L’opera qui digitalizzata è vecchia di circa 4000 anni, data infatti dall’epoca del Medio Regno (intorno al 1950 a. C.) e fu estremamente popolare fin dalla sua prima composizione. Ne sono giunte a noi diverse stesure su papiro, e non pochi ostrakoi (cocci) utilizzati a scopo didattico per esercitarsi nella scrittura. Fu tradotta nel 1921 da Giulio Farina, che nella prefazione contestualizza la narrazione nella società egiziana del Medio Regno, e chiarisce la sua decisione di rendere la metrica egiziana, che all’epoca non era ancora ben conosciuta, mediante una traduzione in versi per dare meglio al lettore l’idea di come potesse “suonare” ai suoi contemporanei questa avventura.

Sinûhe è un servitore del Faraone Ammenemat I, che sulla strada del ritorno da una spedizione in Libia apprende la morte del Faraone e, forse prevedendo lotte civili prima che il figlio Sesostri I riesca a prendere il trono in mano, fugge in Siria presso i Beduini. Viene accolto favorevolmente dai Beduini, e ne sposa la figlia del capo, diventando a sua volta capotribù, padre di numerosi figli e molto ricco. Ma col passare degli anni inizia a sentire la nostalgia della sua terra natale, dove vorrebbe recarsi per morire. Coglie quindi l’occasione di un invito di Sesostri per rientrare in Egitto, pur temendo di non essere accolto amichevolmente, e lascia tutto ai suoi figli. Sesostri invece lo accoglie come “amico”, lo copre di onori, e gli fa edificare una bellissima tomba.

Gli studiosi sono quasi tutti concordi che la storia sia romanzata, e non corrisponda ad una biografia nel senso in cui si intende oggi. L’ambientazione storica è comunque accurata.

Non va confuso questo testo con il romanzo Sinuhe l’egiziano di Mika Waltari, che tratta dell’Egitto del XIV secolo a. C., uscito nel 1945 (e in Italia nel 1950 per Rizzoli). L’altrettanto celebre film dallo stesso titolo, diretto da Darryl F.Zanuck nel 1950, si basa sul romanzo di Waltari.

Aggiungiamo qualche nota biografica sul traduttore. Giulio Farina (1889-1947) fu un celebre egittologo, e pubblicò questa sua traduzione nella collana divulgativa della rivista “Aegyptus”. Tra le sue opere scientifiche più celebri vi fu la Grammatica della lingua egiziana antica in caratteri geroglifici (1910), Le funzioni del visir faraonico sotto la XVIII Dinastia (1917), lavoro che gli valse la libera docenza, La pittura egiziana (1929) e il Papiro dei Re restaurato (1938); quest’ultimo lavoro dedicato a un prezioso reperto del Museo di Torino, di cui fu Direttore dal 1928. La moglie, la scrittrice Marianna Cavalieri, si avvalse della sua collaborazione per illustrare sulla base degli studi scientifici del marito, la vita degli antichi Egizi: ne è testimonianza il volumetto Sotto le ali d’oro – in Egitto quattromila anni fa.

Sinossi a cura di Gabriella Dodero

Dall’incipit del libro:

Il nômarca, principe,
sigillatore del Re del basso Egitto, «Amico unico»,

giudice, intendente dei domini
del Sovrano nelle terre dei Beduini Asiatici (Sṣ.tjw),

vero conosciuto dal Re, amato da lui,
uno del seguito, Sinûhe, egli dice:

Io, uno del seguito, seguente il suo Signore,
servo dell’Abitazione del Re,

(e) della nômarca, la grande nel favore,
moglie del Re Sanwo̐sre

in Ganm-sêwe,
figlia del re Amenemḥê’e

in Kaj-no̐fre, No̐fre,
signora di stima. ‒

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