L’opera più fortunata fra le molte che scrisse Giuseppe Baretti (1719-1789) sono i due tomi di Lettere familiari indirizzate ai tre fratelli durante il viaggio compiuto tra l’agosto e il novembre del 1760 in Spagna e in Portogallo muovendo dall’Inghilterra, dove qualche anno prima s’era trasferito.

La relazione è incompleta, e per leggerla tutta bisogna ricorrere alla traduzione in inglese che egli stesso curò ed accrebbe in quattro volumi nel 1770, ormai definitivamente trasferito in Gran Bretagna; tuttavia già questo primo tomo, che è interamente dedicato al trasferimento per mare e al soggiorno a Lisbona e dintorni, è sufficiente a delineare il particolare carattere del Baretti, che, come nell’esercizio del suo impegno culturale e letterario, anche viaggiando ha modo di mostrarsi persona generosa, schietta, d’indole amabile e perfino simpatica, ma anche insofferente, irrequieta, facile a impennarsi e soprattutto polemica.

Di piacevole lettura, le Lettere familiari attestano la sua ormai compiuta maturità narrativa, sorretta da uno stile personalissimo in una prosa variegata nella fraseologia e ricca di neologismi. Non vi si troveranno dettagliate descrizioni paesaggistiche, digressioni minute sulle cose viste o da vedere e neppure circostanziate notizie sulla vita quotidiana e sui costumi, perché qui il taglio espositivo è giornalistico: quello, cioè, che nel corso del XVIII secolo era venuto a esprimersi sui giornali e sulle riviste culturali che si distinguevano per una informazione nella quale i contenuti eruditi e accademici passavano in secondo piano o non figuravano affatto rispetto alle tematiche di carattere sociale e di impegno civile; in questa innovatrice formula comunicativa (che in lui annovera un eminente pioniere) anche le relazioni odeporiche finivano perciò con lo svolgere un ruolo di sfondo, se non di pretesto per aprirsi ad argomenti attuali e a riflessioni condotte nel più genuino ideale illuministico di un incessante progresso.

Chi oggi scorre le Lettere non si sorprenderà, dunque, che vi abbiano larga parte aspetti quali l’emancipazione femminile, la necessità dello studio delle lingue, l’innesto del vaiolo, i valori della società inglese del tempo, e la convivenza fra e nei popoli; e forse ancor meno si stupirà nello scoprire che in questo impianto sostanzialmente prosastico emergono tuttavia delle pagine superbe, nelle quali l’educazione del letterato e le manifestazioni del suo spirito bizzarro, se non si fondono in un’inscindibile unità compositiva, spesso si alternano nel dar luogo a peculiari e interessanti ambivalenze descrittive: così, quando prevale la penna del letterato, nella narrazione primeggia una umanità corale come è quella che movimenta il drammatico affresco del recente terremoto di Lisbona, affidato a un sapiente ritmo espositivo che lo ha imposto a generazioni di antologisti; o come è quella che nella stessa città anima lo spettacolo della corrida, raccontato con partecipe e disgustata curiosità. Quando invece a prevalere è una penna più spiccatamente caratteriale, a prendersi la scena è una umanità individuale rappresentata per lo più da gente di tutti i giorni, e per lo più incontrata nelle tappe del viaggio: e allora un popolo eterogeneo e quasi sempre anonimo di viandanti, locandieri, sacerdoti, militari, mulattieri, ragazzaglie e servi d’ogni risma e moralità è promosso a effimero protagonista di coloriti episodi e di gustose scenette itineranti, a suggello delle radici burlesche di una formazione culturale che continua a collocare le Lettere nella sfera di un’accattivante atemporalità.

Sinossi a cura di Giovanni Mennella

Dall’incipit del libro:

Finalmente posdomane partiamo, se altro non accade di molto stravagante, cioè se qualche nuova stravagante cosa non entra nel cervello di questo signor Edoardo, il quale ora sotto un frivolo pretesto, ora sotto un frivolissimo m’ha tenuto impiccato fra il si e il no per più di quattro mesi. Se avessi tosto conosciuto questo signore per quell’uomo irresoluto e dubitativo, ch’egli è, non mi sarei lasciato sedurre da una settimana all’altra; ma sarei partito solo, e per la via di Parigi, come avevo dapprima stabilito di fare. Pure il disiderio di vedere una parte d’Inghilterra, che non ho ancora veduta, e il Portogallo, e la Spagna m’ha fatto aver flemma, e m’ha fatto tener saldo con questo Procrastinatore. Or via, noi partiamo posdomane, cosicchè fra pochi mesi rivedrò il mio Filippo, il mio Giovanni, il mio Amedeo. Il cuore mi fa delle capriole sotto la poppa manca, il sangue mi gorgoglia nelle vene, il cervello mi si scuote nel cranio per piacere, pensando che fra pochi mesi li rivedrò tutti tre, che li abbraccerò, che li bacerò, che li morderò d’amore dopo un assenza di quasi dieci anni. Oh allegrezza ineffabile! Oh gusto superlativo! Sedermi a mensa con uno d’essi a fronte, e uno per ciascun lato, e sentire un decennio de’ lor casi, e raccontare un decennio de’ casi miei, e scordare almeno per qualche ora che siam mortali, sommergendo per qualche ora tutte le mondane cure nell’Oceano della fraternale benevolenza!

Scarica gratis: Lettere familiari a’ suoi tre fratelli Filippo Giovanni e Amedeo di Giuseppe Baretti. Tomo I