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Andrea Vaccaro, Marco Staffolani,
“Il Teleios. O i sette pregiudizi sulla tecnologia”.
Le Lettere, Firenze, 2023, 88 pagine,
euro 12, ISBN: 9788893664400
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Il Dio dei cristiani, uno e trino, l’alfa e l’omega, il generatore di tutte le cose, la fonte; colui che il fedele identifica istintivamente nella figura del Padre. Le definizioni del Figlio su cui profeti e teologi si sono esercitati (Redentore, Nuovo Adamo, Cristo, il Vivente, Messia), e che la sapienza greca del primo secolo ha sintetizzato in Logos, precisano i contorni di una figura che si giova della concretezza dell’esperienza diretta. Da qui muove il pamphlet di Vaccaro e Staffolani per “aggiornare” la lettura dell’ultima e più misteriosa delle figure trinitarie, trovando insoddisfacenti i tentativi classici di connotarlo come il Consolatore, l’Ispiratore, il Difensore, l’Intercessore. Una sfuggevolezza confermata dall’assenza di un corrispettivo di Logos, il Figlio come ragione, nel repertorio greco per definire la Terza Persona con la medesima lapidaria nitidezza. Seguendo la trama filologica che Vaccaro rintraccia sia nei Padri che nel Magistero, per colmare la bimillenaria lacuna egli propone Teleios, Colui che realizza, che porta a perfezione. Da Basilio Magno a Leone XII passando per Tommaso d’Aquino, spiega, le “azioni” di completamento (teleion) e di “efficientamento” (perficere) sono coerentemente associate alla natura dello Spirito Santo.
Se dare un (nuovo) nome a Dio, o almeno ad una delle sue Persone, è già un programma ambizioso, Vaccaro va oltre e cerca di darle anche un volto: lo Spirito-Teleios, l’altro braccio di Dio-Padre accanto al Figlio-Logos, altro non sarebbe che Téchne, la tecnologia. Se il Logos insegna il modo giusto di pensare, Teleios/Téchne insegna il modo giusto di operare, di «portare a buon fine quella creatio continua in cui la meraviglia del presente impallidirà». A coloro che strabuzzeranno gli occhi al cospetto di una tesi tanto ardita, l’autore suggerisce di rintracciare i segni di Teleios/Téchne, quindi dello Spirito Santo, nell’imperfezione delle cose del mondo così come Giustino martire trovava «semi del Logos», quindi di verità, sparsi tra gli errori della filosofia greca. Se la teologia (che è Fede in atto) fosse stata fondata dai tecnici e non dai filosofi, argomenta Vaccaro, anche l’azione creatrice, di cui la tecnologia è sublime manifestazione, vi avrebbe trovato lo spazio che merita accanto al pensiero.
Il coautore Marco Staffolani (nei riquadri in grigio che punteggiano i tre capitoli del saggio) sembra voler “bilanciare” l’audacia della tesi principale. Una contrapposizione di cui il lettore avrebbe forse dovuto essere messo subito a parte, per non perdere l’orientamento tra posizioni a tratti inconciliabili. Qui, Dio e l’uomo hanno fini nettamente diversi: la «storia sovrannaturale» di Dio tende al trionfo definitivo ed eterno del suo Regno, mentre la «storia naturale» dell’uomo non è che il mero scorrere del tempo, che esso associa al «teorico» miglioramento delle proprie condizioni di vita e chiama “progresso”. Nei frammenti di quella storia naturale, nell’esercizio della legittima autonomia delle «realtà terrestri», possono tuttavia essere scorti i segni “personali” dell’accoglimento del Regno. Autonomia che si manifesta anche con l’umanissimo «voler creare» nuova tecnica e che, concede Staffolani, «è conforme al volere del Creatore».
Un ridimensionamento di Téchne a sottoprodotto del libero arbitrio che mal si concilia con la lettura mistica e innovativa di Vaccaro, la quale riesce perfino a sedurre l’ateo-libertario quando, nel confutare i pregiudizi intorno a tecnologia (capitolo II), lo conduce al sillogismo inoppugnabile: se la libertà è il Dono per eccellenza, il Bene supremo, e se la tecnologia accresce la libertà dell’uomo, allora la tecnologia deve essere buona per forza.