La sfortuna di Bidarshik

di
Jack London

tempo di lettura: 20 minuti


— Fare la mia cucina al vostro fuoco, e dormire sotto il vostro tetto questa notte.

Ecco quel che avevo detto al vecchio Ebbits, entrando nella sua capanna; egli mi aveva guardato con un occhio cisposo e vago, mentre Zilla mi aveva favorito di uno sguardo corrucciato e di un grugnito di disprezzo. Zilla era la moglie, e sullo Yukon non si sarebbe trovato una vecchia squaw più implacabile, nè più cattiva lingua. Non mi sarei fermato lì se i miei cani fossero stati meno stanchi o se il resto del villaggio fosse stato abitato; ma quella capanna era la sola occupata, e fui costretto a cercarvi un ricovero.

Di tanto in tanto il vecchio Ebbits raccoglieva le sue idee, mentre scintille e segni d’intelligenza andavano e venivano nei suoi occhi. Durante la preparazione della mia cena, cercò varie volte di rivolgermi qualche domanda cortese a riguardo della mia salute, dello stato e del numero dei miei cani e della distanza che avevo percorsa quel giorno. Ed ogni volta, Zilla aveva assunta un’aria più imbronciata ed aveva brontolato ancora con maggior disprezzo.

Tuttavia, confesso che non c’era nulla che potesse incoraggiarli alla gioia. Erano lì entrambi rannicchiati accanto al fuoco, alla fine dei loro giorni, vecchi, pieni di acciacchi, senza forza, lancinati dai reumatismi, morsi dalla fame e tentati dagli odori di frittura e di carne che io avevo in abbondanza. Si dondolavano in avanti e indietro con un movimento lento e macchinale, ed ogni cinque minuti, regolarmente, Ebbits gemeva sordamente. Non era tanto un gemito di dolore, quanto un lamento che derivava dal peso e dal tormento di quella cosa chiamata vita, e più ancora dal timore della morte.

Quando la mia carne di moose crepitò vivamente nella padella, notai che le narici del vecchio Ebbits si contraevano e si aprivano all’odore del cibo. Cessò un momento di dondolarsi e dimenticò di gemere, mentre un lampo d’intelligenza sembrava illuminargli il volto.

Zilla, dal canto suo, si dondolava più presto, e per la prima volta diede voce al suo dolore con piccoli gridi acuti. Mi venne in mente che essi agivano come cani affamati, e dopo tutto non sarei stato sorpreso se Zilla avesse improvvisamente mostrata la coda e l’avesse dimenata sul pavimento alla maniera dei cani. Ebbits cessò a varie riprese di dondolarsi, per chinarsi in avanti ed avvicinare il naso palpitante al focolare.

Quando passai loro un piatto di carne fritta, mangiarono golosamente facendo rumore; si udiva lo stritolare dei denti logori, le aspirazioni fischianti accompagnate da mormorii e da grugniti continui. Dopo questo, quando diedi a ciascuno di loro una tazza di tè bollente, i rumori cessarono. Il sollievo e la soddisfazione apparvero sul loro volto. Zilla rinunciò per un istante alla sua smorfia amara, per lanciare un sospiro di soddisfazione. Ne l’uno ne l’altro si dondolavano più; sembravano esser caduti in una meditazione placida. Poi gli occhi di Ebbits si bagnarono e compresi che era il dolore della pietà di se stesso. Le ricerche che fecero per trovare le loro pipe mi mostrarono chiaramente che erano stati senza tabacco da lungo tempo, e l’impazienza del vecchio per il narcotico lo rese impotente al punto che mi occorse accendergli la pipa.

— Perchè siete così soli nel villaggio? – domandai. – Sono forse tutti morti? O vi sono state molte malattie? Siete i soli viventi che restano?

Il vecchio Ebbits scosse il capo, dicendo:

— No, non vi sono state molte malattie. Il villaggio è andato a caccia per avere della carne. Noi siamo troppo vecchi, le nostre gambe non sono forti e non possiamo più portare sulle spalle i pesi del campo e del viaggio. Perciò restiamo qui e ci chiediamo quando i giovani torneranno con la carne.

— Supposto che i giovani torneranno con la carne! – disse Zilla bruscamente.

— Forse torneranno con molta carne – riprese con voce tremula il vecchio.

— Ed anche con molta carne! – continuò la squaw più bruscamente ancora. – Ma che ne guadagneremo, tu ed io? Qualche osso da rosicchiare nella nostra vecchiaia sdentata. Ma il grasso, i rognoni, la lingua, tutto questo andrà in altre bocche e non nella nostra, vecchio!

Ebbits dondolò il capo e pianse in silenzio.

— Non vi sarà nessuno per cacciare della carne per noi! – gridò la donna, volgendosi con collera dalla mia parte.

Vi era un’accusa nel suo gesto, ed io mi strinsi nelle spalle per mostrare che non ero colpevole del delitto sconosciuto di cui ero accusato.

— Sappi, uomo bianco, che proprio a causa della tua razza, a causa di tutti i bianchi, il mio uomo ed io non abbiamo cibo nella nostra vecchiaia, e siamo seduti senza riparo contro il freddo e senza tabacco.

— No disse gravemente Ebbits, il cui senso di giustizia era più sviluppato. – Ci hanno fatto torto, è vero, ma l’uomo bianco non aveva l’intenzione di farci torto.

— Dov’è dunque Moklan? – ella chiese. – Dov’è il tuo figlio vigoroso, ed il pesce che egli era sempre pronto a portare affinchè tu potessi mangiare?

Il vecchio dondolò il capo.

— E dov’è Bidarshik, il tuo figlio forte? Era sempre un gran cacciatore e sempre ti portava il buon grasso, e le lingue secche del moose e del cariboo. Il tuo stomaco è pieno di nulla per giorni interi e deve venire un uomo di una razza miserabile e mentitrice perchè tu possa mangiare.

— No – interruppe il vecchio Ebbits con bontà; – l’uomo bianco non è mentitore. L’uomo bianco dice la verità: dice sempre il vero.

Si fermò guardandosi intorno come per cercare delle parole che addolcissero la severità di quello che stava per dire.

— Ma il bianco dice la verità in differenti modi. Oggi dice il vero in una maniera, domani dirà il vero in un’altra maniera, ed è difficile comprenderlo o comprendere i suoi modi.

— Dire oggi la verità in un modo, domani dirla in un altro, è mentire – concluse Zilla.

— Non si può comprendere il bianco – continuò Ebbits ostinato.

La carne, il tè ed il tabacco sembravano averlo ricondotto alla vita, ed egli padroneggiò più fortemente la sua idea dietro gli occhi cisposi di vecchio. Si raddrizzò, s’irrigidì, la sua voce perse la nota lamentosa e divenne ferma e positiva. Si girò verso di me con dignità e mi parlò come un uomo si rivolge ad un uguale.

— Gli occhi del bianco non sono chiusi – cominciò. – Il bianco vede tutte le cose, pensa profondamente ed è molto saggio. Ma il bianco d’un giorno non è quello del giorno successivo e non lo si può comprendere. Non fa sempre le cose nello stesso modo: quale che sarà la prossima azione, non si sa.

Tacque, tirò una boccata dalla pipa, vide che era spenta e la passò a Zilla, le cui labbra, rinunciando a dimostrare lo sdegno per l’uomo bianco, si appoggiarono sul cannello della pipa. Ebbits sembrava ricadere nella sua insensibilità senza aver finita la storia, quando gli domandai:

— Che avvenne dei tuoi figli Moklan e Bidarshik? E com’è che tu e la tua vecchia siete senza carne sino alla fine dei vostri giorni?

Egli sembrò uscire da un sonno e si raddrizzò con sforzo.

— Non è bene rubare – disse. – Quando il cane prende la vostra carne, voi battete il cane col bastone… è la legge. È la legge che l’uomo diede al cane, ed il cane deve seguirla sotto pena di essere bastonato. Quando l’uomo prende la vostra carne, il vostro canotto, la vostra donna, voi uccidete quest’uomo… È la legge ed una buona legge. È male dunque rubare, è legge che l’uomo che ruba morrà. Chiunque infrange la legge deve soffrire. È una grande sofferenza morire.

— Ma se tu uccidi l’uomo, perchè non uccidi il cane?

Il vecchio Ebbits mi guardò con una sorpresa infantile, mentre Zilla ghignava apertamente, tanto la mia domanda era assurda.

— È la maniera dei bianchi! – brontolò Zilla.

Allora il vecchio Ebbits insegnò la saggezza all’uomo bianco e disse dolcemente:

— Il cane non è ucciso perchè deve tirare la slitta dell’uomo. Nessun uomo tira la slitta di un altr’uomo: per questo l’uomo è ucciso.

— Oh! – mormorai.

— È la legge – continuò il vecchio Ebbits. – Ora ascolta, uomo, bianco, e ti racconterò una grande follia. Vi è un indiano, il suo nome è Mobits. Egli ruba due libbre di farina a un bianco; che fa il bianco? Batte forse Mobits? No… Lo uccide? No… Che fa a Mobits? Te lo dirò, uomo bianco. Egli ha una casa, vi mette Mobits. Il letto è buono, i muri sono spessi. Egli accende un fuoco affinchè Mobits abbia caldo, dà a Mobits molto da mangiare, e buon nutrimento. Mobits non ha mai mangiato così bene in vita sua: vi è del lardo, pane, e fagiuoli in quantità.

«Vi è una grossa serratura alla porta, affinchè Mobits non fugga: anche questa è una grande follia. Mobits non se ne va… perchè ha tutto il tempo molto da mangiare, coperte calde e un gran fuoco. Sarebbe sciocco andarsene e Mobits non è sciocco. Per tre mesi, egli resta in questa casa: ha rubato due libbre di farina, ed a causa di ciò il bianco ha gran cura di lui. Mobits mangia molte libbre di farina, molte libbre di zucchero, lardo e fagiuoli in quantità. Dopo tre mesi, il bianco apre la porta e dice a Mobits che deve andarsene. È come un cane che è stato nutrito a lungo in un posto; egli vuol restare in quel posto, e il bianco deve cacciare Mobits. Così Mobits torna al suo villaggio ed è molto grasso. È il modo di fare del bianco e non si comprende. È una grande follia.

— Ma i tuoi figli – insistei – i tuoi figli così forti e la fame che ti segue negli ultimi tuoi giorni di vita?

— Vi era Moklan – cominciò Ebbits.

— Un uomo forte – interruppe la madre. – Poteva manovrare la pagaia tutto un giorno e tutta una notte senza mai arrestarsi per riposare. Conosceva il salmone e conosceva l’acqua. Era molto saggio.

— Vi era Moklan – ripetè Ebbits, senza rilevare l’interruzione. – Durante la primavera discese lo Yukon coi giovani per trafficare al Forte Campbell. Là vi è un posto pieno di cose dell’uomo bianco ed un trader che si chiamava Jones. Vi è anche uno stregone bianco che voi chiamate un missionario. Vi è pure a Fort Campbell un sito pericoloso, dove lo Yukon diviene sottile come una fanciulla e le acque sono rapide e le correnti si slanciano da tutte le parti e s’incontrano, e vi sono dei mulinelli e dei buchi. Le correnti cambiano senza posa e le acque cambiano di modo che non è mai la stessa cosa. Moklan è mio figlio, dunque è coraggioso.

— Mio padre forse non era un uomo coraggioso? – domandò Zilla.

— Tuo padre era un coraggioso – ammise Ebbits, con l’aria di un uomo che vuole la pace domestica ad ogni costo. – Moklan è mio figlio e il tuo, dunque è coraggioso. Forse a causa di tuo padre che è coraggiosissimo. Moklan è troppo coraggioso. È come quando si mette troppa acqua in un vaso, esso trabocca: così troppo coraggio in Moklan, ed esso trabocca.

«I giovani temono molto le cattive acque di Fort Campbell, ma Moklan non ha paura. Ride fortemente, ho! ho! e va nelle acque pericolose. Ma là dove le acque si incontrano, il canotto è capovolto. Un gorgo prende Moklan per le gambe, egli gira e gira, scende sempre più giù e non lo si rivede.

— Ahi! Ahi! – gridò Zilla. – Era bravo e saggio, il mio primo nato!

— Io sono il padre di Moklan – disse Ebbits, dopo aver pazientemente atteso che la moglie avesse finito la sua romorosa interruzione. – Montai nel canotto e discesi il fiume fino a Fort Campbell per farmi pagare il debito.

— Il debito? – esclamai. – Quale debito?

— Il debito di Jones che è il capo trader – fu la risposta. – È la legge, quando si viaggia in paese straniero.

Scossi il capo in segno d’ignoranza; Ebbits mi guardò con compassione, mentre Zilla sbuffava sdegnosamente, secondo la sua abitudine.

— Ascolta, uomo bianco; nel tuo campo vi è un cane che morde; quando il cane morde un uomo, tu dai a quest’uomo un regalo perchè ti rincresce e perchè è il tuo cane. Tu paghi, non è vero? Così pure, se vi è nel paese cattiva caccia o acqua pericolosa, bisogna pagare. È giusto, è la legge. Il fratello di mio padre non andò forse al paese di Tanana, dove fu ucciso da un orso? La tribù di Tanana non pagò forse a mio padre molte coperte, e belle pellicce? Era giustizia: la caccia era stata cattiva e le genti di Tanana pagarono per la cattiva caccia.

«Dunque io, Ebbits, andai a Fort Campbell per ricuperare il debito. Jones, il capo trader, mi guardò e rise. Rise fortemente e non volle pagare. Andai dallo stregone, voi lo chiamate il missionario, e gli parlai a lungo delle acque cattive e del pagamento che mi era dovuto. Ed il missionario parlò di altre cose. Mi parlò del posto dove era andato Moklan, ora che era morto: vi sarebbe molto fuoco in quel posto; se il missionario dice il vero, io so che Molan ora non avrà più freddo. Il missionario mi disse anche dove andrò io quando morrò e disse cose cattive. Disse che sono cieco, ciò che è menzogna. Disse che sono in una grande oscurità, ciò che è una menzogna. E gli risposi che il giorno e la notte vengono ugualmente per ciascuno, e che nel mio villaggio non c’è più buio che a Fort Campbell. Dissi pure che la luce e le tenebre ed il posto dove andiamo quando moriamo non hanno nulla a che fare col pagamento di un debito giusto per le acque cattive. Allora il missionario si mise in una grande collera, mi diede dei brutti nomi e mi disse di andarmene. Così partii da Fort Campbell, dove non mi pagarono affatto: e Moklan è morto, e nella mia vecchiaia sono senza pesce nè carne.

— Per colpa del bianco – disse Zilla.

— Per la colpa del bianco – approvò Ebbits. – Vi sono altre cose che sono colpa del bianco. Vi era Bidarshik. L’uomo bianco lo trattò in una certa maniera e tuttavia trattò Yamikan in un’altra maniera. E in un primo luogo devo dirti che Yamikan era un giovane di questo villaggio, al quale accadde di uccidere un uomo di un’altra razza, ciò che ha sempre gravi conseguenze.

«Non fu colpa di Yamikan se uccise un bianco. Yamikan parlava sempre dolcemente e fuggiva la collera come un cane fugge il bastone. Ma quel bianco beveva molto whisky, ed una sera andò alla casa di Yamikan e volle battersi. Yamikan non vuol morire, allora uccise il bianco.

«Allora tutto il villaggio fu commosso; temevano molto di dover pagare una grossa somma ai parenti del bianco: nascondiamo dunque le nostre coperte, le nostre pellicce e tutta la nostra ricchezza allo scopo di sembrare poveri e di pagare solo una piccola somma.

«Lungo tempo dopo vengono i bianchi. Sono soldati, conducono via Yamikan con loro. La madre fa un gran chiasso e mette le ceneri nei capelli perchè crede che Yamikan vada incontro a morte certa. Tutto il villaggio lo sa e si rallegra di questo che nessuna somma è domandata.

«La cosa accadde in primavera, quando il ghiaccio è scomparso dal fiume. Un anno passa, due anni. La primavera è tornata, il ghiaccio è sparito. Allora Yamikan che è morto ritorna. Egli non è morto ed è molto grasso, e sappiamo che ha dormito caldamente e che ha avuto molto da mangiare. Ha begli abiti ed è in tutto come un bianco; ha acquistata molta saggezza, di modo che è presto capo del villaggio.

«Ha strane cose da raccontare sulle maniere del bianco, perchè ha veduto molti bianchi ed ha viaggiato molto nel loro paese. In principio, il soldato bianco lo conduce lontano discendendo il fiume: lo conduce fino in fondo al fiume, nel posto dove esso cade in un lago che è più grande di tutte le terre e più grande del cielo; sembra una cosa impossibile, ma Yamikan ha veduto. Egli mi ha anche detto che le acque di quel lago sono salate, ciò che è strano e difficile a comprendere.

«Ma il bianco conosce anche lui tutte queste meraviglie, ed io non lo stancherò col raccontargliele. Soltanto, voglio dirgli quel che accadde a Yamikan. Il bianco dà a Yamikan molto buon cibo; tutto il tempo, Yamikan mangia e ce n’è sempre ancora. Il bianco vive sotto il sole, a quanto dice Yamikan, in un paese dove c’è molto calore. Gli animali non hanno che peli, non la pelliccia, e le piante verdi divengono grandi, e là spuntano la farina, i fagiuoli e le patate. E sotto il sole la fame non esiste. Vi è sempre molto da mangiare: io non so, è quel che Yamikan dice. Una cosa strana accadde a Yamikan: il bianco non gli fece mai alcun male. Gli diedero un letto caldo la notte e molto buon cibo. Lo condussero attraverso il gran lago salato che è grande quanto il cielo. Egli è sul battello a fuoco del bianco, quello che voi chiamate lo «steamboat»; ma il battello è venti volte più grande dello «steamboat» sulla Yukon. Quel battello è fatto in ferro, eppure non cola. Questo non lo comprendo; ma Yamikan ha detto: «Ho viaggiato lontano sul battello di ferro, e, guardate, sono ancora vivo». È il battello per i soldati dei bianchi, con molti soldati a bordo.

«Dopo molte notti di viaggio, tanto, tanto tempo dopo, Yamikan arriva in un paese dove non c’è neve. Questo non posso crederlo. Non è nella natura delle cose che quando l’inverno viene non vi sia neve. Ma Yamikan ha veduto: ho domandato ai bianchi ed essi hanno detto che non c’è neve in quel paese. Ma non posso comprenderlo, ed ora domando a voi se veramente la neve non cade in quelle contrade. Vorrei anche sapere il nome di quel paese: l’ho inteso già; ma vorrei udirlo ancora, se è lo stesso. Saprò così se ho udito delle menzogne o la verità.

Il vecchio Ebbits mi guardò; gli occorreva la verità ad ogni costo, quantunque il suo desiderio fosse di conservare la propria fede in quella cosa meravigliosa che non aveva mai veduta.

— Sì – risposi – è la verità che avete udita. Non c’è neve in quel paese ed il suo nome è California.

— Cal-i-forn-i-a – mormorò due o tre volte, ascoltando con attenzione il suono delle sillabe che cadevano dalle sue labbra. – Sì, è lo stesso paese di cui Yamikan ha parlato.

Compresi che l’avventura di Yamikan era accaduta quando l’Alaska era da poco passata nelle mani degli Stati Uniti. Un caso di assassinio di quella natura, prodottosi prima dell’istituzione dei tribunali sul territorio, era stato giudicato negli Stati Uniti, davanti alla corte federale.

— Quando Yamikan giunse nel paese dove non c’è neve – continuò il vecchio Ebbits – lo condussero in una grande casa dove numerosi uomini parlano molto. Essi parlano a lungo e domandano a Yamikan molte cose. Più tardi gli dicono che non gli daranno noie. Yamikan non comprende, perchè non l’hanno mai annoiato; perchè tutto il tempo gli hanno dato un posto caldo per dormire e molto da mangiare.

«Ma dopo questo gli diedero un cibo ancora migliore, gli diedero del danaro, lo condussero in molti posti del paese dei bianchi ed egli vide tante cose strane che sono al di là della comprensione di Ebbits, che è un uomo vecchio e che non ha viaggiato lontano. Dopo due anni, Yamikan torna al suo villaggio, diviene il capo pieno di saggezza fino alla sua morte.

«Ma prima di morire, egli siede spesso accanto al fuoco, e racconta le cose strane che ha vedute. E Bidarshik, che è mio figlio, siede accanto al fuoco ed ascolta, e i suoi occhi s’ingrandiscono a causa di quello che ode. Una sera, dopo che Yamikan è rientrato nella sua casa, Bidarshik si leva così, altissimo, e, battendosi il petto col pugno, dice:

«— Quando sarò un uomo, viaggerò lontano, anche fino al paese dove non c’è neve e vedrò le cose coi miei propri, occhi.

— Bidarshik ha sempre fatto dei viaggi lontano – interruppe Zilla fieramente.

— Questo è vero – assentì Ebbits gravemente: – e sempre egli tornò per sedersi accanto al fuoco e sospirare per altri paesi più lontani ancora.

— E sempre ha ricordato il lago salato che è così grande come il cielo, ed il paese sotto il cielo, dove non c’è neve – disse Zilla.

— E sempre ha detto: «Quando avrò tutta la forza di un uomo, andrò a vedere io stesso se le parole di Yamikan sono vere» – disse Ebbits.

— Ma non c’era mezzo di andare al paese dei bianchi – disse Zilla.

— Non è andato fino al lago salato grande come il cielo? – domandò Ebbits.

— Ma non c’era mezzo per lui di attraversare il lago.

— Tranne nel battello a fuoco dei bianchi, che è fatto con ferro e che è più grande di venti «steamboats» dello Yukon – disse Ebbits.

Guardò con aria corrucciata Zilla, le cui labbra avvizzite già si aprivano per parlare, e le impose silenzio.

— Ma il bianco non voleva lasciarlo attraversare il lago nel battello a fuoco – riprese Ebbits – ed egli tornò al focolare, sospirando per il paese sotto il sole dove non c’è neve.

— Eppure, aveva veduto sul lago salato il battello a fuoco fatto in ferro e che non andava giù – gridò Zilla, incorreggibilmente.

— Sì – disse Ebbits – e vide che Yamikan aveva detto il vero, parlando di quello che aveva veduto. Ma non c’era alcun mezzo perchè Bidarshik viaggiasse nel paese dei bianchi, ed egli divenne malato e scoraggiato come un vecchio e non volle lasciare il fuoco. Non uscì più per uccidere la carne.

— Nè mangiò più il cibo che gli mettevamo davanti – aggiunse Zilla. – Scoteva il capo e diceva: «Non voglio mangiare che il cibo dei bianchi ed ingrassare come Yamikan».

— E non mangiò il cibo – continuò Ebbits, – e la malattia di Bidarshik aumentò a tal punto che credetti stesse per morire. Non era una malattia del corpo, ma della testa: era una malattia del desiderio. Io Ebbits, suo padre, feci una grande riflessione. Non ho più figli e non voglio che Bidarshik muoia. È una malattia della testa e non c’è che una cosa per guarirla. Bisogna che Bidarshik faccia il viaggio attraverso il lago grande come il cielo, nel paese sotto il sole e dove non c’e neve. Penso a lungo ed allora vedo un mezzo.

«Così una sera che egli è seduto accanto al fuoco, molto malato, la testa bassa, gli dico «Figlio mio, ho appreso il mezzo col quale tu andrai al paese dei bianchi». Egli mi guarda, ed il suo viso è gioioso. «Va, dissi, come Yamikan è andato». Ma Bidarshik è malato e non comprende. «Va, dissi, e trova un bianco, e come Yamikan uccidilo. Allora il soldato bianco verrà a prenderti e, come hanno fatto per Yamikan, tornerai molto grasso, con gli occhi pieni di quel che avrai veduto e con la testa piena di saggezza».

«E Bidarshik si leva subito e la sua mano si tende per afferrare il suo fucile. «Dove vai?», dico. «Ad uccidere il bianco», risponde. E vedo che le mie parole sono state buone per le orecchie di Bidarshik e che egli sta per ricuperare la salute. Vedo anche che le mie parole sono sagge.

«Un bianco venne nel villaggio, non cercò l’oro nel suolo, nè le pellicce nella foresta. Cerca tutto il tempo mosche e scarabei. Non mangia nè le mosche, nè gli scarabei, perché li ricerca? Non so. Tutto quel che so, è che egli è un bianco di aspetto strano: cerca le uova degli uccelli, non mangia le uova; tutto quello che è nell’interno, lo getta via e conserva solo il guscio. I gusci d’uovo non sono buoni a mangiare; egli non li mangia, ma li mette dentro scatole molli dove essi non si romperanno. Prende molti piccoli uccelli, non prende che le penne e le mette dentro scatole. Ama anche le ossa; le ossa non sono buone a mangiare: quell’uomo strano preferisce le ossa vecchie che dissotterra dal suolo.

«Ma non è un bianco pericoloso e so che morrà molto facilmente. Allora dico a Bidarshik «Figlio mio, ecco il bianco che devi uccidere»; e Bidarshik dice che le mie parole sono sagge. Allora va ad un posto dove sa che vi sono molte ossa nel suolo, dissotterra molte di queste ossa e le porta al campo dello strano uomo bianco. Il bianco è molto contento, il suo volto brilla come il sole, sorride con molta felicità, guardando le ossa. Abbassa la testa, così per ben vedere le ossa, ed allora Bidarshik lo colpisce fortemente sulla testa con l’ascia una sola volta, in questo modo, ed il bianco strano dà un colpo di piede e muore.

«— Ora – dico a Bidarshik – il soldato bianco verrà a prenderti per condurti nel paese sotto il cielo dove tu mangerai molto e diverrai grasso». Bidarshik è felice: la sua malattia è già passata, egli è seduto accanto al fuoco ed attende la venuta dei soldati bianchi.

«Come potevo sapere che la maniera del bianco non è mai due volte la stessa? – domandò il vecchio, volgendosi verso di me con ferocia. – Come potevo sapere che ciò che il bianco ha fatto ieri non lo farà oggi, e che quello che ha fatto oggi non lo farà domani?

Ebbits scosse il capo tristemente:

— Impossibile comprendere il bianco: ieri conduce Yamikan nel paese che è sotto il sole e lo ingrassa con molto cibo. Oggi prende Bidarshik e che ne fa? Lasciami dirti quello che fa di Bidarshik.

«Io, Ebbits, suo padre, te lo dirò. Egli conduce Bidarshik a Fort Campbell, gli annoda una corda intorno al collo, e così, quando i suoi piedi non sono più sul suolo, muore.

— Ahi, ahi – pianse Zilla – e mai egli traversa il lago grande come il cielo, nè vedrà il paese sotto il sole dove la neve non discende mai.

— E così – disse il vecchio Ebbits con una dignità grave – non c’è nessuno per cacciare il cibo per me nella mia vecchiaia, ed io seggo accanto al fuoco e dico la mia storia al bianco che mi ha dato il nutrimento, il tè e il tabacco per la mia pipa.

— A causa del bianco miserabile e mentitore – disse Zilla.

— No – rispose il vecchio positivo con dolcezza – a causa della maniera del bianco che non si comprende, e che non è mai due volte la stessa.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: La sfortuna di Bidarshik
AUTORE: Jack London

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: La legge della vita : dai volumi: The God of his fathers, Children of the frost, e altri di J. L. / edizione 1939-17. - Milano : Sonzogno, 1938 (Tip. A. Matarelli). - 252 p. ; 16.

SOGGETTO: FIC002000 FICTION / Azione e Avventura