Come anticipato giorni fa, grazie a Paolo Alberti, aiutato da Catia Righi, Gabriella Dodero, Ugo Santamaria e Claudia Pantanetti, pubblichiamo a tempo di record “L’idiota” di Fëdor Mihajlovič Dostoevskij, uno dei più grandi autori russi.

In questi giorni drammatici, che vedono una brutale guerra avviata da Putin contro l’Ucraina, molti si interrogano su come reagire. Il tema è controverso e Liber Liber è una associazione culturale che non può (e non deve) entrare nel merito di scelte strategiche e politiche; non siamo nemmeno strutturati per elaborare opinioni documentate. Però sentiamo il dovere di offrire due contributi, che sono certo siano condivisi dalla totalità dei nostri volontari: il primo, è la più forte solidarietà al popolo Ucraino. Il secondo, è un invito alla riflessione.

La pace è figlia del rispetto e dell’amore per il prossimo. Questi sentimenti ci impongono di restare lucidi e capaci di distinguere il Governo di Putin dal popolo russo. Specie quando questo popolo vota in un regime dove la libertà di stampa è ancora una chimera. Ma in ogni caso, nemmeno chi ritiene che un popolo disinformato sia comunque corresponsabile può negare che una pace duratura si costruisce su pilastri come la democrazia, il rispetto, l’umanità e, ovviamente, la cultura. La cultura è lo strumento più efficace per renderci persone migliori, capaci di superare i nostri limiti e di tenere a freno le nostre pulsioni più deteriori.

Perciò leggiamo Dostoevskij, scopriamo quanto sono attuali le sue parole.

Marco Calvo, Liber Liber.


Dostoevskij scrisse questo romanzo tra il settembre del 1867 e il gennaio del 1869. Venne dapprima pubblicato a puntate tra il 1868 e il 1869 sul “Ruskij Vestnik” e successivamente in volume a Pietroburgo nel 1874.

Il personaggio principale del romanzo è il principe Lev Nikolaevič Myškin, il quale ha potuto recarsi in Svizzera per curare l’epilessia grazie a un benefattore, versando lui stesso, ultimo discendente del suo casato, in pessime condizioni economiche. Tramite la figura del principe l’autore vuole trasmettere a chi legge una sorta di istanza ideale, narrativamente caratterizzata dalla «idiozia» del principe, che consiste in un atteggiamento di assoluta fiducia negli altri; forse la malattia, che gli ha inibito negli anni cruciali per la formazione del carattere una compiuta esperienza di vita, ha contribuito alla costruzione del suo ego in direzione di una pressoché totale ingenuità. Con questo espediente narrativo l’autore esprime la propria aspirazione a tratteggiare una figura umana che possa impersonare positivamente la soluzione del problema etico, così come aveva in mente.

Nonostante la grande originalità della traccia fondamentale del romanzo, che lo colloca senza dubbio tra le più importanti opere letterarie del XIX secolo, Dostoevskij non sfugge tuttavia del tutto a enfatizzare alcuni dei topoi più utilizzati del periodo, ad esempio la opposizione dell’innamoramento canonico a quello scaturito dalla pietà. Ma le lettrici e i lettori che hanno maggior dimestichezza con il romanzo russo e disponibilità ad accorgersi dell’intertestualità di un romanzo, non potranno non avvedersi della stretta parentela tra Jurij Živago e il principe Myškin. L’energia spirituale che li accomuna si svolge all’interno di un disegno poetico-narrativo di notevole grandezza, estendendosi da una Russia sovvertita e tormentata – dal nichilismo dell’epoca di Dostoevskij alla rivoluzione bolscevica dell’epoca di Pasternak – a uno scenario molto più ampio dove sono in gioco non solo i destini dei singoli personaggi ma di un’intera comunità. Proseguendo la riflessione sull’interstestualità non si può non scorgere la derivazione di Lara da Nastas’ja Filippovna, di Komarovskij e Strel’nikov da Tockij e Rogožin. Questa breve riflessione vale a mostrare in che maniera potente l’opera di Dostoevskij abbia influito su tutta la letteratura russa a lui successiva.

Importante anche il contributo che Dostoevskij fornisce, secondo me con piena consapevolezza, a una “teoria del personaggio minore”. Dice infatti, nel capitolo III della IV parte:

«Non va dimenticato che i motivi delle umane azioni sono ordinariamente molto più vari e complessi di quanto ci figuriamo a fatto compiuto. Meglio è pel narratore attenersi alla nuda esposizione dei fatti. E così noi faremo nello svolgimento della crisi del generale; poiché, per quanto c’ingegnassimo di scansar lo scoglio, noi ci troviamo nell’assoluta necessità di concedere a questo personaggio secondario del nostro racconto un po’ più di posto e di attenzione di quanto in principio si credeva.»

Con questa frase l’autore indica il punto d’incontro tra una personalità infinitamente complessa e la forma necessariamente finita del romanzo, costruendo su questa intersezione quello che diventa lo “spazio del personaggio”. Anche questo consente a Dostoevskij di mettere a punto la sua tipica forma narrativa, estremamente originale e complessa, che culmina nel porre l’autore su una posizione di onniscenza per quel che concerne i pensieri dei personaggi, e contemporaneamente di totale ignoranza della loro sorte finale. L’Idiota è certamente il romanzo che gli diede più problemi in questa direzione e l’autore sperimenta quindi il superamento della difficoltà di far comprendere avvenimenti e personaggi con strumenti di tipo giornalistico caratteristici dell’epoca, come il ridurre i personaggi a “tipi” e riuscendo in questa direzione a ottenere un equilibrio notevole tra i personaggi minori e la complessità di quelli più importanti. Forse indotto a certe scelte narrative dalla necessità di pubblicare a puntate, riesce così a dipanare un tipo di narrazione che lascia aperto sia l’intreccio che il carattere dei personaggi fino al termine del romanzo, e forse anche oltre. E con questa dialettica tra i personaggi emergono delle domande che anche i lettori contemporanei non possono non trovare importanti.

Ma il fulcro del romanzo è certamente il tentativo di rappresentare la bontà. Dostoevskij aveva già iniziato la stesura del romanzo quando, il 31 dicembre 1867, scriveva a Majkov di aver dato corpo all’idea che aveva da tempo di “rappresentare un uomo del tutto buono” temendo però “di trarne un romanzo, perché è troppo difficile. Nulla di più difficile, specie al tempo nostro”. Alla nipote S.A. Ivanova scrive:

“È un compito smisurato; nel mondo è esistita una sola persona positivamente buona, Cristo, sicché l’apparizione di quest’uomo smisuratamente, sconfinatamente buono è uno sconfinato miracolo”.

La nipote Sofia Aleksandrovna Ivanova era la prediletta da Dostoevskij e a lei l’autore dedicò L’Idiota. Per tutto il 1868 avrebbe proseguito nella stesura dettandone il testo alla moglie. A ottobre scrive nuovamente a Majkov:

“L’idea dell’Idiota mi è volata via… ma sono amaramente convinto che mai ho avuto un’idea poetica più bella e ricca di quella che m’è venuta adesso nel piano della quarta parte”.

E scrive nuovamente alla nipote, a opera terminata, nel gennaio del 1869:

“Finalmente L’Idiota è finito! Ho composto gli ultimi capitoli giorno e notte in uno stato d’angoscia… Di questo romanzo non sono contento, non esprime nemmeno la decima parte di ciò che volevo.”

Conferma comunque di amare ancora molto “la mia idea abortita”.

La critica ha poi paragonato il principe Myškin talvolta a Don Chisciotte, più spesso a Cristo stesso, ed è portatore di questa idea il prefatore alla prima edizione integrale italiana Nicola Moscardelli – prefazione che abbiamo riportato in questo e-book. Ma Myškin non è, secondo me, una figura comica – chi inizia ad ascoltarlo sorridendo finisce invece serio – né messianica. Non si sente portatore di una missione sulla terra, non fa miracoli e, soprattutto, conosce il dubbio, l’incertezza, il timore. Ed è colpito da un male dal quale esce sì lucido, ma spossato e consapevole di non essersene liberato. Dostoevskij era ben consapevole di cosa si trattava. Riferendosi a Don Chisciotte scrive, nel Diario di uno scrittore: “la più amara ironia che si possa esprimere” è nella disfatta della bontà. E infatti Myškin resta con un pugno di mosche in mano. La bontà è dunque inutile, è disarmata per destreggiarsi tra le onde tempestose del presente. Aglaja infatti, che ama e stima Myškin, è impotente a trasformare in lui il senso di universale affetto per l’umanità in una attiva passione individuale. Ma la bontà sembra anche pericolosa… Rogožin lo afferma quasi esplicitamente, e il cristianesimo ortodosso ergendosi ad argine verso la corruzione cattolica appare l’ultimo baluardo di bontà verso la modernità occidentale, il liberalismo, il socialismo, la democrazia, la questione femminile.

Raramente un capolavoro della letteratura riesce a diventare soggetto per un film che sia un altrettanto indiscutibile capolavoro. In questo caso vi è riuscito Akira Kurosawa, con il suo Idiot (https://www.youtube.com/watch?v=mhLzTqy9q18&t=183s) del 1951 trasferendo la vicenda in un allucinato Giappone postbellico. Ma dei personaggi chiave forse il meno riconoscibile è proprio Myškin, Kinji Kameda nel film interpretato da Masayuki Mori. Quasi come se Kurosawa volesse dirci che violenza, disperazione, gelosia sono universali, la bontà assoluta invece non lo è affatto.

La traduzione italiana presentata in questo e-book è quella di Federigo Verdinois, definita da Mauro Martini, docente di letteratura russa all’università di Trento, “traduzione datata, ma ancora saporosa, ed è proprio la desuetudine della lingua di Verdinois a far maggiormente risaltare la più che attuale radicalità dei temi affrontati.”

Sinossi a cura di Paolo Alberti.

Dall’incipit del libro:

Sulla fine di novembre, con un tempo umido e freddo, verso le nove del mattino, il treno di Varsavia arrivava a tutto vapore a Pietroburgo. Così fitta era la nebbia, che a stento albeggiava: a destra e a sinistra, dai finestrini del vagone, era difficile distinguere qualche cosa. Fra i passeggeri ce n’erano di quelli che rimpatriavano; ma soprattutto erano piene le carrozze di terza classe, e la gente minuta che le occupava non veniva di molto lontano. Tutti, come suole, erano stanchi, gli occhi pesanti, le membra intirizzite, le facce giallognole.
In una di queste carrozze di terza, ai primi guizzi dell’alba, due viaggiatori, presso lo stesso sportello, si trovarono di fronte: giovani entrambi, non eleganti, dalla fisonomia abbastanza espressiva, desiderosi evidentemente di attaccar discorso. Se avessero saputo l’uno dell’altro per quale motivo, in quel momento, tutti e due erano degni di nota, avrebbero certo stupito del caso che li aveva messi di fronte. Uno dei due, piccolo, sui ventisette anni, capelli ricciuti e quasi neri, occhietti grigi pieni di fuoco. Aveva il naso largo e schiacciato, sporgenti gli zigomi, sottili le labbra che si atteggiavano di continuo ad un sorriso che poco differiva da un ghigno: ma la fronte spaziosa e ben modellata temperava l’ingrata impressione prodotta dalla parte inferiore del viso. Specialmente notevole un suo pallore da cadavere, che lo faceva parere esausto di forze sebbene di robusta complessione, ed anche non so che di appassionato fino alla sofferenza, che mal s’accordava col ghigno beffardo e con la vivacità soddisfatta e quasi impertinente degli occhi. Avvolto in una calda pelliccia d’agnello, non aveva sentito il freddo della notte, mentre il suo compagno aveva dovuto sperimentar nella schiena tutto il rigore del notturno autunno russo, al quale, evidentemente, non era preparato.

Scarica gratis: L’idiota di Fëdor Mihajlovič Dostoevskij.