di
Le mille e una notte
Novelle arabe

Storia della principessa Qulnara

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— Sire – disse allora la bella schiava – il mio nome è Gulnara del Mare; il mio defunto padre era uno dei più potenti re del mare, e morendo lasciò il suo regno ad un mio fratello chiamato Saleh ed alla regina mia madre.

Noi vivevamo tranquillamente nel nostro Regno ed in una pace profonda, quando un nemico invidioso della nostra felicità entrò nei nostri Stati con un potente esercito, penetrò fino nella nostra capitale, e se ne impadronì, dandoci solo il tempo di salvarci in un luogo inaccessibile con alcuni ufficiali fedeli i quali non ci abbandonarono.

In quell’asilo mio fratello mi chiamò un giorno in disparte e mi disse:

— Sorella mia gli eventi delle più piccole imprese possono avere incerta riuscita: io posso soccombere in quella che medito, di rientrare cioè ne’ nostri Stati, e sarei meno dolente della mia disgrazia, di quella che potrebbe accadere a voi. Per prevenirla e preservarvene, desidererei prima vedervi maritata. Ma nel cattivo stato in cui sono i nostri affari, vedo che non potete sposarvi con uno dei nostri principi del mare. Desidererei che potreste risolvervi di sposarvi con un principe della terra.

Questo discorso di mio fratello mi cagionò una gran collera contro di lui.

Egli mi lasciò tanto poco soddisfatta di me quanto io lo era di lui, e nel dispetto che io era mi slanciai dal fondo del mare ed andai ad approdare all’isola della Luna.

Ad onta del gran disgusto che m’aveva costretta ad andarmi a gettare in quell’isola, non lasciai di vivervi assai contenta, e mi ritirai in luoghi remoti, ove stava comodamente.

Nondimeno le mie precauzioni non impedirono che un uomo di qualche distinzione, accompagnato da domestici, non mi sorprendesse mentre dormiva e mi condusse seco.

Egli mi dimostrò molto amore e non tralasciò nulla per persuadermi a corrisponderlo: ma quando vide che non guadagnava nulla colla dolcezza, credé che sarebbe riuscito meglio colla forza.

Peraltro io lo feci sì ben pentire della sua insolenza, che risolse di vendermi, e fui comprata dal mercante, il quale mi ha condotta e venduta alla Maestà Vostra.

Questo mercante era un uomo saggio, dolce ed umano, e nel lungo viaggio che mi fece fare non mi ha mai dato occasione di lagnarmi di lui.

— Riguardo a Vostra Maestà – continuò la principessa Gulnara – se non aveste avuto per me tutte le considerazioni, delle quali vi sono obbligata; se non m’aveste dato prove d’amore con una sincerità della quale non ho potuto dubitare, se senza esitare non aveste cacciate tutte le vostre mogli, io non sarei tornata con voi. Io mi sarei gettata in mare dalla finestra di quella stanza ove m’incontraste la prima volta, e sarei andata a trovare mia madre, mio fratello ed i miei congiunti. Per questo, Sire, sia una principessa od un principe quello che metterò al mondo, sarà un pegno che mi obbligherà a non separarmi mai più dalla Maestà Vostra; spero anche che non mi riguarderete più come una schiava, ma come una principessa non indegna della vostra alleanza.

In tal guisa la principessa Gulnara terminò di far conoscere e di raccontare la sua storia al re di Persia.

— Mia leggiadra ed adorabile principessa – esclamò allora quel monarca – voi siete la mia regina e regina di Persia, come io ne sono il re: questo titolo sarà presto divulgato in tutto il mio Regno. Da domani rimbomberà nella mia capitale con feste non ancora vedute, che faranno conoscere che voi siete mia legittima sposa. Vi è una cosa che mi arreca pena e vi supplico spiegarmi. Non posso comprendere come mai potete vivere, operare, muovervi nelle acque senza annegarvi.

— Sire – rispose la regina Gulnara – io soddisferò la Maestà Vostra con molto piacere. Noi camminiamo nel fondo del mare nello stesso modo che si cammina sulla terra, e respiriamo nell’acqua come si respira nell’aria, laonde, invece di soffocarci come soffoca voi, contribuisce alla nostra vita. Il più notevole ancora è che non bagna i nostri abiti e che quando veniamo sulla terra ne usiamo senza bisogno di asciugarli. Il nostro linguaggio è lo stesso come la scrittura incisa sul suggello del gran Profeta.

Quello però che ho da dirvi, o Sire, è che i parti delle donne di mare sono differenti da quelli delle donne di terra: e però temo che le levatrici di questo paese mi assistino male nel mio parto. La Maestà Vostra, non avendovi meno interesse di me, aggradendolo, io credo conveniente per la sicurezza de’ miei parti, di far venire la regina mia madre con alcune cugine che ho, nello stesso tempo il re mio fratello, col quale ho gran desiderio di riconciliarmi.

— Signora – rispose il re di Persia – voi siete la padrona: fate quanto vi piacerà: io cercherò di riceverli con tutto l’onore possibile.

— Sire – soggiunse la regina Gulnara – non vi è già bisogno di queste cerimonie, perché dessi giungeranno qui in un momento, e la Maestà Vostra vedrà in qual modo arriveranno, senza far altro ch’entrare in questo camerino e guardare per la gelosia.

Quando il re di Persia fu entrato nel camerino, la regina Gulnara si fece portare un piccolo braciere con dentro del fuoco da una delle sue schiave, la quale rimandò, dicendole di chiudere la porta.

Come fu sola, prese un pezzo di legno d’aloe da una cassetta, lo pose sul braciere, ed appena ne vide comparire il fumo, pronunciò delle parole sconosciute al re di Persia, il quale osservava con attenzione quanto faceva, ed ella non aveva ancora terminato che l’acqua del mare si turbò, ed incontanente ne uscì un giovine ben fatto e di bella statura, coi mustacchi di erba di mare.

Una donna avanzata in età, ma con un’aria maestosa, ne sorse dopo di lui con cinque giovanette.

La brigata si avanzò con spinta dalla superficie del mare, senza camminare, e quando tutti furono sulla riva, si slanciarono leggermente l’uno dopo l’altro sulla finestra dove la regina Gulnara era apparsa e da cui s’era ritirata per dar loro luogo.

Il re Saleh, la regina sua madre, e le sue cugine l’abbracciarono con moltissima tenerezza, e con le lacrime agli occhi a misura ch’entravano.

Quando la regina Gulnara li ebbe ricevuti con tutto il possibile onore, e quando ebbe loro fatto prender posto sul sofà, la regina madre prese la parola:

— Figliuola mia – le disse – provo molta gioia nel rivederti dopo una sì lunga assenza, e son sicura che vostro fratello e le vostre cugine ne provano quanto me. Ma lasciamo questo discorso e metteteci a parte di quanto vi è accaduto dacché non vi abbiamo veduta.

La regina Gulnara si gettò ai piedi della regina sua madre, e dopo averle baciata la mano, rialzandosi rispose:

— Signora, ho commesso un gran fallo, lo confesso; quello che sto per dirvi vi farà conoscere come alcune volte invano si ha ripugnanza per certe cose.

Ella le raccontò quanto le era accaduto dopo che il dispetto l’avea fatta risolvere al alzarsi dal fondo del mare per venire sulla terra.

Quand’ebbe terminato, raccontò infine come fosse stata venduta al re di Persia, presso cui si trovava.

— Sorella mia – le disse il re suo fratello – voi avete un gran torto di aver sofferte tutte queste indegnità. Alzatevi, e ritornate con noi nel regno che ho acquistato sul fiero nemico che se ne era impadronito.

Il re di Persia, che intese queste parole dal camerino in cui stava, ne fu molto accorato e disse fra sé:

— Ah! son perduto!

Ma la regina Gulnara non lo lasciò lungo tempo nel timore in cui stava.

— Fratel mio – rispose ella sorridendo – io non potei sopportare il consiglio da voi datomi di sposarmi con un principe della terra: oggi poco è mancato che non mi fossi incollerita con voi per quello che mi dite, di lasciar l’impegno contratto col più potente e col più famoso di tutti i principi della terra. Io non parlo già dell’impegno di una schiava col suo padrone, poiché in tal caso ci sarebbe agevole il restituirgli le diecimila piastre d’oro che gli son costata. Io parlo di quello di una moglie con un marito, e d’una moglie che non può addurre motivo alcuno di malcontento dalla parte sua.

Desso è un monarca saggio, moderato, che m’ha dato le più efficaci prove d’amore, e non poteva darmene una più segnalata che di congedare, fin dai primi giorni che mi ebbe, tutte le sue mogli, onde attaccarsi unicamente a me. Io son sua moglie avendomi egli dichiarata regina di Persia per partecipare a’ suoi consigli. Io dico di più, che sono incinta e che se ho la felicità col favore del cielo di avere un figliuolo, sarà un nuovo legame che mi legherà a lui più inseparabilmente.

Il re di Persia, il quale stava nel camerino, per quanto era stato afflitto dal timore di perdere la regina Gulnara, provò altrettanta gioia nel vedere che essa era risoluta a non abbandonarlo.

Mentre il re di Persia s’intratteneva così con piacere incredibile, la regina Gulnara aveva picchiato colle mani e comandato a delle schiave che erano entrate di servir subito la colazione.

Quando questa fu servita, ella invitò la regina sua madre, il re suo fratello, e le due cugine d’avvicinarsi a mangiare. Ma essi ebbero tutti lo stesso pensiero, che senza averne domandato il permesso, si trovavano nel palazzo d’un potente re, che non li aveva mai veduti e non li conosceva punto, e che sarebbe stata una grande inciviltà il porsi a tavola senza di lui.

La regina Gulnara che aveva dubitato di quel che fosse e che aveva compresa l’intenzione dei suoi congiunti, non fece che dir loro, alzandosi dal suo luogo, che sarebbe tosto ritornata: ed entrata nel camerino rassicurò il re colla sua presenza.

— Sire – gli disse – non dubito che la Maestà Vostra non sia molto contenta della prova di riconoscenza che le professo per tutte le obbligazioni di cui le son debitrice. Non dipendeva che da me l’acconciarmi ai loro desiderî e di ritornare con essi nei nostri Stati: ma io non sono capace di una ingratitudine.
Essi muoiono dal desiderio di vedervi e di assicurarvene loro stessi. Adunque io supplico la Maestà Vostra di volere entrare e onorarli della vostra presenza.

Il re di Persia, rassicurato da queste parole, si alzò dal suo posto ed entrò nella camera colla Gulnara, che lo presentò alla regina sua madre, al re suo fratello, ed alle sue cugine, le quali immantinente si prostrarono.

Il re di Persia corse subito a loro, obbligandoli a rialzarsi, e li abracciò l’un dopo l’altro.

Terminata la colazione, il re di Persia conversò con essi molto innanzi nella notte, e quando fu tempo di andarsi a coricare li condusse egli medesimo ciascuno all’appartamento fatto loro preparare.

Il re di Persia regalò i suoi illustri ospiti di continuate feste nelle quali non tralasciò nulla di quanto potesse fare apparire la sua grandezza e la sua magnificenza, e tanto fece che li impegnò a restare alla sua corte fino al parto della regina.

Partorì finalmente e dette alla luce un figliuolo con grande gioia della regina sua madre, che l’assisté e andò a presentarlo al re. Il re di Persia ricevé il bambino con una gioia indicibile.

Siccome il volto del piccolo principe suo figliuolo era sfavillante di bellezza credé non potergli dare un nome più conveniente di quello di Beder.

Dopo che la regina Gulnara si fu alzata da letto, un giorno in cui il re di Persia, la regina Gulnara, la regina sua madre, il re Saleh suo fratello e le principesse loro congiunte conversavano insieme nella camera della regina, la nutrice vi entrò col piccolo principe Beder.

Il re Saleh si alzò dal suo posto, corse a lui, e dopo averlo preso dalle braccia della nutrice nelle sue, si mise a baciarlo ed accarezzarlo con grandi dimostrazioni di tenerezza. Fece dapprima più giri nella camera giuocando e tenendolo sospeso colle mani in aria; poscia tutto ad un tratto nel trasporto della sua gioia, si slanciò da una finestra la quale trovavasi aperta e si immerse nel mare col principe.

Il re di Persia, a quello spettacolo, cacciò spaventevoli grida nella credenza che non avrebbe più riveduto il principe suo caro figliuolo.

— Sire, – gli disse la regina Gulnara con viso sereno per rassicurarlo, – la Maestà Vostra non tema nulla. Il piccolo principe è tanto mio figlio quanto il vostro e non l’amo meno di quello che lo amiate voi, nonpertanto vedete che non ne sono accorata, non dovendolo punto essere. Esso non corre alcun rischio, e vedrete bentosto comparire il re suo zio, che lo porterà sano e salvo.

Infatti poco appresso il mare si turbò e si vide il re Saleh uscirne col piccolo principe tra le braccia: e sostenendosi nell’aria rientrò per la stessa finestra per cui era uscito.

Il re di Persia fu lieto e assai meravigliato nel vedere il principe Beder tanto tranquillo, quanto lo era allorché aveva cessato di vederlo.

Il re Saleh gli disse:

— Da quello che la maestà vostra ha veduto può giudicare del vantaggio che il principe Beder ha acquistato per parte della regina Gulnara mia sorella. Finché vivrà, e tutte le volte che vorrà, sarà libero d’immergersi nel mare, e di percorrere i vasti imperi che esso chiude nel suo seno.

Ciò detto il re Saleh, che aveva rimesso il piccolo Beder tra le braccia della nutrice, aprì una cassa presa nel suo palazzo nel tempo in cui era disparso, piena di trecento diamanti grossi quanto un uovo di piccione, d’un egual numero di rubini di una straordinaria grossezza, altrettante verghe di smeraldi della lunghezza di un mezzo piede, e trenta file di collane di perle ciascuna di dieci.

— Sire – diss’egli al re di Persia presentandogli quella cassa – quando siamo stati chiamati dalla regina mia sorella, ignorando in qual luogo della terra fosse, ed avesse avuto l’onore di diventar sposa a un sì grande monarca, è stato cagione che siamo venuti colle mani vuote. Non potendo testimoniare sufficientemente la nostra riconoscenza alla Maestà Vostra, supplichiamo di aggradire questa debole prova, in considerazione dei singolari favori che vi è piaciuto impartirle, ed ai quali noi non partecipiamo meno di lei.

Non si può esprimere quale fu la sorpresa del re di Persia quando vide tante ricchezze chiuse in sì piccolo spazio.

Alcuni giorni dopo, il re Saleh dichiarò al re che la regina sua madre, le principesse sue cugine ed egli non avrebbero un più gran piacere che di passare tutta la loro vita alla sua Corte: ma essendo lungo tempo che stavan lungi dal loro Regno, ed essendovi la loro presenza necessaria, lo pregarono di toglier commiato da lui e dalla regina Gulnara. Il re di Persia mostrò loro quanto fosse il suo dispiacimento di non poterli trattenere, di usare con essi la medesima cortesia, andando loro a far visita nei propri Stati.

Il piccolo principe Beder fu nutrito ed allevato nel palazzo sotto gli occhi del re e della regina di Persia, e lo videro crescere ed aumentare in bellezza con grande soddisfazione.

Quando il principe di Persia ebbe raggiunta l’età di quindici anni, eseguiva tutti i suoi esercizi con maggior destrezza e buona grazia dei suoi maestri. Oltre a ciò era d’una saviezza e di una prudenza ammirabili.

Il re di Persia, che aveva riconosciuto in lui, fin dalla nascita, le virtù sì necessarie ad un monarca, e d’altra parte accorgendosi ogni giorno delle grandi infermità della decrepitezza, non volle aspettare che la sua morte gli desse luogo di metterlo in possesso del suo Regno.

Il giorno della cerimonia fu designato: ed in quel giorno in mezzo al suo Consiglio più numeroso del solito, il re di Persia, che dapprima si era assiso sul trono, ne discese, si tolse la corona dalla testa, la pose su quella del principe Beder, e dopo averlo aiutato a salire sul suo posto, gli baciò la mano in segno che gli rimetteva tutta la sua autorità e tutto il suo potere: dopo la qual cosa si mise al di sotto di lui tra i visir e gli emiri.

Nel primo anno del suo regno il re Beder adempì a tutte le regali funzioni con una grande assiduità e sopratutto ebbe gran cura d’istruirsi dello stato degli affari e di tutto quello che poteva contribuire alla felicità dei suoi sudditi.

L’anno seguente, dopo ch’ebbe lasciata l’amministrazione degli affari al suo Consiglio, col permesso dell’antico re suo padre, uscì dalla capitale sotto il pretesto d’una partita di caccia, ma veramente per visitare tutte le provincie del suo Regno, affine di correggervi gli abusi, di stabilirvi il buon ordine e la disciplina dovunque e togliere ai principi suoi vicini mal intenzionati il desiderio di nulla intraprendere contro la sicurezza dei suoi Stati, facendosi vedere sulle frontiere.

A questo giovane, re non abbisognò meno di un anno intero onde eseguire il suo disegno.

Poco tempo dopo il suo ritorno, il re suo padre cadde pericolosamente ammalato.

Morì poco tempo dopo con cordoglio intenso del re Beder e della regina Gulnara, i quali fecero portare il suo corpo in un superbo mausoleo proporzionato alla sua dignità.

Terminati i funerali, il re Beder non ebbe pena a seguire il costume della Persia, di piangere i morti per un intero mese e di non veder nessuno per tutto quel tempo.

Quando il mese fu scorso, il re non poté dispensarsi di dare accesso al suo gran Visir ed a tutti i signori della sua Corte, i quali lo supplicarono di smettere l’abito di lutto, di farsi vedere a’ sudditi, e di riprendere la soma degli affari come prima.

Il re Saleh ritornossene ne’ suoi stati del mare colla regina sua madre e le principesse, appena vide aver Beder riprese le redini del governo, e tornò solo a capo d’un anno; Beder e la regina Gulnara furono lietissimi di rivederlo.

Una sera all’alzarsi da mensa si posero a parlare di diverse cose. Insensibilmente il re Saleh entrò a far le lodi del re suo nipote, e dichiarò alla regina sua sorella quanto fosse soddisfatto della saviezza con cui egli governava: il che gli aveva acquistata una grande riputazione non solo presso i re suoi vicini, ma anche fino a’ più lontani regni.

Il re Beder, che non poteva sentir parlare sì vantaggiosamente della sua persona, e non volendo per creanza impor silenzio al re suo zio, si volse dall’altro lato e finse di dormire.

Dalle lodi che non riguardavano se non la condotta meravigliosa e lo spirito superiore, il re Saleh passò a quelle del corpo, e ne parlò come d’un prodigio che non aveva nulla di simile, né sulla terra, né nei regni al disotto delle acque del mare di cui aveva cognizione.

— Sorella mia – esclamò egli tutto ad un tratto – son meravigliato che non abbiate ancora pensato a trovargli una sposa.

— Io ne conosco una – soggiunse il re Saleh parlando a voce bassa – ma prima di dirvi chi è, vi prego di vedere se il re mio nipote dorme, e vi dirò perché bisogna che prendiamo questa precauzione.

La regina Gulnara si volse, e veduto Beder nella situazione in cui stava, non dubitò per nulla che non dormisse profondamente.

Il re Beder intanto, invece di dormire, raddoppiò la sua attenzione.

— Non è a proposito – continuò il re Saleh – che il re mio nipote abbia sì tosto cognizione di quello che debbo dirvi. L’amore, come voi sapete, s’introduce qualche volta per l’orecchio, e non è necessario che egli ami in questo modo quella che ho a nominarvi, vedendo di fatto, grandi difficoltà a superare, non dal lato della principessa, come lo spero, ma dalla parte del re suo padre. Non ho che a nominare la principessa Giauhare ed il re di Samandal.

— Che dite voi, fratel mio – esclamò la regina Gulnara, – la principessa Giauhare non è ancor maritata? Io mi ricordo d’averla veduta poco tempo prima di separarmi da voi; aveva diciotto mesi ed era dotata d’una bellezza sorprendente.

Parlarono qualche tempo sul medesimo soggetto, e prima di separarsi convennero che il re Saleh sarebbe ritornato subito nel suo Regno per fare la domanda della principessa Giauhare al re di Samandal pel re di Persia.

La regina Gulnara ed il re Saleh, credendo che il re Beder dormisse veramente, lo svegliarono quando vollero ritirarsi, ed egli riuscì assai bene a fingere.

L’indomani il re Saleh volle toglier commiato dalla regina Gulnara e dal re suo nipote, il quale ben sapendo che suo zio partiva sì presto per andare a formare la sua felicità, senza por tempo in mezzo non lasciò cangiare argomento a quel discorso.

La sua passione era sì viva da non permettergli di star senza vedere l’oggetto che la cagionava. Però prese la risoluzione di pregarlo a volerlo condurre con lui: ma, non volendo che la regina sua madre non ne sapesse niente, affine di avere occasione di parlare in particolare a suo zio, l’impegnò di rimanere ancora quel giorno onde prender parte ad una partita di caccia, risoluto di profittare di quell’occasione per manifestargli il suo disegno.

La partita di caccia ebbe luogo, e il re Beder si trovò più volte solo col re suo zio, ma non osò aprir bocca per dirgli una sola parola di quello che aveva designato.

Nel più forte della caccia, essendosi il re Saleh separato da lui, e non restandogli nessun ufficiale né famigliare vicino, scese a terra, presso ad un ruscello, e dopo avere attaccato il suo cavallo ad un albero, si coricò in mezzo alle zolle, lasciando libero il varco alle sue lacrime che scorsero in abbondanza accompagnate da sospiri e da singhiozzi.

Il re Saleh, appena lo vide nella situazione in cui stava, non dubitò che non avesse inteso il discorso avuto colla regina Gulnara, e che non fosse innamorato.

Scese a terra lontano da lui, e dopo aver attaccato il cavallo ad un albero, fece un gran giro, ed avvicinatosegli senza far rumore, lo intese pronunciare queste parole:

— Amabile principessa del regno di Samandal, indubitamente non si è mai fatto che un debole abbozzo della vostra incomparabile bellezza.

Il re Saleh, non volendo sentir altro, si avanzò, e facendosi vedere a re Beder, gli disse:

— A quel che sento, caro nipote, voi avete ascoltato ciò che dicevamo l’altro giorno.

— Zio mio – rispose il re Beder – io non ne ho perduta una sola parola. Poi soggiunse: – Voi sapete che la regina mia madre non permetterà mai che l’abbandoni, e questa scusa mi fa meglio conoscere la durezza che avete per me. Se mi amate quanto dite, bisogna che ritorniate in quest’istante nel vostro regno e che mi conduciate con voi.

Il re Saleh costretto a cedere alla volontà del re di Persia, trasse un anello che aveva in dito, ov’erano scolpiti gli stessi nomi misteriosi che sul suggello di Salomone, e presentandoglielo, gli disse:

— Prendete quest’anello, mettetevelo al dito, e non temete né le acque del mare, né la sua profondità.

Il re di Persia prese l’anello, e quando se l’ebbe messo in dito:

— Fate come me – gli soggiunse il re Saleh.

In pari tempo s’alzarono leggermente nell’aria, avanzandosi verso il mare, a loro vicino, e immergendovisi.

Il re marino non mise molto tempo ad arrivare al suo palazzo col re di Persia suo nipote, che condusse subito all’appartamento della regina sua avola, la quale l’abbracciò con grandi dimostrazioni.

L’indomani il re Saleh tolse commiato da lei e dal re di Persia, e partì con una schiera scelta e poco numerosa dei suoi ufficiali e famigliari. Giunse ben presto al Regno di Samandal, al cui re chiese ed ottenne udienza.

Si alzò dal suo trono appena lo vide, e il re Saleh gli si prostrò innanzi, augurandogli il compimento di quanto poteva desiderare.

Il re di Samandal subito s’inchinò per rialzarlo, e dopo averlo fatto sedere vicino a lui, gli domandò in che cosa mai potesse rendergli servigio.

— È vero, Sire – soggiunse il re Saleh – ho una grazia a chiedere a Vostra Maestà, e mi guarderei bene dal domandarvela se non fosse in vostro potere di concedermela. La cosa dipende da voi assolutamente, ed invano la domanderei ad ogni altro. Io ve la chieggo dunque con tutte le possibili istanze, e vi supplico a non ricusarmela.

— Se la cosa è così – replicò il re di Salamandal – non avete che a dirmi di che si tratta, e vedrete in qual modo io so far piacere, quando lo posso.

— Sire – gli disse allora il re Saleh – non dissimulerò più oltre venir io a supplicarvi di onorarci del vostro parentado col matrimonio della principessa Giauhare vostra onorevole figliuola, e fortificare in tal guisa la buona intelligenza che unisce due regni da sì lungo tempo.

A questo discorso il re di Samandal dette in grandi scoppi di risa. Il re Saleh fu estremamente offeso e durò molta fatica a frenare il suo giusto risentimento.

— Che Dio, Sire – riprese egli con tutta la moderazione – vi ricompensi come meglio meritate, e permettetemi di dirvi che io non domando la principessa vostra figliuola in matrimonio per me. Se non mi aveste interrotto avreste ben compreso che la grazia che vi chieggo non riguarda me, ma sibbene il giovine re di Persia mio nipote, la cui potenza e grandezza non meno delle sue personali qualità, non debbono esservi sconosciute. Ciascuno riconosce esser la principessa Giauhare la più bella donna esistente sotto la cappa del cielo; come il giovine re di Persia è il principe più ben fatto e più compito che vi sia sulla terra ed in tutti i regni del mare. Però come la grazia ch’io chieggo non può tornare se non a gloria vostra e della principessa Giauhare, non dubito non vogliate dare il vostro consenso ad un tale parentado. La principessa è degna del re di Persia, e questo non è men degno di lei, e non vi è principe al mondo che possa disputargliela.

Il re di Samandal scoppiò finalmente in ingiurie atroci ed indegne di un gran re:

— Cane – egli esclamò – tu osi tenermi questo discorso, e profferire anche il nome di mia figlia innanzi a me! Che s’imprigioni l’insolente, e gli si mozzi il capo!

Gli ufficiali, che in piccolo numero stavano intorno al re di Samandal, s’apprestarono ad obbedire: ma essendo il re Saleh nella forza della età, leggiero e robusto, fuggì prima che avessero tratta la sciabola, ed uscì fuori del palazzo, ove trovò mille uomini dei suoi congiunti.

Il re Saleh, raccontata loro la cosa in poche parole, si pose a capo d’una grossa schiera, mentre gli altri restarono alla porta di cui presero possesso, e ritornò sui suoi passi. Dissipati i pochi ufficiali e le poche guardie che lo avevano inseguito, rientrò nell’appartamento del re di Samandal che venne immantinente imprigionato.

Il re Saleh lasciò bastanti persone presso di lui per assicurarsi della sua persona, ed andò di appartamento in appartamento in cerca della principessa Giauhare: ma al primo rumore, questa principessa slanciatasi alla superficie del mare colle donne che si eran trovate presso di lei, si era salvata in un’isola deserta.

Mentre accadevano queste cose al palazzo del re di Samandal, alcuni famigliari del re Saleh, avendo presa la fuga alle prime minacce di quel re, cagionarono alla regina madre un grand’affanno, annunziandole il pericolo in cui l’avevan lasciato.

Il giovane re Beder, si slanciò dal fondo del mare: e siccome non sapeva qual via prendere per ritornare al regno di Persia, si salvò nella stessa isola nella quale si trovava la principessa Giauhare.

Essendo quasi svenuto, andò ad assidersi al piede di un grand’albero.

Mentre riprendeva le sue forze, sentendo parlare, tese le orecchie: ma era troppo lontano per poter comprendere quello che si diceva. Alzatosi ed avanzando senza far rumore dalla parte d’onde veniva il suono delle parole, scorse tra le foglie una donna dalla cui bellezza rimase abbagliato.

— Senza dubbio – disse fra sé fermandosi e considerandola con attenzione – questa è la principessa Giauhare.

Senza fermarsi di più si fece vedere, ed avvicinandosi alla principessa con una profonda riverenza, le disse:

— Signora, io non posso sufficientemente ringraziare il cielo del favore che mi fa oggi d’offrire ai miei occhi ciò che vi ha di più bello. Non poteva accadermi una più grande felicità dell’occasione di potervi offrire i miei umilissimi servigi che vi supplico, signora, di accettare.

— Egli è vero, signore – rispose la principessa Giauhare con tono assai tristo – che è straordinarissimo ad una signora del mio grado di trovarsi nello stato in cui sono. Io son principessa, figliuola del re di Samandal, e mi chiamo Giauhare. Stavo tranquillamente nel suo palazzo e nel mio appartamento, quando tutto ad un tratto ho inteso uno spaventevole rumore e mi si è venuto immantinente ad annunciare che il re Saleh, non so per quale cagione aveva forzato il palazzo e si era impadronito del re mio padre, dopo aver fatto man bassa su tutti quelli della sua guardia che gli avevan fatta resistenza. Io non ho avuto che il tempo di salvarmi e di cercar qui un asilo.

La principessa, al primo vederlo, alla sua buona ciera, al suo aspetto ed alla bella grazia con cui si era presentato, l’aveva riguardato come una persona non dispiacevole; appena seppe da lui stessa che era stato la cagione del cattivo trattamento usato a suo padre, pel dolore e per lo spavento che aveva provato per sé, e per la necessità in cui era stata ridotta di prendere la fuga immantinente, lo considerò come un nemico col quale non doveva aver nulla di comune.

Nondimeno, senza manifestar nulla del suo risentimento, immaginò un mezzo di liberarsi destramente dalle sue mani; e però, fingendo di volerlo compiacere così gli rispose con tutta la maggior cortesia possibile:

— Signore, voi siete dunque il figlio della regina Gulnara, sì celebre per la sua singolare beltà? Ne provo molta gioia, e son lieta di vedere in voi un principe degno di lei. Il re mio padre non ha gran torto di opporsi ad unirci insieme, ma son certa che appena vi avrà veduto, non esiterà più a renderci felici.

Ciò detto, gli presentò la mano in segno d’amicizia.

Il re Beder si credette al sommo della sua felicità, ed avanzata la mano, e presa quella della principessa, si chinò per baciarla con rispetto; ma la principessa non gliene dette il tempo, e gli disse respingendolo e percuotendolo nel viso:

— Temerario, lascia questa forma d’uomo e prendi quella di un uccello bianco col becco e i piedi rossi!

Appena ella ebbe pronunciate queste parole, il re Beder fu cangiato in un uccello di quella forma, con sua grandissima mortificazione e meraviglia.

— Prendetelo – diss’ella ad una delle sue donne – e portatelo nell’isola secca.

Quest’isola ero una spaventevole roccia, ove non si trovava neppure una goccia d’acqua.

La donna prese l’uccello, e nell’eseguir l’ordine della principessa Giauhare, ebbe compassione del destino del re Beder, e lo portò in un’isola ben popolata.

Ritornando al re Saleh, dopo aver cercato egli stesso la principessa Giauhare e averla fatta cercare per tutto il palazzo senza trovarla, fece chiudere il re di Samandal nel proprio palazzo sotto buona guardia; e quando ebbe dati ordini necessari pel governo del regno in sua assenza, andò a render conto alla regina sua madre di quanto aveva fatto.

Domandato al suo arrivo ove fosse il re suo nipote, intese con grande sorpresa e molto dispiacere essere egli disparso. Nello stesso giorno in cui il re Saleh era partito per ritornare al regno di Samandal, la regina Gulnara, madre del re Beder, arrivò presso sua madre.

Questa grande regina sarebbe stata ricevuta dalla regina sua madre con gran piacere, se appena l’ebbe scorta non avesse dubitato della cagione che l’aveva condotta.

— Figlia, mia – le disse – non è già per vedermi che siete venuta qui, ben me n’accorgo. Voi venite a chiedermi notizie del vostro figliuolo, e quelle che ho da dirvi aumenteranno la vostra afflizione.

Ella fece il racconto dello zelo con cui il re Saleh era andato a fare egli stesso la domanda della principessa Giauhare e di quanto era accaduto fino alla sparizione del re Beder.

La regina Gulnara riguardando il suo caro figliuolo come perduto, lo pianse amaramente, dando tutta la colpa al re suo fratello. La regina Gulnara, tolto commiato dalla regina madre, ritornò al palazzo della capitale di Persia prima che nessuno si fosse accorto della sua lontananza.

Per ritornare al re Beder, che la donna della principessa Giauhare aveva portato e lasciato nell’isola come abbiamo detto, quel monarca si trovò assai meravigliato quando si vide solo e sotto la forma di un uccello.

A capo di alcuni giorni un contadino, assai destro nel prendere gli uccelli colle reti, giunse al luogo ove si trovava e provò una gran gioia quando ebbe scorto un sì bell’uccello. Adoprò tutta la destrezza di cui era capace, e prese così bene le sue mire che afferrò l’uccello. Lieto di sì bella caccia, lo pose in una gabbia e lo portò alla città.

Invece di fermarsi al mercato, il contadino andò al palazzo ove si fermò innanzi all’appartamento del re che stava ad una finestra donde vedeva tutto quello che accadeva nella piazza.

Com’ebbe scorto l’uccello, mandò un ufficiale degli eunuchi coll’ordine di comprarlo, e quello andato dal contadino, gli chiese a quanto volesse venderlo.

— Se serve per la Maestà Sua – rispose il contadino – la supplico di concedermi che gliene faccia un dono.

L’ufficiale portò l’uccello al re, il quale lo trovò tanto particolare, che incaricò l’ufficiale di portar dieci piastre d’oro al contadino.

Dopo ciò, il re pose l’uccello in una magnifica gabbia, ordinando di dargli cibi di più specie, affinché scegliesse quello che più gli aggradisse.

Essendosi già imbandita la mensa, mentre il re dava quest’ordine, l’uccello, sbattute le ali, sfuggì dalle sue mani, e volò sulla tavola ove si pose a beccare ora in un piatto ora in un altro con grandissima sorpresa del re, che mandò l’ufficiale degli eunuchi ad avvertire la regina di venir a vedere quella meraviglia.

Appena giunta e veduto l’uccello si coprì il volto col velo e volle ritirarsi.

Il re meravigliato da quell’atto, tanto più che non stavan nella camera se non gli eunuchi e le donne che l’avevan seguita, le chiese per qual motivo si fosse coperta.

— Sire – rispose la regina – non ne sarete più meravigliato quando saprete che questo uccello non è già un uccello, come v’immaginate, ma sibbene un uomo.

Affinché il re non potesse più dubitare, ella gli raccontò il come e il perché la principessa Giauhare si fosse in tal guisa vendicata.

Il re ebbe compassione del re di Persia, e pregò la regina di rompere l’incantesimo che lo ratteneva sotto quella forma. La regina vi consentì, e disse al re:

— Sire, compiacetevi entrare nel vostro scrittoio con l’uccello: e tra pochi minuti vi farò vedere un re degno della considerazione che avete per lui.

L’uccello, il quale aveva terminato di mangiare, per stare attento al colloquio del re e della regina non dette al re la pena di prenderlo, ma passò il primo nello scrittoio, e la regina entrò subito dopo con un vaso pieno d’acqua in mano. Essa pronunciò sul vaso delle parole sconosciute al re finché l’acqua, cominciò a gorgogliare, ne prese allora nella mano e gettandola su l’uccello disse:

— Per la virtù delle parole sante e misteriose che ho pronunciate, ed in nome del Creatore del cielo e della terra, lascia questa forma d’uccello e ripiglia quella che hai ricevuta dal tuo Creatore!!!

Appena la regina ebbe terminate queste parole, il re vide apparire invece dell’uccello un giovine principe. Il re Beder si prostrò immantinente rendendo grazie a Dio del favore ricevuto.

— Sire – disse il re Beder – l’obbligazione che ho alla Maestà Vostra è sì grande, che dovrei restare per tutta la mia vita presso di voi onde mostrarvene la mia riconoscenza. Ma giacché voi non mettete limiti alla vostra generosità, io vi supplico di volermi concedere uno dei vostri vascelli per ricondurmi in Persia, ove temo che la mia assenza abbia cagionato del disordine, ed anche la regina mia madre, cui ho nascosta la mia partenza, non sia morta dal dolore.

Il re gli concedette quanto domandava: il vascello fu ben presto fornito di tutti i suoi mozzi, marinai, soldati, provvigioni e munizioni necessarie; ed appena fu favorevole il vento, il re Beder vi s’imbarcò.

Il vascello mise alla vela col vento in poppa, andando magnificamente per dieci giorni senza interruzione, l’undecimo giorno invece divenne un poco contrario, e da ultimo fu sì violento che cagionò una tempesta furiosa.

La più gran parte dell’equipaggio fu sommersa, dell’altra alcuni si fidarono nella forza delle loro braccia per salvarsi a nuoto, mentre alcuni s’appresero a qualche pezzo di legno o a qualche tavola.

Beder fu degli ultimi, e trasportato ora dalle correnti, ora dalle onde, in una grande incertezza del suo destino, si accorse finalmente ch’era vicino alla terra, e poco lontano da una città di grande apparenza.

Ma avanzandosi nell’acqua onde raggiungere la spiaggia, fu assai sorpreso di veder accorrere da ogni parte cavalli, cammelli, muli, asini, bovi, vacche, tori, ed altri animali, mettendosi in modo da impedirgli di porvi il piede, e durò le più grandi fatiche onde vincere la loro ostinazione ed aprirsi un varco.

Il re Beder finalmente entrò nella città, e vide diverse strade belle e spaziose, ma senza entrarvi nessuno, con sua grandissima meraviglia.

Nondimeno avanzando, notò più botteghe aperte. S’avvicinò ad una di quelle botteghe ov’erano più specie di frutta esposte in vendita in una maniera assai conveniente, e salutò un vecchio che stava seduto.

— Entrate, non restate più oltre alla porta – replicò il vecchio – perché potrebbe accadervi del male. Soddisfarò intanto la vostra curiosità e vi dirò la cagione per cui è bene che prendiate questa cautela.

— È mestieri sappiate, – soggiunse il vecchio – che questa città si chiama la Città degl’incanti e ch’essa è governata da una regina, la più bella del suo sesso, ed è anche Maga: ma la più perfida e pericolosa che si possa conoscere. Voi ne sarete convinto quando saprete che tutti quei muli e gli altri animali veduti, sono altrettanti uomini così trasformati colla sua arte diabolica.

Questo discorso afflisse estremamente il giovine re di Persia.

— Ohimè! – esclamò egli – a qual punto estremo son ridotto dal mio indegno destino! Sono appena liberato da un incanto di cui sento ancora orrore, che già mi vedo esposto a qualche altro più terribile.

Ciò gli porse occasione di raccontare la sua storia al vecchio, di parlargli della sua nascita, della sua qualità, della sua passione per la principessa di Samandal e della crudeltà che essa aveva avuto di cangiarlo in uccello.

Il vecchio volle assicurarlo, dicendogli:

— Voi siete in sicurezza nella mia casa, e vi consiglio di restare, se così vi piace: e, purché non ve ne allontaniate, vi garantisco non vi accadrà nulla che possa darvi cagione di dolervi della mia ospitalità.

Il re Beder ringraziò il vecchio della ospitalità e della protezione che gli dava con tanta buona volontà. Sedutosi all’ingresso della bottega, la sua giovinezza e il suo bell’aspetto attirarono gli occhi di tutti i passeggieri. Molti si fermarono anche e si congratularono col vecchio di aver fatto acquisto di uno schiavo sì ben fatto, com’essi si immaginavano.

— Non credete già ch’egli sia uno schiavo – diceva loro il vecchio. – Questo è mio nipote, figliuolo di un fratello ch’è morto, e siccome non ho figliuoli, l’ho fatto venire per tenermi compagnia.

Era circa un mese dacché vivevano insieme, quando un giorno in cui il re Beder stava seduto all’ingresso della bottega secondo il solito, la regina Labe (così si chiamava la regina maga) passò innanzi alla casa del vecchio con gran pompa. Il re Beder non ebbe appena veduta l’avanguardia camminare innanzi a lei, che si alzò, entrò nella bottega e chiese al vecchio suo ospite ciò che quello significasse.

— È la regina che passa – rispose quegli.

Le giovani damigelle salutarono il vecchio a misura che passavano, e la regina, tocca dal buon aspetto del re Beder, si fermò innanzi alla bottega, e disse al vecchio chiamandolo per nome:

— Abdallah, ditemi, vi prego, è vostro questo schiavo sì leggiadro e sì ben fatto? È lungo tempo che ne avete fatto acquisto?

Prima di rispondere alla regina, Abdallah si prostrò contro terra e rialzandosi rispose:

— Signora, è un mio nipote, figliuolo di un mio fratello morto non ha guari! Non avendo io prole, lo tengo come figliuolo e l’ho fatto venire per mia consolazione.

La regina Labe, che non aveva veduto nessuno da comparare al re Beder, pensò di fare in modo che il vecchio glielo abbandonasse.

— Buon padre – soggiuns’ella – non volete farmi la cortesia di darmelo in dono?

— Signora – rispose il buon Abdallah – io sono infinitamente obbligato alla Maestà Vostra di tutte le bontà che ha per me e dell’onore che vuol fare a mio nipote: ma egli non è degno d’avvicinare una sì gran regina.

— Abdallah – rispose la regina – io m’era lusingata che m’amaste molto e non avrei mai creduto che doveste darmi una prova sì evidente del poco conto che fate delle mie preghiere, ma giuro anche una volta pel fuoco e per la luce, e per ciò che v’ha di più sacro nella mia religione, che non passerò oltre se non avrò prima vinta la vostra ostinazione!

— Signora – rispos’egli – la supplico solamente a differire di fare un sì grande onore a mio nipote, fino al primo giorno che tornerà a passare per qua.

— Sarà dunque domani – soggiunse la regina.

Quando la regina Labe ebbe terminato di passare con tutta la pompa che l’accompagnava, il buon Abdallah disse al re Beder:

— Figliuol mio, io non ho potuto, come voi stesso avete veduto, ricusare alla regina ciò che m’ha domandato. Ho qualche ragione per credere com’ella vi tratterà bene com’ella mi ha promesso, per la considerazione tutta particolare che ha per me.

Queste assicurazioni non fecero grand’effetto sullo spirito del re Beder.

La regina maga non mancò di passare l’indomani innanzi alla bottega del vecchio Abdallah colla stessa pompa del giorno innanzi, ed il vecchio l’attendeva col più grande rispetto.

S’era prostrato appena aveva veduto avvicinarsi la regina, si rialzò, e non volendo che niuno sentisse quello che aveva a dirle, s’avanzò con rispetto fino alla testa del suo cavallo ed a voce bassa le disse:

— Potente regina, son persuaso che la Maestà Vostra non prenderà in cattiva parte le difficoltà che feci ieri di confidarle mio nipote; ella deve aver comprese le ragioni che ho avute. Oggi volentieri glielo voglio abbandonare, ma la supplico a compiacersi di porre in dimenticanza tutt’i segreti di quella scienza meravigliosa che ella possiede in supremo grado. Io riguardo mio nipote come mio figliuolo, e la Maestà Vostra mi metterebbe alla disperazione se lo trattasse in un’altra maniera di quella che ha avuta la bontà di promettermi.

— Io ve lo prometto di nuovo – rispose la regina – e vi ripeto collo stesso giuramento d’ieri che sì voi come lui non avrete che a lodarvi di me.

— Eccolo, signora, io supplico la Maestà Vostra ancora una volta, a ricordarsi che è mio nipote, e di permettergli che venga a vedermi qualche volta.

La regina glielo promise, e per provargli la sua riconoscenza gli fece dare un sacco di mille piastre d’oro. Ella aveva fatto condurre un cavallo riccamente bardato come il suo, pel re di Persia, cui venne presentato, e mentre stava per mettere il piede nella staffa, la regina disse ad Abdallah:

— Io mi dimenticava di domandarvi come si chiama vostro nipote.

Com’ei gli ebbe risposto che si chiama Beder:

— Si sono male apposti – diss’ella – dovevano chiamarlo Schem.

Appena il re Beder fu salito a cavallo, andò per mettersi dietro alla regina; ma ella lo fece avanzare alla sua sinistra, e volle che camminasse al suo fianco.

Essa guardò Abdallah, e dopo avergli fatta una inclinazione di testa, ripigliò la sua strada.

La regina maga arrivò al suo palagio, e quando fu scesa a terra si fece dar la mano dal re Beder, ed entrò con lui accompagnata dalle sue donne, e dagli ufficiali de’ suoi eunuchi.

Ella stessa gli fece vedere tutti gli appartamenti ove non v’era che oro massiccio, gioielli e mobili d’una magnificenza singolare.

Parlarono di più cose indifferenti fino a che si venne ad avvertire la regina essere il pranzo in tavola.

La regina ed il re Beder si alzarono ed andarono a mettersi a tavola, ch’era d’oro massiccio, ed i piatti della stessa materia. Mangiarono senza bere quasi niente fino alla frutta, ma allora la regina si fece riempire la sua coppa d’oro d’eccellente vino, e dopo aver bevuto alla salute del re Beder, la fece riempire di nuovo senza lasciarla e gliela presentò.

Il re Beder la ricevette con molto rispetto.

L’indomani la regina ed il re Beder andarono al bagno appena furono alzati; all’uscirne le donne che vi aveano servito il re, gli presentarono della biancheria ed un magnifico abito.

La regina Labe trattò e regalò il re Beder in questo modo per quaranta giorni, come aveva costume di usare con tutt’i suoi amanti. La notte del quarantesimo in cui stavano coricati, credendo che il re Beder dormisse, si alzò senza far rumore: il re Beder, che stava svegliato, e che si accorse aver ella qualche disegno, finse di dormire e stette attento alle sue azioni.

Quando ella fu alzata, aprì una cassetta d’onde trasse un vasetto pieno d’una certa polvere gialla. Ella prese di quella polvere e fece una striscia attraverso la camera.

Immantinente quella striscia si cangiò in un ruscello d’acqua limpidissima. La regina Labe attinse dell’acqua del ruscello in un vaso, e ne versò in un bacino ove era la farina della quale fece una pasta ove mise certe droghe prese da differenti vasi, formandone una torta che pose in una casseruola coperta.

Siccome, prima di tutto essa aveva acceso un gran fuoco ne trasse della brace, vi mise sopra la cazzeruola e mentre la torta si cuoceva, ripose i vasi e le cassette al loro posto, ed a certe sue parole il ruscello disparve.

Quando la torta fu cotta, essa la tolse di sopra la brace, e la portò in un gabinetto, dopo di che andò a coricarsi di nuovo accanto al re Beder.

Questi, cui i piaceri e i divertimenti avevan fatto dimenticare il buon vecchio Abdallah suo ospite, si sovvenne di lui e credette aver bisogno del suo consiglio.

Appena fu alzato, manifestò alla regina il desiderio di andarlo a vedere, e la supplicò di voler esser tanto gentile da permetterglielo.

— Andate – soggiunse la regina – io ve lo permetto, ma ritornate presto, non potendo vivere un sol momento senza di voi.

Il vecchio Abdallah fu lietissimo di rivedere il re Beder; e senza aver riguardo alla sua qualità, l’abbracciò amorevolmente.

Quando si furon seduti, Abdallah domandò al re:

— Ebbene, come vi siete trovato, e come vi trovate tuttavia con quella maga infedele?

— Finora – rispose il re Beder – posso dire che ha avuto per me ogni specie di riguardi: ma ho notato una cosa questa notte che mi ha dato un giusto motivo di sospettare che tutto quello che ha fatto non è stato se non dissimulazione. Mentr’essa credeva ch’io dormissi, ho scoperto che pian piano s’è alzata e s’è allontanata da me con molta precauzione. Questo ripiego da lei preso ha fatto sì che invece di riaddormentarmi rimanessi ad osservarla, fingendo ciò nonostante di dormir sempre – e continuando il suo discorso gli raccontò come e con quali circostanze le avevo veduto fare la torta.

— Voi non vi siete ingannato – rispose il vecchio Abdallah – ma non temete di nulla: io so il mezzo di fare in modo che il male che vuol fare a voi ricada su di lei. Siccome io so ch’ella non tiene i suoi amanti più di quaranta giorni, e che invece di rimandarli cortesemente, ne fa altrettanti animali dei quali ne riempie le sue foreste, i suoi parchi e le sue campagne, ho preso fino da ieri gli espedienti per impedirle di trattarvi in tal modo.

Terminando queste parole, Abdallah mise due torte nelle mani del re Beder, e gli disse di custodirle per adoprarle poi come gli avrebbe indicato.

— Voi mi avete detto – soggiunse – che questa notte la maga ha fatto una torta, ciò indubitamente per farvene mangiare: ma guardatevi bene dal gustarne. Non pertanto non lasciate di prenderne un pezzetto quando ve la presenterà, ed invece di mettervela in bocca, fate in modo di mangiare in suo luogo una di queste due che vi ho date senza ch’ella se ne accorga.

Appena avrà creduto che abbiate inghiottito la sua, non mancherà d’intraprendere a trasformarvi in qualche animale: ma essa non vi riuscirà, ed allora volgerà la cosa in facezia, come se avesse voluto farlo per ridere e per cagionarvi un po’ di paura, mentre ne avrà un dispetto mortale nell’anima, immaginandosi d’aver mancato in qualche cosa nella composizione della sua torta. In quanto all’altra torta che vi ho data, gliene farete un dono e la solleciterete a mangiarne. Ella ne mangerà solo per non darvi cagione di diffidarvi di lei. Quando ne avrà mangiato, prendete un poco d’acqua nel cavo della mano, e gettandogliela in viso, ditele:

— Lascia questa forma e prendi quella di un tale o tal altro animale che più vi piacerà, e venite da me coll’animale.

Il re Beder dopo essersi trattenuto ancora qualche tempo con lui, lo lasciò e ritornò dalla regina Labe.

Arrivando, seppe che la maga l’aspettava nel giardino con grande impazienza.

Egli andò a cercarla, ed essa, non appena l’ebbe veduto, corse a lui con premura dicendoceli:

— Se più aveste differito, sarei io stessa venuta a cercarvi.

— Signora – rispose Beder – egli voleva tenermi con sé, ma io mi sono strappato alla sua tenerezza per venire dove l’amore mi chiamava e della colazione che m’aveva preparata, mi son contentato di prendere una torta che vi ho portata. Eccola, signora, vi supplico di aggradirla.

— Io l’accetto di buon grado – rispose la regina prendendola – e ne mangerò con piacere per amor vostro e di vostro zio, mio buon amico: ma prima voglio che per amor mio mangiate di questa, che ho fatto durante la vostra assenza.

— Bella regina – le disse il re Beder con rispetto – mani come quelle della maestà vostra non possono far nulla che non sia eccellente.

Il re Beder sostituì destramente in luogo della torta della regina l’altra che il vecchio Abdallah gli aveva data e ne ruppe un pezzo che portò alla bocca.

— Ah, regina – esclamò egli mangiandola – non ho mai mangiato nulla di più squisito!

Siccome eran vicini ad una fontana, la maga, tosto che vide aver egli inghiottito il pezzo, e che stava in procinto di mangiarne un altro, prese dell’acqua nel cavo della mano, e gettandoglielo nel viso, gli disse:

— Sciagurato, lascia questa forma d’uomo, e prendi quella di un brutto cavallo losco e zoppo!

Queste parole non fecero nessun effetto, e la maga fu estremamente meravigliata di vedere il re Beder nello stesso stato, dando solamente segni di grande spavento.

Arrossì tutta nel volto avendo veduto venirle fallito il colpo, gli disse:

— Caro Beder, non è nulla, rimettetevi: io non ho voluto già farvi del male; l’ho fatto solamente per vedere che cosa avreste detto!

— Potente regina – rispose il re Beder – lasciamo questo discorso, e poich’ho mangiato della vostra torta, fatemi la grazia di gustar la mia.

La regina Labe, che non poteva meglio giustificarsi se non dando questa prova di confidenza al re di Persia, ruppe un pezzo di torta e ne mangiò. Dopo che la ebbe inghiottita parve tutta turbata e restò come immobile. Il re Beder, senza perder tempo, prese dell’acqua nello stesso bacino, e gettandogliela in viso, esclamò:

— Abbominevole maga, lascia questa figura e prendi quella di una cavalla.

Immantinente la regina Labe fu cangiata in una cavalla bellissima, e la sua confusione fu tanto grande nel vedersi così trasformata, che versò lagrime in abbondanza.

Abbassò la testa fino a’ piedi del re Beder come per muoverlo a compassione: ma quand’anche egli si fosse lasciato commuovere, non era in suo potere di riparare al male che aveva fatto.

Egli menò la cavalla alla scuderia del palazzo, ove la pose fra le mani d’un palafreniere per farle metter la sella e la briglia. Fece poscia sellare e metter la briglia a due cavalli, uno per lui e l’altro pel palafreniere, dal quale si fece seguire fino alla casa del vecchio Abdallah colla cavalla a mano.

Il re Beder scese a terra arrivando, ed entrò nella bottega di Abdallah, che abbracciò ringraziandolo di tutti i servigi resigli. Gli raccontò l’accaduto, e gli disse pure di non aver trovata nessuna briglia propria per la cavalla.

Abdallah, tenendone una buona per tutti i cavalli, la pose egli stesso alla cavalla, ed appena il re Beder ebbe accomiatato il palafreniere coi due cavalli, gli disse:

— Sire, non avete bisogno di arrestarvi più oltre in questa città, salite sulla cavalla, e tornate al vostro Regno. La sola cosa che debbo raccomandarvi, si è che nel caso veniate a disfarvi della cavalla, di guardarvi bene dal darla colla briglia.

Il re Beder gli promise di sovvenirsene, e dopo avergli detto addio, partì.

Tre giorni dopo la sua partenza, arrivò ad una grande città, ed essendo in un sobborgo, fu incontrato da un vecchio di qualche considerazione, che andava a piedi ad una casa di campagna che quivi aveva.

— Signore – gli disse il vecchio fermandosi – mi è egli permesso chiedervi da qual parte venite?

Il re Beder si fermò eziandio per soddisfarlo, e come il vecchio gli faceva tante domande, una vecchia sopravvenne mettendosi a piangere e guardando la cavalla con tanti sospiri.

Il re Beder e il vecchio interruppero il loro colloquio per riguardare la vecchia, ed il re Beder le chiese qual motivo avesse di piangere.

— Signore – rispos’ella – si è che la vostra cavalla rassomiglia perfettissimamente ad una che aveva mio figlio e che io piango ancora per amor suo. Vendetela, ve ne supplico, ve la pagherò quanto vale, ed oltre a ciò ve ne avrò una grandissima obbligazione.

— Buona madre – replicò il re Beder – io ve la concederei volentieri, se mi fossi determinato a disfarmi d’una sì buona cavalla: ma quando ciò fosse, non credo vorreste darmi mille piastre d’oro, perché in questo caso non la stimerei meno.

Immantinente la vecchia slacciò una borsa che aveva intorno alla cintura, e presentandogliela esclamò:

— Abbiate la bontà di scendere, affinché contiamo se vi è la somma.

Il re Beder, molto afflitto d’essersi impegnato in così tristo affare con tanta inconsideratezza, scese a terra con grandissimo dispiacere.

La vecchia fu sollecita ad impadronirsi della briglia ed a torla alla cavalla, ed ancora più a prender nella mano dell’acqua di un ruscello che scorreva in mezzo alla via, e di gettarla sulla cavalla, dicendo queste parole:

— Figliuola mia lasciate questa strana forma e riprendete la vostra!

Il cangiamento si fece in un attimo e il re Beder, che svenne al veder comparire la regina Labe, sarebbe caduto per terra, se il vecchio non lo avesse sostenuto.

La vecchia, ch’era madre della regina Labe, e che l’aveva istruita di tutt’i suoi segreti nella magia, non ebbe appena abbracciata la figliuola per dimostrare la sua gioia, che in un istante fece apparire con un fischio un orribile Genio, di una figura e grandezza gigantesca.

Il Genio prese immantinente il re Beder sopra una spalla, abbracciò con un braccio la vecchia e la regina maga, e li trasportò in un momento al palagio della regina Labe, nella Città degli incanti.

Furiosa la regina maga, fece grandi rimproveri al re Beder appena fu di ritorno nel suo palagio dicendogli:

— Lascia questa forma d’uomo, e prendi la figura d’un brutto gufo!

Le sue parole furon seguite dall’effetto, ed immantinente comandò ad una delle sue donne di chiudere il gufo in una gabbia, e di non dargli né da bere né da mangiare.

La donna portò via la gabbia, ma senza aver riguardo dell’ordine della regina Labe, vi pose del mangiare e dell’acqua. Ed oltre a ciò, siccome era amica del vecchio Abdallah, mandò ad avvertirlo segretamente in qual guisa la regina avesse trattato suo nipote.

Abdallah vide bene che non v’era da transigere colla regina Labe. Egli non fece che fischiare in un certo modo, ed immantinenti un gran Genio a quattro ali si fece vedere innanzi a lui.

— Lampo – gli diss’egli, che così chiamavasi quel Genio – si tratta di conservare la vita del re Beder, il figliuolo della regina Gulnara. Va’ dunque al palazzo della Maga e trasporta sul momento alla capitale della Persia la donna piena di compassione cui la regina ha data la gabbia in custodia, affinché essa informi la regina Gulnara del pericolo che corre il re suo figliuolo e del bisogno che ha del soccorso di lei.

Lampo disparve e passò in un momento al palazzo della maga.

Istruita la donna, la rapì nell’aria, e la trasportò alla capitale della Persia, ove la posò sul terrazzo che corrispondeva all’appartamento della regina Gulnara.

La donna discese per la scala che vi conduceva, e trovò la regina, Gulnara e la regina Farasche sua madre.

Essa, fece loro una profonda riverenza, e dalla narrazione che fece, esse conobbero il bisogno che il re Beder aveva di essere prontamente soccorso.

A questa notizia la regina Gulnara provò un trasporto di gioia. Immantinente uscì e comandò che si suonassero le trombe e i tamburi del palagio, per annunziare a tutta la città che il re di Persia sarebbe ben presto giunto.

Ritornando, trovò il re Saleh, suo fratello, il quale la regina Farasche aveva già fatto venire.

Il re Saleh assembrò un potente esercito delle milizie dei suoi Stati marini, e s’alzò ben presto dal fondo del mare. Chiamò anche in suo soccorso i Genî alleati i quali comparirono con un altro esercito più numeroso del suo.

Quando i due eserciti furon riuniti, ne presero il comando la regina Farasche, la regina Gulnara e le principesse. Alzatisi nell’aria, scesero in pochi momenti sul palazzo e sulla Città degl’incanti, in cui la regina maga, la madre sua e tutti gli Adoratori del Fuoco furono distrutti in un batter d’occhio.

La regina Gulnara s’era fatta seguire dalla donna della regina Labe, ch’era andata a portarle la notizia dell’incanto e della prigionia del re suo figliuolo, e le aveva raccomandato di non aver altra cura nella mischia, se non d’andar a prendere la gabbia e di portargliela. Quest’ordine fu eseguito com’ella desiderava, ed aperta ella medesima la gabbia, ne trasse fuori il gufo, e gettando su lui dell’acqua, che s’era fatta portare, disse:

— Mio caro figliuolo, lascia questa figura strana e riprendi quella d’uomo.

Immantinente la regina Gulnara non vide più il brutto gufo, ma sibbene il re Beder suo figliuolo.

La prima cura della regina Gulnara fu di far ricercare il vecchio Abdallah, cui era debitrice della ricuperazione del re di Persia, e appena gli fu condotto innanzi gli disse:

— L’obbligazione che vi ho, è così grande, che non vi è nulla ch’io non sia pronta a fare per mostrarvene la mia riconoscenza: dite voi medesimo in che cosa posso servirvi e sarete subito soddisfatto.

— Gran regina – rispose egli – se la signora che vi ho inviata vuol consentire alla proposta di matrimonio che io le faccio, e se il re di Persia vuol soffrirmi alla sua Corte, io consacro di buon grado il resto de’ miei giorni al suo servizio.

La regina Gulnara si volse immediatamente dalla parte della signora, la quale era presente, ed avendo fatto conoscere con gentil pudore di non aver ripugnanze per quelle nozze, facendo loro prendere vicendevolmente la mano, il re di Persia ed essa ebbero cura della loro fortuna.

Questo matrimonio dette luogo al re di Persia di prendere la parola rivolgendosi alla regina sua madre, alla quale disse sorridendo:

— Signora, son lietissimo di questo matrimonio che avete contratto: ma ne resta uno a cui dovreste pensare.

La regina Gulnara non comprese dapprima di qual matrimonio intendesse parlare: e pensatovi un poco, appena lo ebbe compreso, rispose:

— Voi volete parlare del vostro, ed io vi consento molto volentieri.

Il re Saleh si fece portare un braciere con del fuoco, su cui gettò una certa composizione, dicendo delle parole misteriose; appena il fuoco cominciò ad innalzarsi, tremò il palagio, e si vide ben presto comparire il re di Samandal cogli ufficiali del re Saleh i quali lo accompagnavano. Il re di Persia si gettò immantinenti a’ suoi piedi, e rimanendo ginocchioni diss’egli:

— Sire, non è più il re Saleh che chiede alla Maestà Vostra l’onore del suo parentado col re di Persia: è lo stesso re di Persia che vi supplica di fargli questa grazia, e di non farlo morire di disperazione.

Il re di Samandal non soffrì più lungo tempo che il re di Persia restasse a’ suoi piedi.

Egli l’abbracciò, e dopo averlo obbligato a rialzarsi, così gli rispose:

— Sire, sarei molto dolente di contribuire in qualche cosa alla morte d’un monarca sì degno di vivere. S’egli è vero che una vita preziosa possa conservarsi senza il possesso di mia figlia, vivete, Sire, ella è vostra.

Continua…


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TITOLO: Storia della principessa Qulnara

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Le mille e una notte : novelle arabe. - Milano : Bietti, [1934]. - 541 p. : ill. ; 19 cm.

SOGGETTO:
FICTION PER RAGAZZI / Fantasy e Magia
FICTION PER RAGAZZI / Leggende, Miti, Fiabe / Generale