L’anitra selvatica (Vildanden), dramma in cinque atti, composto dal grande drammaturgo norvegese nel 1884, è considerato appartenere al periodo del teatro sociale di Ibsen, quello nel quale l’autore dedica un particolare interesse alle dinamiche tra i personaggi, che siano a livello famigliare letto come microcosmo della società (Casa di Bambola, Spettri, questo L’anitra selvatica,…) o ad un più vasto livello del consorzio civile (Le colonne della società, Un nemico del popolo, …). La prima rappresentazione del dramma si tenne al Teatro Nazionale (Komediehuset) di Bergen il 9 gennaio 1885.
L’ebook che qui si presenta è tratto dalla riedizione (1912) per i tipi di Treves della prima traduzione italiana a cura di Paolo Rindler ed Enrico Polese Santarnecchi, pubblicata nel 1894. Questa traduzione servì da copione per la prima messa in scena italiana, allestita nel settembre 1891 al Teatro Manzoni di Milano dalla compagnia Novelli-Leigheb.
Il dramma ruota tutto intorno al tentativo da parte di un figlio, Gregers (qui Gregorio), profondamente sdegnato per l’immoralità di suo padre, l’anziano Werle, e divenuto un esaltato moralista, di svelare ai vari personaggi, fino a quel momento sereni se non felici, quanto suo padre li abbia ingannati e manipolati. Il tentativo ha effetti sconvolgenti e drammatici.
L’anitra selvatica, che dà il titolo al dramma, è l’animale che, colpito in una battuta di caccia dall’imprenditore e commerciante Werle, ferito, rimane impigliato nelle alghe, sta per morire, ma, salvato, passa nelle mani di Ekdal, un vecchio impiegato di Werle, che lo cura e le ridà la salute. È un uccello migratorio e come tale è simbolo di rinascita.
Come l’anitra, quasi uccisa e poi salvata, i personaggi principali del dramma seguono, più o meno consciamente, lo stesso percorso, passando da momenti oscuri dell’esistenza, tentando di risorgere, ma ahimè, al contrario dell’uccello, senza salvezza finale. Gregers, il figlio di Werle, cerca di uscire dal pantano della sua vita – il disprezzo verso un padre colpevole di non assumersi le responsabilità di marito infedele e di spregevole datore di lavoro – perseguendo un suo ideale di uomo perfetto, ideale che cerca di trasmettere a chi lo circonda, per primo il suo amico Hjalmar (qui Erminio), ma con effetti catastrofici; Werle cerca di riemergere dalla sua abiezione provando a risarcire le sue vittime, ma il suo cinismo lo tradisce; il vecchio Ekdal tenta invano, nel suo abisso di emarginazione sociale in cui lo ha gettato Werle, di attaccarsi al passato; Hjalmar, figlio di Ekdal, sua moglie Gina e la loro giovane figlia Hedvig (qui Edvige) a stento si sono costruiti, sulle menzogne di Werle, una parvenza di serena vita famigliare, ma ahimè troppo fragile.
Anche in questo dramma è il sospetto di tare ereditarie trasmesse dalla madre di Gregers al figlio, tema che si è incontrato già nel dramma Spettri (1881).
Si trova qui, e si ritroverà ne Il costruttore Solness (1892), il tema dell’avanzare dell’età percepita da Werle in tutta la sua condizione di debolezza. Ma anche e soprattutto, in Werle come poi in Solness, Ibsen mostra la spietata risolutezza a manipolare a proprio piacimento le vite altrui. Ne sono vittime la moglie, e madre di Gregers, ripetutamente tradita; la povera Gina, offerta in passato alla sua passione sessuale; il vecchio Ekdal e suo figlio Hjalmar, giunti per la disperazione sull’orlo dei suicidio, a causa del disonore gettato su di loro per colpa di Werle. Di Gina e Hjalmar, Werle arriverà addirittura a combinare il matrimonio. Così Gregers arriva a dichiarare a suo padre:
«La tua vita mi sembra un campo cosparso di membra umane.»
Solo il dottor Relling, vicino di casa e amico degli Ekdal, sembra avere l’esatta percezione di tutto il dramma che si sta svolgendo sotto i suoi occhi a causa del moralismo di Gregers e della sua malattia, definita dal dottore “la febbre dell’onestà”. Relling accusa apertamente Gregers di cercare “nelle case degli altri” la rettitudine che non ha trovato all’interno della sua famiglia. Se da una parte Gregers vuole testardamente rivelare all’amico Hjalmar tutti gli inganni con cui lo ha legato suo padre Werle, dall’altra Relling sostiene che tutti gli uomini soffrono e l’unica cura efficace è illudere, mascherare la vita reale perché “non si è felici che colla menzogna, tutto è menzogna”.
Quando anche la paternità della piccola Hedvig viene messa in discussione, è impossibile non rievocare il dramma di Edoardo de Filippo Filumena Marturano (1946), di molto successivo al dramma di Ibsen, quando Don Mimì cerca di conoscere la paternità dei suoi figli. Filumena risponde:
«’E figlie so’ figlie e so’ tutt’eguale! […] ‘Figlie so chille che se teneno mbraccia quando so’ piccirille, ca te danno preoccupazione quanno stanno malate e nun te sanno dicere che se sénteno… che te corrono incontro cu’ è braccelle aperte, dicenno: “Papà” …»
Così è in L’anitra selvatica lo scambio di battute tra Hjalmar e Gina sulla paternità della loro figlioletta Hedvig:
«ERMINIO. Gina voglio sapere se…. se tua figlia ha il diritto di vivere sotto il mio tetto.
GINA. (fissandolo) E me lo domandi?
ERMINIO. Rispondimi Gina, Edvige è mia?.…
GINA. (lo guarda con disprezzo) Non lo so.
ERMINIO. (con un urlo) Miserabile, non lo sai!
GINA. E come può saperlo…. una donna come me?»
quella donna che gli è stata accanto, che lo ha amato e lo ama, che lo ha assistito nella depressione, aiutato nel nuovo lavoro … Ed Edvige è quell’amatissima figlia che Gino ed Erminia hanno insieme cresciuto con amore e dalla quale hanno ricevuto tutto l’amore del mondo. C’è da chiedersi chi ne sia il padre?
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del libro:
PIETRO. (accende una lampada, vi mette il paralume e la pone sul camino) Sentite Giovanni, il vecchio brinda alla signora Sorbi.
GIOV. (spingendo avanti una poltrona) È vero che tra lui e lei…. non so se mi spiego…. ci sia del tenero?
PIETRO. Dicono.
GIOV. Lui, una volta, fu un gran ruba cuori, nevvero?
PIETRO. Dicono.
GIOV. E questa festa è in onore del figlio? Così almeno sentii dire in cucina.
PIETRO. Sì, il signor Gregorio è arrivato ieri.
GIOV. Io non sapevo neppure che avesse un figlio.
PIETRO. Dacchè sono in casa Werle è la prima volta che lo vedo.
Un cameriere. (dalla soglia della porta grande) Pietro, c’è qui un vecchio che vuol vedervi ad ogni costo.
PIETRO (brontolando) Fate passare, chi può essere mai a quest’ora? (dalla stanza in fondo viene il vecchio Ekdal, avvolto in un grande mantello col bavero rialzato, tenendo in una mano un nodoso bastone, nell’altra un gran berrettone di pelo, ha sotto il braccio un involto di carte).
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