In questo secondo tomo, apparso nel 1763 e contenente 21 epistole, seguiamo il Baretti nel proseguimento del suo viaggio, in un succedersi di tappe che dalla località portoghese di Mafra lo conducono infine in Spagna.
Agli aspetti e alle notazioni descrittive e paesaggistiche che privilegiano buona parte del primo volume, qui subentrano con maggior frequenza motivi ed episodi che più direttamente lo avvicinano a una umanità variegata e spesso di bassa lega, incontrata strada facendo e da lui presentata con sapida bonomia, sarcastica critica e intollerante astio, a seconda dei casi e del proprio umore. A farne le spese sono in primo luogo le consuetudini di vita dei portoghesi che, salvo poche eccezioni, sul piano culturale gli appaiono di manifesta ignoranza, logorroico egocentrismo e insopportabile faciloneria; mentre sul lato comportamentale a colpirlo negativamente sono soprattutto la scarsa igiene individuale (specie negli “stallages” ai punti di sosta), la sfacciataggine che non difetta neppure nelle donne, l’indolenza e la cattiveria unita all’ingratitudine.
Peraltro in non poche circostanze il Baretti non manca di coinvolgersi o di vedersi volentieri coinvolto in situazioni anche involontariamente piacevoli e divertenti: così, tra balli improvvisati, a Elvas finisce quasi ammaliato da una splendida danzatrice rubacuori che mette in pericoloso repentaglio la sicumera del suo celibato; a Estremoz viene preso nel mezzo di altrettanto inattese e buffe mascherate; presso Talavera partecipa a una concitata razzia di uva fra gli altrui vigneti, dimentico di un perbenismo tante volte conclamato; e, ancora, a Meaxaras è egli stesso che improvvisa una festa estemporanea con distribuzione di monetine per i ragazzi poveri del luogo, descrivendola in pagine godibilissime. Ma non di rado le divagazioni odeporiche danno lo spunto per esprimere delle riflessioni nello spirito del migliore giornalismo letterario del tempo, quali il vacuo intellettualismo dei sedicenti dotti, la monotonia del vivere quotidiano, l’opportunità di recuperare il retaggio della civiltà moresca, e le prospettive esistenziali dischiuse dall’innesto del vaiolo, la più eclatante scoperta scientifica del secolo.
Il resoconto si arresta a Zevolla, agli inizi dell’itinerario spagnolo: a farlo interrompere fu il governo portoghese, che forse non a torto piccato dalla malalingua barettiana, si mosse al punto da poter bloccare la stampa degli altri due tomi previsti dal piano editoriale. L’autore avrebbe pubblicato integralmente il suo viaggio solo nel 1770, in lingua inglese e ampiamente rimaneggiato rispetto al disegno originario.
Sinossi a cura di Giovanni Mennella
Dall’incipit del libro:
La giornata d’oggi è stata sì buona, che già mi sono scordato quel coltrone con quel mattonato su cui giacqui jernotte; tanto più che stasera avrò un buon letto da rifarmi la persona. Così va il mondo! Un po’ d’affanno, un po’ di gaudio. I beni sono misti a’ mali, e i mali a’ beni. Tutti i dotti dicono così, tutti gl’ignoranti dicono così; e tutti dicono come va detto. Ma non perdiamoci nelle note, che mi rimane ancora troppo del testo. Pure il palagio, e il real convento di Mafra s’abbiano pazienza, che la fantasia gravida di cose infinitamente meno grandi, ma infinitamente più piacevoli, sdegna di volgersi a descriverli, e vuole ch’io l’ajuti prima a sgravarsi di quello che l’ha dilettata oggi. Stamattina dunque io, e il signor Edoardo, e il nostro vecchio oste, e il nostro principe Africante, cioè il negro di Senegal nostro calessero, ci mettemmo ciascuno a cavalcioni sul nostro rispettivo asinello, e cominciammo a salire l’erta costa di un monte fatto a mo’ di pan di zucchero. Giunti in due ore sulla sua più puntuta vetta, scendemmo dalle orecchiute cavalcature, ed entrammo in un piccolo convento abitato da quattro o cinque fraticelli Girolamiti, che ne ricevettero con molta umanità. Dopo che n’ebbero condotti nella loro chiesuola a render grazie a Dio del buon viaggio, ne diedero il benvenuto con un bicchierino di vin bianco e con una fetta di pane per ciascuno accompagnata da una dozzina di fichi, che non fecero poco a non farsi inghiottire anco le vesti, tanto erano buoni. Quindi ne fecero vedere il resto del convento, che sarebbe capace di cinque o di sei padri di più, se il terremoto non n’avesse sconquassata una parte.
Scarica gratis: Lettere familiari a’ suoi tre fratelli Filippo Giovanni e Amedeo. Tomo secondo di Giuseppe Baretti.