della Frazione comunista del Consiglio centrale dei sindacati, nella primavera dello stesso anno, Shliapnikov propone che i sindacati assumano la guida del malcontento delle masse, dirigendolo e sforzandosi di rimuoverne le cause, «lottando con tutte le forze contro le tendenze favorevoli alla repressione violenta degli scioperi», che in quei tempi scoppiavano spontaneamente, sotto la spinta della fame e delle attese deluse. Ma le discussioni più serie tra oppositori e maggioranza sarebbero emerse naturalmente al termine della guerra civile, quando era venuto meno il clima di eccezionalità e di stato d’assedio, che evidentemente potevano giustificare le misure drastiche e la tendenza a risolvere con metodi paramilitari la crisi della produzione industriale.
Giusto o sbagliato che fosse il metodo repressivo adoperato nel corso della guerra civile, si trattava ora di non teorizzarlo e tanto meno di renderlo permanente, ma di impostare una politica tendente e riallacciare i legami allentati tra partiti e classe operaia per ridare vita ai soviet moribondi e ristrutturare tutto l’apparato industriale in sfacelo, investendo in prima persona la classe operaia e le sue organizzazioni politiche e sindacali: queste cose sostenevano gli esponenti della «Opposizione Operaia». La questione dei sindacati diventa quindi la questione-chiave, il termometro degli stati d’animo del partito e delle masse.
Il sindacato era l’unico organismo su cui il peso della crescente burocratizzazione non aveva influito in modo determinante, perchè era l’unico organismo che aveva mantenuto una organizzazione periferica in grado di sentire il polso della classe operaia e di interpretarne le reali esigenze: i sindacati avevano infatti assorbito i Comitati di fabbrica subito dopo la rivoluzione ed erano stati riorganizzati in massima parte, non sulla base delle vecchie leghe professionali, ma secondo le branche produttive, come sarà poi fissato nei principi sindacali della 3ª Internazionale: i sindacati sono cioè strutturati in modo da poter assumere direttamente la gestione dell’economia nazionale.
Trotzki ed altri membri del partito tendono invece a perpetuare metodi militari: ne abbiamo un esempio nella organizzazione militarizzata del settore dei trasporti, che suscita alla fine del 1920 violente reazioni contro di lui da parte di tutto il partito. Lenin ha una posizione più «moderata», è favorevole a lasciare ai sindacati una certa libertà d’azione, sia pure subordinata alle organizzazioni centrali, ma non può ammettere che essi portino avanti le esigenze globali della classe in modo autonomo rispetto al partito e, come talvolta accadeva, in contrapposizione ad esso.
Durante questo periodo (1919-20) il gruppo dell’«Opposizione Operaia» non può essere considerato una frazione e neppure una corrente, in quanto si limita a difendere l’autonomia dei sindacati e a portare avanti questa istanza nelle discussioni di partito. Così nel settembre del 1920 davanti a una conferenza speciale del Partito Lutovinov chiede l’immediata messa in opera della più larga democrazia operaia, l’abolizione del sistema delle nomine dall’alto nei sindacati e l’emancipazione degli organismi supremi dei Soviet e dei Sindacati dalle continue interferenze del Comitato centrale del Partito.
Solo dopo il 30 dicembre 1920, quando fu aperta ufficialmente la discussione per la preparazione del X° Congresso del Partito polarizzata sul ruolo dei sindacati, la «Opposizione Operaia» si costituisce ufficialmente come raggruppamento nel Partito.
La “Pravda” pubblica via via le posizioni dei vari gruppi. Se ne contano fino a 10: le tesi di Lenin-Zinoviev, o «Tesi dei Dieci», che portano anche le firme di Tomski, Rudzutak, Kalinin, Kamenev, Lozovski, Petrovski, Artem, Stalin; le tesi di Bukharin, le tesi di Trotzki, le tesi della «Opposizione Operaia», le tesi del gruppo «Centralismo Democratico» eccetera.
Le tesi della «Opposizione Operaia» ebbero le adesioni dei dirigenti comunisti del sindacato metallurgici, capeggiati da Shliapnikov, dei dirigenti del sindacato minatori, capeggiati da Kiselev; di un membro della Commissione Centrale di Controllo, Celiscev. Esse ricordano che il Programma del Partito contemplava che i sindacati «debbono realizzare una reale concentrazione nelle loro mani di tutta la direzione della economia nazionale». Domandano quindi che il controllo dell’industria passi ai sindacati, e sia esercitato da uno speciale organismo centrale eletto da tutti i sindacati raggruppati secondo i settori produttivi. All’interno delle singole aziende il controllo deve essere affidato a un comitato operaio elettivo, subordinato alla organizzazione sindacale collegata. All’interno dei sindacati il principio della eleggibilità dei funzionari deve essere assolutamente dominante.
Le tesi di Bukharin chiedevano che tutte le designazioni dei sindacati per le cariche nelle varie direzioni economiche del Consiglio Supremo dell’Economia Nazionale fossero considerate impegnative per il Partito. Ma imprevedibilmente, poco dopo, Bukharin si associò alle tesi di Trotzki, firmate anche da Dzerzinski, Krestinski, Preobragienski, Rakovski, Andreev, Serebriakov (tutti membri del Comitato centrale), Piatakov e Kon (membri del Comitato centrale ucraino) e altri. Trotzki proponeva in sostanza di combinare insieme due metodi: 1) fusione dei sindacati con l’apparato statale, 2) sviluppo della «democrazia produttiva», incoraggiando la formazione nella industria militarizzata di una sorta di «aristocrazia» dei lavoratori più dotati, atta a rimpiazzare la vigente burocrazia dei funzionari di Partito.
Così all’inizio del ’21 tutto il Comitato centrale era schierato contro l’«Opposizione Operaia» e le sue pretese «anarchiche». Fino a questo momento l’«Opposizione Operaia» non aveva in realtà membri di grosso rilievo nel partito. Ma nel corso delle discussioni del gennaio-febbraio 1921 si aggiunse agli altri firmatari Aleksandra Kollontaj. Notevolissimo fu il suo contributo alla «Opposizione Operaia»: contributo a generalizzare un tipo di critica ancora piuttosto ristretto, e indirizzato essenzialmente ai sindacalisti comunisti, in una critica globale della gestione burocratica e della degenerazione del Partito. Essa espose le sue vedute in numerose conferenze, e soprattutto condensò il suo pensiero nell’opuscolo che pubblichiamo ora. Esso fu stampato nel marzo 1921, col titolo «Rabociaia Oppositzia», e distribuito alla vigilia del X° Congresso del partito bolscevico.
Al Congresso furono lanciate le accuse più atroci contro la «Opposizione Operaia». Ordinariamente vennero ravvisate influenze «mensceviche e piccolo-borghesi»; Bukharin scoprì addirittura nella Kollontaj tracce di «disgustosa, sentimentale bestialità cattolica».
Le votazioni sulle piattaforme diedero 366 voti per «I Dieci», 50 per Trotzki-Bukharin, 18 per l’«Opposizione Operaia» (bisogna tener presente che circa 200 delegati, erano partiti per Kronstadt dove infuriava la rivolta; infatti l’«Opposizione Operaia» all’inizio del Congresso aveva l’appoggio di 45-50 delegati).
Dietro insistenze di Lenin, Shliapnikov e Kutuzov furono eletti membri del Comitato centrale, e Kisselev membro aggiunto. Il Congresso adottò anche una mozione di Bukharin sulla democrazia proletaria nel Partito, che in sostanza faceva proprie molte delle tesi dell’«Opposizione Operaia». E del resto anche le posizioni di Lenin assorbivano, almeno sulla carta, molte delle rivendicazioni degli oppositori, pur negando risolutamente l’autonomia dei sindacati.
Ma l’ultimo giorno Lenin si presentò al congresso con due «risoluzioni-bomba», la prima sull’unità del Partito e sulla proibizione di tutti i raggruppamenti organizzati al suo interno, la seconda «sulla deviazione anarco-sindacalista»: ambedue miravano a colpire direttamente l’«Opposizione Operaia», e furono approvate a grande maggioranza: la seconda dichiarava esplicitamente:
«Il marxismo ci insegna che solo il Partito politico della classe operaia, cioè il Partito Comunista, è in grado di unire, educare, organizzare una avanguardia del proletariato e delle masse lavoratrici capace di resistere agli inevitabili ondeggiamenti piccolo-borghesi di queste masse… e ai loro pregiudizi sindacali».
Dopo la approvazione di queste due mozioni immediatamente Shliapnikov si dimise dal Comitato centrale, ma il Congresso respinse le sue dimissioni. In effetti era assurdo accusare la «Opposizione Operaia» di aver costituito una frazione, quando la decisione di andare al congresso con piattaforme distinte era stata presa ufficialmente dal Comitato centrale, e quando la «Opposizione Operaia» era l’unica a non avere una propria stampa e una propria organizzazione con una disciplina distinta da quella del Partito.
Il X° Congresso inaugura anche la Nuova Politica Economica (NEP): l’allarme di Kronstadt è stato dunque raccolto come ristabilimento del rapporto città-campagna, ma non nelle sue indicazioni di democrazia proletaria. Anzi, durante questo periodo, il partito si chiude sempre più in sé, si allontana sempre più dal proletariato anche se viene epurato rigidamente degli elementi non proletari secondo le indicazioni dell’opposizione (da 770.000 membri passerà, in poco tempo, a circa 400.000), e le lotte di tendenza cominciano ormai a diventare lotte per il controllo dell’apparato del Partito, nello stesso tempo in cui aumenta il controllo del partito su tutto l’apparato statale.
Nel maggio 1921 il Comitato centrale cerca di «espugnare» la roccaforte dell’«Opposizione Operaia». Il Sindacato metallurgici, formato quasi tutto da vecchi militanti bolscevichi, respinge la lista di nomi proposta dal Comitato centrale del Partito per la Commissione di controllo del Sindacato con 120 voti contro 40: il Comitato centrale allora impone dall’alto, violando le stesse decisioni congressuali, la lista di nomi proposti e respinti, ignorando le proteste della frazione comunista.
Shliapnikov tenta ancora una volta di dimettersi dal Comitato centrale, ma le sue dimissioni vengono di nuovo respinte.
La lotta contro gli oppositori prosegue senza risparmio di colpi: racconterà più tardi Shliapnikov: «La lotta non ebbe luogo con mezzi ideologici, ma con strumenti come l’esclusione dalle nomine, sistematici trasferimenti da un distretto all’altro e anche espulsioni dal Partito». «Chiunque si riferiva alla risoluzione ufficiale del Congresso sulla democrazia operaia nel Partito era accusato di parteggiare per l’Opposizione Operaia, e schiacciato».
Il 9 agosto Lenin chiese ufficialmente l’espulsione di Shliapnikov, per un discorso di critica a una risoluzione del Presidium del Consiglio supremo della economia nazionale, discorso fatto in una riunione di cellula del Partito, i cui verbali Lenin controllò personalmente! La cosa era così insostenibile che infatti il Comitato centrale non adottò il provvedimento proposto, non essendo stata raggiunta la necessaria maggioranza.
La «Opposizione Operaia» cercò anche di portare la questione sul terreno internazionale, cercando di avere degli appoggi dai Partiti comunisti europei. Pare che Shliapnikov e Lutovinov, trovandosi a Berlino dopo il X° Congresso, abbiano preso contatto con membri del KAPD (con Maslow, per la precisione), il partito comunista minoritario tedesco. In generale ebbero contatti con i «comunisti di sinistra», tedeschi, bulgari, olandesi.
La Kollontaj intervenne anche al III Congresso del Comintern, precisando che non parlava a «titolo ufficiale», ma «a nome di un gruppo di minoranza» Dice tra l’altro:
«Il compagno Lenin sostiene che la Nuova Politica Economica ci aiuterà a guadagnare tempo e a “tirare avanti ” durante lo sviluppo della rivoluzione mondiale. Ma ci sarà possibile “tirare avanti” se la Nuova Politica Economica non danneggerà il sistema dei Soviet stesso. Dobbiamo tener presente che come risultato di questa politica la classe contadina diverrà economicamente e moralmente molto più potente, mentre il proletariato perderà confidenza nelle proprie forze. Se noi continueremo questa politica, se continueremo a fare massicce concessioni, il proletariato diverrà più debole e disorganizzato, e si renderà necessaria una nuova rivoluzione che tuttavia il proletariato non sarà più in grado di assumersi. Il compagno Lenin parla di forze meccaniche, ma non dice nulla riguardo agli sforzi creativi del proletariato. Invece di cercare una via di uscita, stimolando l’iniziativa autonoma delle masse, noi cerchiamo l’assistenza di altri ceti».
Venne in quella sede attaccata duramente da Trotzki e da Bukharin.
Si intensificano contemporaneamente le misure repressive all’interno. Viene espulso dal Partito G. Miasnikov, vecchio bolscevico iscritto dal 1905, che aveva scritto personalmente una lettera al Comitato centrale del partito in cui chiedeva la restaurazione della democrazia sovietica, libertà di parola e di stampa, denunciando il progressivo deperimento del potere sovietico. Vennero anche sciolti di autorità diversi «circoli di discussione» che la «Opposizione Operaia» aveva formato in vari centri, tra cui Mosca e Samara. Gli appelli di protesta indirizzati al Comitato centrale per i provvedimenti repressivi vennero respinti.
Nel febbraio 1922 la «Opposizione Operaia» si appella alla Internazionale Comunista contro il Partito Comunista Russo, in un documento che dai firmatari prese il nome di «Dichiarazione dei 22», indirizzato all’Esecutivo. Ne erano firmatari Shliapnikov, Medvedev, Kuznetsov, Celiscev, Miasnikov, e in extremis anche Alexandra Kollontaj. Oltre alla discussione politica vera e propria, furono portati davanti alla Commissione di Inchiesta i metodi repressivi adottati contro il gruppo, quali perquisizioni, intercettazioni di corrispondenza, uso di agenti provocatori etc. Davanti alla Commissione di Inchiesta Trotzki fece la parte del Pubblico Ministero, attaccando l’Opposizione perchè essa parlava dei propri rapporti col Partito in termini di «Noi» e «Loro». Naturalmente la Commissione di Inchiesta respinse l’appello rivolto alla Internazionale Comunista.
Le rappresaglie continuarono. Nel marzo del ’22 fu convocato un congresso straordinario del Sindacato Metallurgici, dietro pressione del Partito, che dovette sconfessare le tesi dell’«Opposizione Operaia».
All’XI° Congresso (marzo 1922), furono rinnovate le richieste di espulsione dal Partito, essendo l’«Opposizione» accusata di aver mantenuto una organizzazione clandestina di frazione violando le decisioni del X° Congresso. Ma i congressisti, pur accettando la condanna politica, rifiutarono di espellere Shliapnikov, Medvedev e la Kollontaj. Naturalmente però non furono più rieletti nel Comitato centrale. L’XI° Congresso è anche l’ultimo cui Lenin prende parte attiva. Dal suo intervento non è difficile arguire quanto fosse preoccupato:
«Abbiamo dietro di noi un anno di esperienze. Durante questo anno di Nuova Politica Economica (NEP), lo Stato che abbiamo nelle nostre mani, ha forse obbedito alla nostra volontà? No. Noi non vogliamo riconoscerlo, ma esso non ha funzionato come volevamo. Come ha funzionato? La macchina ci sfugge dalle mani; sembra che un uomo la diriga, ma essa non sa dove costui vorrebbe che andasse. Essa procede come se fosse diretta da un qualche sconosciuto, venuto non si sa da dove, sia esso un capitalista o uno speculatore privato. Essa funziona diversamente, alle volte in modo del tutto opposto di come pensa colui che ne ha in mano il governo. Questo è il fatto essenziale di cui bisogna ricordarsi a proposito del capitalismo di Stato».
Ma di fronte a questa macchina statale che sfugge dalle mani, l’unico strumento che Lenin sa indicare come correttivo è una centralizzazione ancora ulteriore della gestione economica e della direzione politica.
Il processo di affossamento delle esigenze di democrazia operaia prosegue indisturbato e la storia ufficiale della «Opposizione Operaia» termina, e ha inizio la sua progressiva disgregazione. Da un lato la sua storia va ricercata in quella dell’Opposizione di sinistra dal ’23 al ’27, dall’altra si perde in molti piccoli rivoli che portano o ai campi di concentramento siberiani, o ai suicidi o alle abiure.
Nell’aprile del ’23 Lutovinov attacca violentemente il triumvirato Stalin-Zinoviev-Kamenev, e si scaglia contro coloro che vogliono creare una sorta di «infallibilità papale» negli organismi dirigenti del Partito. Ma ormai l’avversario principale è Trotzki, il «nemico del Partito» è lui. L’opposizione trotzkista e i pochi superstiti dell’«Opposizione Operaia» lottano insieme, sia pure da posizioni che non coincidono: l’«Opposizione Operaia» tende ormai a considerare irrimediabilmente calcificato il Partito bolscevico, in fase «post-termidoriana», e a portare la lotta su un altro terreno, tendente in definitiva alla formazione di un «nuovo partito». Trotzki, per contro, continua ad accettare la lotta nei termini e sul terreno che gli sono imposti dall’avversario, cioè all’interno della disciplina stessa di un partito «stalinizzato». Per questo nell’ottobre del ’26 si rassegnerà a sconfessare Shliapnikov e Medvedev, e in genere tutti coloro che auspicano la formazione di un nuovo partito, con una professione di fede nel monopartitismo che sarà una grande arma di ricatto nelle mani di Stalin. Come risultato, un mese dopo, Shliapnikov e Medvedev, minacciati di espulsione dal Partito, e demoralizzati dal rifiuto di Trotzki di trasformare la frazione nel vecchio partito fossilizzato in un nuovo partito, si arrenderanno a Stalin, che proclamerà con giubilo la loro resa e li «perdonerà». Lutovinov si era suicidato prima ancora, per disperazione.
Altri gruppi fin dal 1923, portando alle estreme conseguenze la «critica da sinistra» del sistema monopartitico, si erano dati all’attività clandestina. La loro storia «sotterranea» è quindi impossibile da seguire. Il più interessante è il cosiddetto «Gruppo Operaio», formatosi intorno a G. Miasnikov, che fece una critica serrata del regime monopartitico, proclamando la necessità per la classe operaia di scegliere tra diversi partiti operai in piena libertà. Animatore ne fu Sergio Tigunov, e all’insegna del motto di Marx «l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi» lottò contro i concetti leninisti della dittatura del Partito e dell’organizzazione burocratica della produzione.
Questo gruppo si inserì nell’ondata di agitazioni e di scioperi spontanei che investì Mosca e Pietrogrado tra la primavera e l’estate del 1923. In questa occasione, subito dopo il XII° Congresso, indirizzò un Manifesto al proletariato russo e internazionale nel quale denunciavano la tendenza del Partito ad appoggiarsi sempre più sul «culto dei capi», e le nuove estorsioni a danno del proletariato, incitando i lavoratori a lottare per la democrazia sovietica. Il gruppo fu arrestato in massa dalla GPU, ma ci ha lasciato come viva testimonianza questo Manifesto, che a ragione fu paragonato al «Manifesto degli Eguali» pubblicato da Babeuf dopo lo schiacciamento della rivoluzione francese. (Il Manifesto venne pubblicato a Berlino nel 1924 da simpatizzanti del gruppo con il titolo Das Manifest der Arbeitergruppe der russischen kommunistischen Partei).
Per concludere ci pare che le lezioni più interessanti che possiamo trarre dalla storia dell’«Opposizione Operaia» sono da ricondurre a due temi fondamentali
a) La critica della concezione leninista del Partito, o meglio dei rapporti tra partito e classe. Cioè il rifiuto di vedere nel partito il «corpo mistico» che si autoinveste della rappresentanza della classe a prescindere dal rapporto concreto in cui si trova con essa. Questa critica può essere sintetizzata in una frase ironica di Shliapnikov pronunciata al congresso dei Soviet del 1921: «Ieri il compagno Lenin ha detto che in Russia non esisteva una vera e propria classe proletaria, in senso marxista. Permettetemi allora di congratularmi con voi per essere l’avanguardia di una classe che non esiste».
b) La critica della gestione burocratica della produzione, che parte dal concetto marxista che il comunismo è un nuovo sistema di produzione, e la sua realizzazione può essere assunta solo dai produttori stessi. Solo i lavoratori possono creare una nuova organizzazione del lavoro e della produzione, attraverso i loro organismi di controllo, in grado di superare quella capitalistica.
Sinossi a cura di Virginia Vinci e Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Che cos’è l’«Opposizione Operaia?». È necessario che il nostro partito e la rivoluzione proletaria mondiale diano il benvenuto alla sua esistenza o è proprio il contrario, cioè si tratta di un fenomeno dannoso, ‘politicamente’ pericoloso, come il compagno Trotzky ha recentemente sostenuto in uno dei suoi discorsi dedicati alla questione dei sindacati? Per poter rispondere a queste domande che turbano e tormentano molti nostri lavoratori è necessario chiarire:
1) Chi fa parte dell’«Opposizione Operaia», e come ha avuto essa origine?
2) Di dove è nata la controversia tra i compagni che dirigono gli organismi del nostro partito e la «Opposizione Operaia»?
Scarica gratis: L’Opposizione Operaia in Russia di Aleksandra Mihajlovna Kollontaj.