La commedia La signora Morli, una e due fu scritta nell’estate del 1920, andò in scena per la prima volta il 12 novembre 1920 al Teatro Argentina di Roma; protagonista fu l’attrice Emma Gramatica. Nel 1922 fu edita nella raccolta Bemporad delle Maschere nude – la presente edizione digitale è basata appunto su questa edizione cartacea –, e nel 1936 nella raccolta Mondadori. Anche in questo caso, come quasi sempre, abbiamo un antecedente novellistico; questa volta sono addirittura due le novelle che anticipano i temi di questa commedia: La morta e la viva (1909) e Stefano Giogli uno e due (1910).
Si tratta dunque di un’opera quasi contemporanea a Come prima, meglio di prima e a Tutto per bene, e di queste commedie sembra voler approfondire la tematica e le situazioni. Il dramma di una donna incerta sulla propria identità che cerca di adattare se stessa in funzione degli altri porta qui a un totale sdoppiamento persino nel nome: Evelina diventa, per il marito e per il figlio, Eva; è invece Lina per l’amante convivente e per la figlia. Solo il sentimento materno – e anche questo non è certo una novità del teatro pirandelliano – pare avere la meglio sulla disgregazione dell’identità, conferendo solidità alla personalità altalenante e, come in questo caso, quasi completamente scissa.
La commedia non ebbe nelle prime rappresentazioni successo di pubblico, e fu piuttosto stroncata da una critica forse eccessivamente ingenerosa. Certo che in quegli anni si era nel pieno dell’influenza dell’estetica crociana che fin dal primo decennio del ’900 era stata ostile alla scrittura pirandelliana e alle implicazioni programmatiche che vi erano dietro, espresse dal Pirandello stesso nei saggi Arte e scienza e L’Umorismo; e ancora nel 1934, quando a Pirandello fu conferito il premio Nobel, Croce commentò: “la sua maniera consiste in taluni spunti artistici, soffocati e sfigurati da un convulso e inconcludente filosofare. Né arte schietta dunque, né filosofia”. In realtà questa commedia sembra poter dare parzialmente ragione a Croce: la vicenda si snoda in modo spesso farraginoso, il dialogo appare involuto perché attraversa situazioni poco verosimili o fortemente improbabili; abbondano i particolari che appaiono estranei a quanto l’autore stesso sembra voler comunicare al pubblico; questa commedia segna una pausa tra quelle innovative che abbiamo già menzionato e lo sviluppo artistico successivo con Sei personaggi e Enrico IV.
Tuttavia il pubblico apprezzò maggiormente questo lavoro quando, con il titolo Due in una venne rappresentata il 14 marzo 1926 al Politeama nazionale di Firenze con protagonista Marta Abba. Per ricordare come questa attrice abbia sempre compreso appieno le intenzioni di Pirandello, dando corpo e sostanza con le sue interpretazioni ai personaggi dell’autore, riuscendo anche a velare le eventuali incertezze del copione, riporto qui un brano di una lettera di Pirandello a lei diretta commentando la messa in scena di Lazzaro:
«Se sapessi come s’è ridotta la parte di ‘Sara’ fatta dalla Melato! Mi pare una lavandaja! Abituato a Te, è uno strazio sentire il mio teatro interpretato da altri. Cento volte meglio che muoja – muoja per sempre – e non se ne parli più! Già io stesso non posso sentirne parlare più… Con Te, Marta, mi pareva ancora mio, più che mio: tuo e mio; ora non mi pare più di nessuno… come se non avesse più senso… Tu eri Fulvia, per me, Tu eri Ersilia, Tu la signora Frola, Tu la Figliastra, Tu Silia Gala, Tu Evelina Morli… Sono morte, tutte; e io morto, con loro».
La doppia vita di Evelina Morli si concretizza con due famiglie: quella che la vede con il marito Ferrante e il figlio Aldo e quella con l’avvocato Carpani e la figlioletta Titti. Abbandonata dal marito, fuggito da Roma a causa di un tracollo finanziario, si è messa a convivere con il Carpani, a Firenze, adeguandosi alla vita regolare, senza sbalzi, di una famiglia di ambiente borghese e alle sue esigenze di ipocrita formalità. Al riapparire del marito dopo 14 anni Evelina è tentata di tornare Eva – il peccato e la tentazione – attratta da una vita più fantasiosa e trasgressiva (anche questo fa parte del capovolgimento dei ruoli proposto dall’autore: la vita fuori dalle regole avviene con il marito, l’esistenza compassata e formale invece con l’amante). E nel corso dei tre atti questa tensione interiore della signora Morli si fa sempre più acuta. Il figlio Aldo la richiama a Roma fingendosi malato, ma la reale malattia della figlia Titti, ancora bambina, la riporta invece a Firenze. Gli spostamenti della protagonista, Eva o Lina, estrosa e fantasiosa oppure tranquilla donna di casa, non sono quindi determinati dal marito o dal convivente, ma dalle esigenze dei figli. Eva e Lina possono ritrovare la loro sintesi solo nella funzione della maternità.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit della commedia:
Ricco salotto in casa dell’avvocato Carpani. La comune è nella parete di fondo, verso sinistra. Due usci laterali. Quello a destra dà nello studio del Carpani.
Al levarsi della tela, la scena è vuota. Entrano dalla comune Lisa, vecchia domestica con la cuffia e gli occhiali, stupida e pedante, e Ferrante Morli, bell’uomo, forte, sui quarantacinque anni, sbarbato, con folti e ricci capelli, già tutti grigi, vestito con eleganza un po’ abbondante, all’americana. È in preda a una viva ansietà, ma si sforza di dominarla. Questo sforzo lo fa apparire più d’un po’ strano e distratto.
Lisa
(dando passo sulla soglia a Ferrante)
Ecco, entri qua. Chi debbo annunziare?
Ferrante
Ah, sì…. Pedretti, l’ingegner Pedretti. Sono tutti in casa?
Lisa
Dice anche la signora?
Scarica gratis: La signora Morli, una e due di Luigi Pirandello.