Goretti pubblicò questo breve saggio su “Rivista di Filosofia” nel 1928. Il lungo e tenace sodalizio con il filosofo Piero Martinetti – che era stato relatore della seconda laurea del Goretti stesso – non è certo estraneo alla scelta dell’argomento. Il dibattito sulla psiche dell’animale e sugli usi leciti che l’uomo può fare di questi esseri era in quegli anni piuttosto vivo. Si stava dibattendo in parlamento un’importante normativa tesa a limitare la pratica della vivisezione e non erano pochi tra medici, biologi, filosofi e politici a sostenere posizioni che potessero essere di tutela per gli animali. Ricordiamo, in ambito scientifico, Gennaro Ciaburri, in quello giornalistico Niccolò Grillo (alias Nigro Licò), in quello parlamentare il “bardotto della democrazia” (così definito da Antonio Gramsci) Innocenzo Cappa che dirigeva la rivista degli zoofili italiani “L’Idea zoofila e zootecnica”.
In campo filosofico non c’è però dubbio che la voce più autorevole fosse proprio quella di Piero Martinetti che sull’argomento fu certamente la personalità della cultura dell’epoca più sensibile. In La sapienza Indiana Martinetti scrive:
«Inoltre la morale buddhistica ha sulla evangelica questo vantaggio: essa insegna la carità verso tutti gli esseri, non soltanto verso gli uomini. Essa ha servito a diffondere nelle turbe indiane sensi di mitezza, di rispetto della vita animale di fronte a cui noi dobbiamo vergognarci come barbari. Ed anche il Buddhismo sembra credere che questo senso di carità dia a chi lo possiede una specie di potere magico: anche nelle leggende buddhiste, come nelle leggende cristiane, lo spirito di pace e di dolcezza ammansa le fiere e attira gli animali attorno all’uomo che sa essere verso loro pietoso e amico, non padrone crudele»
Martinetti sembra raccogliere il testimone leopardiano che, nella Dissertazione sopra l’anima delle bestie, scrive:
«Onde parmi di poter decidere, che è almeno assai più probabile, che l’anima delle bestie sia spirituale di quello che la medesima tenga un luogo di mezzo tra lo spirito, e la materia.»
Goretti, forte della sua preparazione giuridica, offre un taglio molto più “legale” che non filosofico e cerca le giustificazioni sulle le quali il diritto animale può fondare la propria legittimità. Martinetti affermò che Kant e Fichte «considerano l’animale come una cosa, escludendolo dal campo del diritto e della morale» (Martinetti, La psiche degli animali, pag. 45 dell’edizione elettronica Manuzio). Parzialmente Kant stemperò poi la sua posizione in un passo che riguarda l’etica di Baumgarten (in Lezioni di Etica, traduzione italiana a cura di A. Guerra):
«Baumgarten discute qui dei suoi doveri verso esseri inferiori e superiori a noi. Per quel che riguarda gli animali, essendo dei semplici mezzi, privi di una coscienza di sé, e l’uomo essendo invece il fine, per cui non si può porre la domanda perché vi sia l’uomo, domanda in contrario lecita nei riguardi degli animali, non vi sono verso di essi doveri diretti, ma solo doveri che sono doveri indiretti verso l’umanità. Poiché gli animali posseggono una natura analoga a quella degli uomini, osservando dei doveri verso di essi, osserviamo dei doveri verso l’umanità, promuovendo con ciò i doveri che la riguardano».
Schopenauer afferma:
«…questa proprietà degli animali di essere soddisfatti più di noi della pura esistenza, viene abusata e spesso così sfruttata dall’egoismo e dalla crudeltà dell’uomo, che questi non lascia più loro nulla, nulla all’infuori del puro esistere…» (da Parerga e Paralipomena)
Il breve saggio di Goretti fa da puntello “giuridico” a queste idee filosofiche e mette, sempre contestualizzando lo scritto nell’ambito del contesto etico e sociale nel quale vide la luce, alcuni ostacoli non insignificanti sul piano del maltrattamento e della crudeltà nei confronti degli animali e un piccolo tassello per poter giungere all’idea che la vita interiore dell’animale è probabilmente assai diversa dalla nostra ma possiede tuttavia il carattere della coscienza senza poter essere costretta nel solo funzionamento fisiologico.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del saggio:
È strano rilevare la facilità con la quale gli scrittori di filosofia giuridica escludano senz’altro la possibilità che l’animale sia considerato come soggetto di diritto.
Se noi pensiamo che esiste una psicologia animale, che questo è un essere vivente capace di soffrire e di connettere per lo meno la causa all’effetto, dotato di una natura che non può essere che per grado diversa dalla nostra e non per essenza; è evidente che tanto il senso morale, quanto la ragione ripugnano a considerare l’animale come un oggetto qualsiasi, come una res della realtà esteriore.
Ed allora se non è oggetto puramente passivo, se è un essere vivente perchè non deve essere soggetto di diritto?
Scarica gratis: L’animale quale soggetto di diritto di Cesare Goretti.