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Tredici conferenze tenute a Firenze nel 1893 da Luigi Alberto Ferrai, Ernesto Masi, Isidoro Del Lungo, A. Jéhan de Johannis, Giuseppe Rondoni, Cesare Paoli, Giosuè Carducci, Enrico Nencioni, Guido Mazzoni, Enrico Panzacchi, Addington Symonds, Tommaso Salvini e Alessandro Biaggi.
Dall’incipit del libro:
Non mai spettacolo più imponente vide l’umanità. Dileguavansi appena dalla Germania, dalla Francia, dall’Inghilterra le ultime nebbie del Medio-Evo, e gagliardi di lor giovinezza salutavano i popoli il sole rinascente d’Italia. Le monarchie armate, equilibrantisi sui varii ordini delle nazioni, sembravano associare gli interessi dinastici al trionfo di un nuovo principio di diritto maturatosi nelle scuole. Conformemente alle varietà di stirpe, di linguaggio, di condizioni storiche si erano venuti aggruppando i popoli, e formavano delle unità politiche forti e compatte. Sotto la protezione dei re, che assecondavano i meravigliosi e rapidi progressi della risorta civiltà, le borghesie, già schiacciate sotto il peso dell’oppressione feudale, perfezionavano gli ordinamenti politici e la legislazione degli Stati; spogliavansi dei rozzi costumi di un tempo, vedevano rispecchiato nelle corti già ricche di gentilezze spirituali, e di agiatezze domestiche, un ideale di vita migliore. Una profonda rivoluzione intellettuale e morale poneva l’Italia alla testa del mondo civile. Per l’umanesimo noi avevamo riacquistata coscienza del nostro passato, ci eravamo di nuovo fatti signori di un patrimonio perduto o disperso; e ravvivate per esso le forze dell’intelletto, avevamo riguadagnato il senso reale della vita, trasformati i metodi della scienza, restituito il mondo all’uomo. La varietà dei nostri ordinamenti politici, il possesso già da tempo rivendicato della sapienza giuridica di Roma ci aveva addestrati, meglio e prima d’ogni altro popolo, nell’arte della diplomazia e della politica, il genio artistico nazionale si era ritemprato e perfezionato nell’imitazione del bello classico. Le ricchezze accumulate nelle nostre laboriose città rendevano possibili le solenni manifestazioni dell’arte, ne assicuravano le nuove vittorie nelle corti signorili italiane, ove con l’ingentilirsi del costume, delle abitudini, della lingua preannunciavasi la vita moderna.
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