(di Agatha Orrico)
Per raccontare di tutti i soprusi che sono stati perpetrati nel continente africano da parte dei colonizzatori si potrebbero riempire pagine e pagine di appunti. Ma la cosa più ignobile è sapere che la maggior parte di questi abusi sia stata insabbiata impedendoci di conoscere la verità.
Tra questi uno dei fatti che personalmente trovo più odioso è avvenuto durante la seconda guerra mondiale. Come è noto, dopo che i paesi occidentali si erano spartiti L’Africa come una torta succulenta, accaparrandosi ognuno la propria fetta di paese da gestire e controllare, tanti neri furono arruolati nell’esercito del paese colonizzatore.
Già durante la prima guerra mondiale aveva perso la vita un numero enorme di soldati delle colonie, e tra questi si parla di 30.000 neri africani, su un totale di circa 200.000 arruolati.
Durante la seconda guerra mondiale, data la carenza di giovani da mandare in battaglia, l’allora Generale Charles De Gaulle decise nuovamente di utilizzare i colonizzati, in cambio di una misera paga, per combattere il nemico tedesco e i suoi alleati. La Francia li chiamava ”tirailleurs senegalais“, cioè tiratori senegalesi: impropriamente, dato che questi giovani non venivano prelevati solo in Senegal ma nel Dahomey (attuale Benin), nel Sudan francese (attuale Mali), in Costa d’Avorio, in Oubangui-Chari (attuale Repubblica Centrafricana), Niger, Ciad, Gabon e Togo; insomma in tutte le colonie francesi.
Al fronte gli venne affibiato il triste soprannome di ”chair a canon”: carne per cannoni. La maggior parte di questi soldati perse la vita in guerra, altri vennero fatti prigionieri nei campi di concentramento nazisti, solo pochi sopravvissero. Le truppe tedesche, cui erano state inculcate le dottrine razziali naziste, espressero indignazione di fronte al dover combattere contro avversari a loro dire “inferiori”. A Montluzin i prigionieri neri catturati, vennero giustiziati in massa solo per la loro provenienza.
Il primo dicembre del 1944, con la vittoria e la liberazione alle porte, succede qualcosa di impensabile: i soldati neri dell’esercito vengono letteralmente sostituiti da uomini bianchi, giovani che per la maggior parte non avevano neppure partecipato alla guerra. Questa operazione prese il nome di ”Blanchissement de l’armee francaise”, imbiancamento dell’esercito francese. Ai soldati che avevano combattuto per la Francia in una guerra non loro, venne imposto di consegnare armi, vestiti e bagagli ai francesi. Insomma erano stati usati come carne da macello, mandati al fronte e poi semplicemente liquidati. Una delle tante testimonianze viene da un veterano della nona D.I.C., Gilbert Beurier:
“Ognuno di noi aveva un senegalese davanti a sé. Alcuni francesi sembravano dei nani rispetto alla maggior parte di loro. Si toglievano le divise, rimanendo solo con i boxer, mentre noi ci toglievamo i nostri vestiti da civili. Uno scambio di abiti. Ma vista la differenza di corporatura, non si vedevano più le nostre mani, talmente queste divise ci andavano larghe.“
Tidiane Dieng, ex tirailleurs senegalais, racconta : “Avevo male al cuore. Ormai non volevo più andare via, non volevo lasciare i miei compagni, volevo rimanere lì a combattere e finire la guerra che avevamo cominciato, rientrare da vincitori“.
Ma il Generale De Gaulle aveva deciso altrimenti. La vittoria ormai alle porte doveva essere festeggiata da francesi bianchi e non da africani neri, la Francia, ufficialmente, doveva essere liberata dai francesi. Umiliati e congedati senza onore, i soldati neri vengono portati in campi di transito in attesa di essere rimpatriati in Africa. Chi pensa che l’ingratitudine francese si sarebbe fermata qui si sbaglia, il peggio doveva ancora arrivare.
E’ il 5 novembre del 1944. Una parte dell’esercito nero viene imbarcato su alcune navi che partono dalla Bretagna verso il Senegal, al Campo di Thiaroye. C’è molto malcontento, delusione, rabbia. Prima della partenza ai soldati viene consegnato un terzo della quota di indennità, promessa prima dell’arruolamento avvenuto 4 anni prima, con la promessa che una volta rientrati in patria avrebbero ricevuto il resto. Ma una volta giunti a destinazione i francesi considerano annullate le loro promesse. Nel campo dove gli ex soldati aspettano di rientrare avviene una rivolta, sedata dal Generale francese Danian. L’ammutinamento è oltraggioso, il generale è ferito nel suo orgoglio.
Ecco che arriva la punizione. Il 1 dicembre 1944, all’alba, i soldati francesi aprono il fuoco sul campo e massacrano tutti. Questa vigliaccheria prende il nome di “massacro di Thiaroye”, fatto passare per un ammutinamento.
Sopravvissuti alla guerra, ai campi di concentramento nazisti e alle bombe, centinaia di ex soldati vengono uccisi da quegli stessi uomini per i quali avevano combattuto. Non si conoscono cifre ufficiali, ma dalle recenti ricostruzioni si ipotizzano circa 1300 vittime, sterminate dalla repubblica dei vigliacchi francesi, gran parte delle quali riposano tuttora nel cimitero militare di Thiaroye.
Temo non esista un termine idoneo per descrivere un atto talmente vile.
La strage dei soldati venne insabbiata, proprio come era stato fatto al momento del cambio delle uniformi. Tempo dopo fu la storica francese Armelle Mabon che, dopo anni di indagini, ricostruì dettagliatamente tutti questi fatti.
Un danno economico si può risarcire, ma un danno morale, il sangue di innocenti versato non potrà mai essere riparato. E’ vero che se l’Africa versa in brutte condizioni è anche colpa dei suoi dirigenti, ma non dimentichiamoci dei gravissimi danni arrecati, e di quando erano loro ad aiutarci a casa nostra, mentre qualcuno li ripagava col sangue e con l’umiliazione.