Alcune curiosità su una stella che ha appassionato poeti e cineasti

Il poeta Humbert Wolfe in un ritratto di Walter Benington, conservato presso la National Portrait Gallery di Londra
Il poeta Humbert Wolfe in un ritratto di Walter Benington, conservato presso la National Portrait Gallery di Londra

Il fascino esercitato da Betelgeuse non ha colpito solo gli astronomi ma anche i poeti. In particolare il poeta di lingua inglese Humbert Wolfe (1885-1940), nato a Milano da madre italiana.

La poesia di Wolfe dedicata a Betelgeuse è citata a pagina 21 di Theological Aesthetics di Richard Viladesau. Il testo piacque tanto che fu anche musicato dal compositore Gustav Holst nel 1929 (12 Humbert Wolfe Settings, Op. 48). Non mi azzardo a tradurre la poesia in italiano, ma segnalo in particolare l’ultima strofa, con la sua ardita metafora su Dio, che su Betelgeuse è solo una singola foglia tra milioni di foglie d’oro:

On Betelgeuse
the gold leaves hang in golden aisles
for twice a hundred million miles,
and twice a hundred million years
they golden hang and nothing stirs,
on Betelgeuse.

Space is a wind that does
not blow on Betelgeuse,
and time : oh time : is a bird,
whose wings have never stirred
the golden avenues of leaves
on Betelgeuse.

On Betelgeuse
there is nothing that joys or grieves
the unstirred multitude of leaves,
nor ghost of evil or good haunts
the gold multitude
on Betelgeuse.

And birth they do not use
nor death on Betelgeuse,
and the God, of whom we are
infinite dust, is there
a single leaf of those
gold leaves on Betelgeuse.

In una piccola monografia della American Association of Variable Star Observers (AAVSO) dedicata a Betelgeuse, stella variabile del mese di Dicembre del 2000, si può leggere una breve ricostruzione delle vicende che hanno portato al nome attuale:

Il nome «Betelgeuse» è una corruzione derivata dall’originale nomenclatura araba, dovuta a ripetute trascrizioni e traslitterazioni. Secondo George A. Davis (Sky & Telescope, Aprile 1995, n.237), c’è ampio accordo sul fatto che l’ultima parte del nome venga dal sostantivo arabo ‘al-Jawza”. Il significato «originale» di questa parola designa una pecora nera con una macchia bianca al centro del corpo, tuttavia gli studiosi hanno interpretato il significato come derivato da una parola araba simile, ‘jauz’, che vuol dire «il centro di qualcosa» o «quello al centro». Davis ritiene che la vera origine del nome sia ‘Yad al-Jawza”, «la zampa anteriore della pecora fasciata di bianco»; l’omissione di un punto diacritico sotto la ‘ya’ di ‘Yad’ avrebbe prodotto la sillaba traslitterata ‘bad’ o ‘bed’. Il passaggio dalla ‘d’ alla ‘t’ non necessita di spiegazione, ed ecco come si è evoluto il termine corrente, «Betelgeuse».

Nello stesso documento si può leggere anche una curiosità forse poco nota. Michael McDowell, sceneggiatore del film Beetlejuice (1988, regia di Tim Burton), scrive nel 1989 una lettera alla redazione della rivista Sky & Telescope, pubblicata sul numero di Aprile 1989. Nella lettera McDowell rassicura i lettori su un fatto: il film «prende davvero il suo titolo dalla stella rossa gigante in Orione». Lo sceneggiatore ricorda, inoltre: «Durante i quattro anni che trascorsi a Hollywood lavorando al progetto, mi sentii ripetutamente gratificato e talvolta sorpreso per la gente che rispondeva al titolo Beetlejuice con la domanda: «Oh, vuoi dire come la stella?»».

In inglese Betelgeuse è infatti pronunciato più o meno allo stesso modo di come si pronuncia il titolo del film.

La locandina del film Beetlejuice
La locandina del film Beetlejuice

Michele Diodati scrive sul blog astronomico Media Meraviglia.