Orfano di genitori, il conte Imberido, constatando lo sviluppo di una classe piccolo-borghese arricchita dalla mera speculazione, che non possiede il “nobile sentimento” e i meriti dell’aristocrazia, teme il decadimento della società; così evita il più possibile le occasioni di svago e, allontanandosi dalla frenesia cittadina, fonte di distrazioni, si rifugia su un isolotto per un periodo indefinito di studio.
Lo scopo della sua esistenza, dettata dal fatto che discende da una famiglia nobile decaduta e non avendo altre possibilità di lasciare “un segno” come i suoi avi, sta nel proporre un’opera di riformazione sociale, guidato dalla sua forza morale; sperando di poter influenzare “la massa” guidandola verso la restaurazione comune.
Certo di poter vivere senza una donna, forte dell’idea che esse non possano elaborare un loro pensiero e che siano buone solo a procreare, si persuade che lo distrarrebbero dai suoi programmi, convincendosi conseguentemente della sua superiorità nei confronti degli altri uomini che non sanno resistere al loro fascino.
Esso si compiace di questa convinzione finché, un giorno, conosce su insistenza della nonna, sua compagna d’esilio, la moglie di uno di questi borghesi arricchiti che è accompagnata da due signorine, una delle quali è la figlia Flavia.
Da quel momento si ritrova in uno scompiglio emotivo arrendendosi a una crisi che rompe, pian piano, quel muro invalicabile che si era costruito nel tempo. Entrambi, in un’altalena continua di cose dette e non dette, di atteggiamenti ed effusioni ambigue, costruiscono, ciascuno nella propria immaginazione, un futuro felice e colmo di amore, pieno dell’energico soffio della passione.
Così si trasformano i preconcetti e le idee si ingentiliscono; sebbene all’inizio entrambi conservino un atteggiamento prudente, condizionati dalle loro esperienze passate, che ottenebrerebbe la felicità che ne ricaverebbero semplicemente interrompendo qualsiasi resistenza, esaltandosi nell’amore; senza pensieri, rimpianti e dolore.
Sinossi a cura di Raffaele Fantazzini.
Dall’incipit del libro:
Una campanella acuta e stridula singhiozzò ostinatamente nel silenzio.
Il giovine conte Aurelio Imberido, allo squillo subitaneo, si scosse con un moto brusco su la sedia a sdrajo, dov’era caduto in sopore mentre studiava e meditava con un grosso volume di economia politica tra le mani; fissò per un attimo, istintivamente, gli occhi ancor torpidi su la pagina aperta del libro; poi lo scagliò d’un tratto lontano, verso una tavoletta d’ebano già tutta ingombra di fascicoli e di fogli scritti. Il libro cadde a terra in piatto, sollevando un romor secco d’esplosione e un nuvolo di polvere.
Era l’ora del tramonto: dalle stecche delle persiane richiuse, un livido chiarore penetrava a pena nella camera, come una triste luce lunare. A poco a poco l’aria ambiente era andata imbrunendo durante il sonno del giovine, e al richiamo della campanella questi con suo ingrato stupore s’era trovato là disteso e immemore, avvolto in una semioscurità che non gli permetteva più di distinguere i caratteri del libro in lettura. Egli ebbe nel levarsi un gesto d’ira, quasi di sdegno contro il suo frale organismo che gli aveva rubato per riposarsi un tempo prezioso; e si diresse a passi concitati verso il vano del balconcino.
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