Questa raccolta di novelle e drammi di Calandra fu pubblicata postuma nel 1914. Alcune di queste opere erano state già pubblicate prima della morte dell’autore, ma sappiamo che una parte della sua produzione letteraria rimase comunque inedita. Per fortuna i manoscritti di quasi tutte le opere di questa raccolta, edite o no, sono presenti nella Biblioteca Nazionale universitaria di Torino.
Le novelle e i drammi sono introdotti da un’ampia prefazione, sostanzialmente una affettuosa biografia,dello scrittore e critico Dino Mantovani, già pubblicata nel 1912 nella rivista “Nuova Antologia”. Tutte le novelle e i drammi qui presentati, come quasi tutti gli scritti di Calandra, sono ambientati in Piemonte, nell’area di confine, pianura e valli verso le Alpi marittime, tra il cuneese e la Francia. Oltre al tema storico, molto caro all’autore e presente in tutta la sua produzione, anche qui compare il tema del soprannaturale sotto varie forme e specie: ‘masche’, folletti, filtri d’amore, visioni, lugubri presagi, suggestione… Questa singolarità ha fatto sì che si parli di Calandra addirittura come esponente di una scapigliatura noir e che alcune delle sue opere vengano annoverate nella migliore letteratura gotica.
Le novelle, i racconti
La straniera, che dà il titolo alla raccolta, è una novella, scritta con un linguaggio arcaico e ambientata al tempo di Adelaide di Susa (1016 – 1091), importantissima aristocratica, che fu margravia di Torino e, tra l’altro, duchessa consorte di Svevia, marchesa di Monferrato e sposa di Oddone di Savoia. Fu proprio questo matrimonio che permise ai Savoia, casata transalpina, di affacciarsi in Piemonte. Nel contado di Auriate (oggi Valloriate), in quella parte del Piemonte tra il fiume Stura, le Alpi e il Po, vive Pagano lo Casto, signorotto ribaldo e pronto a venire alle mani. Una masca, una strega, gli annuncia una ‘buona ventura’; di lì a poco egli si imbatte in un incredibile e sontuoso corteo che fa da scorta ad una misteriosa straniera, completamente nascosta da veli bianchi. Pagano sbaraglia ed uccide tutti gli uomini e cattura la donna, con l’intenzione di farne la sua sposa. La storia si risolverà in maniera inaspettata.
Ne L’orso, ambientato alla fine del XVI secolo nell’area della val Maira, Calandra racconta come anche la caccia ad un terribile e temibile orso possa diventare occasione per mostrare il proprio valore alla ragazza amata. Ma invece, più che il coraggio, non è forse la sincera devozione che può aiutare un timido contadino a conquistare l’amore di una giovanetta?
Due spaventi forse fu edito su “La stampa” il 21 luglio 1910. La storia, che si svolge in un piovosissimo aprile del 1836, prende l’avvio da un invito rivolto al narratore da un amico, che si è ritirato in campagna per amministrare le sue terre. Una straordinaria tempesta costringe il protagonista ad interrompere il viaggio e ad accettare l’offerta di ricovero da parte di una coppia molto cortese e insiememolto triste. Durante la notte l’ospite ha visioni sovrannaturali, che spiegano il mistero della profonda mestizia dei due coniugi. In questo racconto vengono perfettamente riproposti i temi e l’atmosfera del racconto Reliquie (prima edizione 1884, presente qui in Liber Liber nella raccolta Vecchio Piemonte).
Il fucilato è un buffo racconto in cui si narra di un giovane promesso sposo partito per fare il soldato, il quale, avendo commesso una ruberia, viene condannato a morte ma poi, all’ultimo momento, graziato. Purtroppo, ‘per portarsi avanti’, egli ha inviato una lettera in cui annuncia alla sua promessa di essere ormai stato seppellito. La seconda lettera da lui scritta immantinente, nella quale annuncia la grazia, non arriva a destinazione e il giovane fa ritorno al paese proprio il giorno in cui la sua promessa sposa, dopo tanta attesa, ha sposato un altro. Anche qui sorpresa finale!
Nel racconto Un vaccaro Calandra riporta la vicenda degli umili esordi di quello che sarebbe diventato il Conte di Carmagnola, personaggio storico che sarà poi raccontato da Alessandro Manzoni nella sua prima tragedia (1816, pubblicata nel 1820).
Drammi e una commedia
La familiarità che Calandra ebbe con il mondo del teatro lo indusse a cimentarsi, tra il 1890 e il 1896, in questo genere letterario. Alcuni dei suoi drammi – certamente tutti quelli presenti in questa raccolta, dopo la sua prima opera Ad oltranza, già presente qui in Liber Liber – vennero rappresentati, anche con un certo successo, da amici e interpreti affettuosi come Virginia Marini, Eleonora Duse, Ermete Zacconi, Enrico Reinach. Nella prefazione Mantovani scrive:
«Fra le quinte e nei camerini degli attori era alquanto singolare, senza far torto a nessuno, l’apparizione di quello scrittore gentiluomo, che non sapeva trattare nè la réclame, nè gli affari, e la cui discrezione tra riguardosa e altera, mal si affaceva ai costumi del teatro.»
Nel primo testo teatrale della raccolta, Irreparabile, pubblicato nel 1894, si narra di amori, amanti, forse tradimenti. È la storia di un duello che si dovrebbe fare – l’onore innanzi tutto – ma che è meglio non fare.
Leonessa fu pubblicato anch’esso nel 1894. Anche in questo dramma in due atti, intimamente famigliare, è la storia di un tradimento. Come può reagire la moglie tradita? Quasi mai la rabbia indica la soluzione giusta.
La primavera del ’99 fu pubblicato nel 1894, anno evidentemente molto prolifico per la produzione teatrale di Calandra. Qui l’autore ripropone la tempestosa situazione del Piemonte, soprattutto quella delle sue campagne, all’indomani dell’invasione delle truppe napoleoniche. Nelle piazze vengono innalzati gli Alberi della libertà, alberi senza radici che vengono innaffiati con il sangue di chi tenta di abbatterli e di chi persiste ad ergerli. Nella villa di campagna avita, tra l’infuriare dei combattimenti, si contendono l’amore della contessa, con dimostrazioni di coraggio, l’intendente della casa e un cavaliere, cugino della padrona di casa.
Madonna Oretta, pubblicato su “La lettura” nel 1911, è definita una commedia. Ambientata nelle campagne del Piemonte in epoca imprecisata, racconta di un giovane contadino un po’ perdigiorno, forse stregato, che vorrebbe conoscere le arti magiche per far invaghire di sé una bella dama di cui è perdutamente innamorato.
La raccolta chiude con La parola, dramma in tre atti. Calandra dichiara subito il tempo e il luogo della vicenda: prima, nell’inverno 1793, al campo piemontese sul Piccolo San Bernardo, e poi a Torino nell’inverno dell’anno dopo. Non sono ancora gli anni della grande ‘bufera’ francese che investì il Piemonte: la prima campagna d’Italia iniziò nel 1796. Ma la Savoia era stata occupata dalle truppe rivoluzionarie e l’armata sardo-piemontese si attestò sul valico impedendo ai Francesi l’accesso al Piemonte. Nel dramma la vicenda storica è fondamentale. L’attesa è straniante, un ‘deserto dei tartari’ immerso nel gelo, per soldati ed ufficiali; tra questi ultimi il maggiore e il capitano, entrambi aristocratici, il primo votato alla causa guerriera e il secondo sposo novello che si strugge per la giovane moglie lontana:
«La guerra?… E chi se la sognava la guerra, pochi mesi fa, dopo quasi cinquant’anni di pace?!… Il dieci settembre io chiesi in moglie Sabina; la notte del ventuno i francesi passavano il nostro confine.»
‘La parola’ del titolo è una gravissima promessa fatta in punto di morte dal maggiore al giovane capitano in punto di morte. L’onore obbliga a tener fede alla parola data. Non diciamo di più, per un dramma nel quale il finale non è affatto scontato. La trama è veloce, interessante; la storia, decisamente originale, è piena di sentimento, di profondità e suscita riflessioni sul significato di lealtà, generosità, coraggio, sul senso della morte.
Buona lettura!
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del libro:
Nella vera storia si legge che il contado di Auriate, o sia Auretite, si estendeva per quella dilettosa parte del Piemonte che sta fra la Stura, le Alpi e il Po. Al tempo di Adalaida, famosissima contessa, duchessa, e marchesana delle Alpi Cozie, era viceconte di Auriate dominus Pagano, detto lo Casto. Questo Pagano fu nobilissimo signore, vir magnificus: ed è opinione per alcun maestro delle più antiche e strane leggende, che somigliasse alcun poco a Guglielmo, duca di Normandia, quale è ritratto nel roman du Rou:
«Guillaume Longue Épée fu de haute estature;
Gros fu par les épaules, greille par la chainture:
Jambes eut longues, droites, et large la forcheure;
Oils droit et aperts eut, et douce regardeure:
Mais à ses ennemis semble moult fière et dure:
Bel nez et belle bouche, et belle parleure;
Fort su comme jehans, et hardi sans mesure».
Scarica gratis: La straniera di Edoardo Calandra.