Pubblicato nel 1837, questo “romanzo storico” ha molto della Storia e poco del romanzo. Vengono narrate le vicende di Lodovico Maria Sforza, detto il Moro e le sue trame per usurpare il ducato al nipote Gian Galeazzo di cui era tutore. Personaggio brillante ed intelligentissimo, riuscì a raggiungere i suoi scopi nonostante fosse solo il quartogenito di Francesco Sforza. Alla morte del fratello Galeazzo Maria, riuscì a sottrarre alla madre la tutela dell’erede Gian Galeazzo, diventando di fatto il vero governante di Milano e uno dei più influenti personaggi italiani dell’epoca.

Il libro è incentrato sul contrasto tra Lodovico ed Isabella d’Aragona, moglie di Gian Galeazzo, che al contrario del marito, succube di Lodovico, si ribellava al suo dominio di fatto, e si sviluppa narrando l’arrivo in Italia del re di Francia Carlo VIII, invitato da Lodovico ad impadronirsi del Regno di Napoli, il cui re era il padre di Isabella.

Vengono puntualmente e correttamente narrate le vicende storiche, come potrebbe fare un libro di storia, e una conversazione tra lo storico Corio e il francese Comines, al seguito di Carlo VIII, è l’occasione per una corposa digressione che racconta le istituzioni e le “glorie ed usi” di Milano.

L’unica concessione al romanzo è forse il personaggio di Carolina, cameriera di Isabella, che si presta ad aiutare la duchessa facendo pervenire a suo padre una lettera di richiesta d’aiuto, viene per questo allontanata e confinata in un monastero, e ricompare più tardi come insidiata inutilmente da Carlo VIII, e infine felicemente maritata da Isabella.

Sinossi a cura di Claudio Paganelli

Dall’incipit del libro:

Nel 1476, il giorno di santo Stefano, era stato ucciso Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano: i congiurati, Giovanni Andrea Lampugnani, Girolamo Olgiati, e Carlo Visconti, credettero far cosa meritoria nel levare dal mondo quel principe, cui contaminava una sfrenata libidine, e talora esecrabile crudeltà: ma il popolo milanese non odiava al par di essi il suo signore; perchè egli allettava la plebe colle pompe, profondea tesori, mostravasi affabile tutti ammettendo alla sua presenza coloro che a lui per alcun motivo ricorrevano, e come buon parlatore li rimandava soddisfatti. E veramente questo duca, colla sua manìa di grandeggiare, avea contribuito non poco durante il suo dominio ad ingentilire i costumi; non già per lo sfoggio straordinario degli abiti che videsi nella sua corte, e per le pompe inaudite che egli mise in uso; ma perchè, seguendo l’esempio del padre suo Francesco, favorì le lettere, promosse l’arte tipografica allora recentissima, e fu egli stesso scrittore; diè incremento alla musica ch’ei sommamente amava, tenendo trenta cantori oltramontani al proprio servizio; e, della pittura pure dilettandosi, diè lavoro al pennello di molti artisti, specialmente ne’ suoi castelli di Milano e di Pavia; finalmente la città di Milano fu da lui molto abbellita, ed anche tutta di nuovo lastricata nel 1470.

Scarica gratis: Lodovico il Moro, o condizioni usi e costumi singolarità e memorabili avvenimenti di Milano sulla fine del secolo 15 di Giovanni Campiglio.