Quando Linati decise di proporre all’editore Caddeo la traduzione – prima italiana – di questo “Poscritto” al famoso “L’assassinio come una delle belle arti”, il lettore italiano aveva già avuto modo di apprezzare questo saggio nelle pregevoli e autorevoli traduzioni di Vannicola prima e di Bontempelli poi; per quella di Pavolini si dovette aspettare ancora qualche anno. In questa conosciutissima opera di De Quincey l’ironia swiftiana è coniugata con quell’aspetto comico che inerisce allo stile più che al fatto e che De Quincey deriva dallo Sterne di Tristam Shandy. Il tutto nello spirito rarefatto del tipico humour inglese.

Ma nel Poscritto, che nelle traduzioni italiane di “L’assassinio…” non aveva mai trovato spazio, questa ironia e comicità viene quasi annullata – solo in un passo nella descrizione della seconda strage di Williams se ne può trovare traccia – per lasciare il posto a quell’atmosfera che sconfina facilmente tra sogno e incubo e che il lettore di De Quincey conosce bene perché anima costantemente la scrittura labirintica che gli è propria e che rimane in questa traduzione, anche se Linati avverte di averla opportunamente – secondo lui – sfrondata dalla digressioni che gli sono parse eccessive e che avvicinano De Quincey al suo riconosciuto maestro, Coleridge.

Dobbiamo all’attenta ricerca letteraria di Linati la scelta di brevi testi che fanno da corollario al principale. Dice lui stesso: “La gioia quando in una vecchia edizione miscellanea di De Quincey trovata su una banchina di Charing Cross scopersi la prosa “Suspiria de Profundis” pezzi di mirabile prosa, fantasia pressoché ignorata […]” Abbiamo quindi l’opportunità di leggere “Nostre donne di dolore” seguito poi da alcuni altri brevi testi incentrati sulla figura del suo grande punto di riferimento intellettuale, il poeta Wordsworth. A proposito di Nostre signore di dolore vale la pena di riportare, come spiega De Quincey stesso, la figura di Levana che ispira questo scritto:

«Chi è Levana? Lettore, che sostieni di non aver troppo tempo per erudirti, non ti dispiacerà che te lo spieghi. Levana era la dea romana che esercitava per il neonato il primo ministero di nobilitante benevolenza, tipico, nel suo rituale, di quella grandezza che è dappertutto propria dell’uomo e di quella benignità delle potenze invisibili che anche nel mondo pagano scende talvolta a sostenerla. Al momento stesso della nascita, proprio quando il neonato saggiava per la prima volta l’atmosfera del nostro travagliato pianeta, esso era deposto in terra. Questo gesto si prestava a diverse interpretazioni. Ma immediatamente, affinché una così nobile creatura non restasse in quell’umile posizione più di un istante, o la mano paterna in rappresentanza di Levana, o un parente prossimo in rappresentanza del padre, lo sollevava in alto, gli ordinava di stare eretto quale sovrano di tutto il mondo e ne volgeva la fronte verso le stelle dicendo, forse in cuor suo: «Ammirate ciò che è più grande di voi!» Questo atto simbolico rappresentava la funzione di Levana. E quella dama misteriosa che non rivelò mai il suo volto (salvo a me in sogno) ma sempre agì per procura, traeva il suo nome dal verbo latino (rimasto tuttora nell’italiano) levare, sollevare verso l’alto.»

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Se è impossibile propiziarsi la simpatia di lettori tanto tetri e lunatici da non sapere accostarsi a qualunque argomento giocoso, tanto meno poi se questa giocondità evade un po’ i confini della stravaganza. In tal caso non simpatizzare è come non comprendere, e la giocosità che non è compresa e gustata diventa cosa insipida o al tutto priva di senso.
E ancorchè molte di tali persone si siano allontanate con gran sdegno dalla mia conferenza, fortunatamente altre ne restano, una larga maggioranza, che proclamano alto il piacere che hanno ricevuto da queste mie povere carte, confermando con le loro lievi critiche la schiettezza della loro lode. Costoro m’hanno più volte osservato che in quella mia trattazione la stravaganza, quantunque intenzionale ed elemento della gaiezza generale del soggetto, passava ogni limite. Io non sono di codesta opinione, e prego questi miei benevoli censori di ricordare che uno degli scopi immediati cui tende questa mia chiacchierata è appunto di riuscire a rasentare i confini del terrore o di tutti quei sentimenti che nella realtà della vita appaiono troppo repulsivi. Di fatto un grande eccesso di stravaganza mantenendo vivo nel lettore e continuatamente quel senso di pura aeralità che investiva l’intera trattazione, è nello stesso tempo il mezzo più sicuro per liberarlo da quella sensazione d’orrore nella quale i suoi spiriti giacevano come immersi e trasognati.

Scarica gratis: L’assassino ed altre prose di Thomas De Quincey.