Scritto nel 1899 e da subito annoverato tra i “classici” della pedagogia, questo saggio fu tradotto in italiano da Giuseppina Di Laghi nel 1915, edizione a cui facciamo riferimento per la digitalizzazione, e da allora è stato ritradotto e riedito numerose volte.
Molte delle riflessioni che saranno sviluppate in seguito dal filosofo americano sono già presenti in questo breve volume, che illustra le motivazioni e le idee alla base della sperimentazione condotta a Chicago, nella scuola elementare gestita dai ricercatori che dirigeva, e di cui riporta nell’ultimo capitolo un resoconto a tre anni dalla fondazione.
Dewey non amava l’organizzazione scolastica, che aveva lasciato in lui ricordi poco significativi, e considera che il suo problema principale stia nella sua focalizzazione sui bisogni dell’istituzione e degli insegnanti, tralasciando le necessità degli studenti. Il concetto è espresso nel cap. II (pag. 30 dell’edizione originale):
«Nelle scuole il centro di gravità è fuori del fanciullo, è nell’insegnante, nel libro di testo, in qualunque luogo vi piace, eccetto che nelle tendenze e nelle attività del fanciullo».
Storicamente poi, l’organizzazione delle varie istituzioni educative procede per compartimenti stagni, dove le scuole elementari non “comunicano” con le scuole superiori, e meno ancora queste ultime con l’università (come afferma nel cap. III, pag. 40 dell’edizione originale):
«Noi desideriamo che la scuola elementare nelle sue relazioni coll’università sia un esemplare dell’unità dell’educazione».
Come coinvolgere quindi lo studente in prima persona, e cosa insegnare? A queste domande Dewey risponde con esempi tratti dalla sperimentazione di Chicago, centrati su due principi cardine della sua pedagogia, da una parte il coinvolgimento attivo dello studente, dall’altra l’ingresso della società nella scuola, non più istituzione a sé stante ma parte di una società democratica, che gli studenti iniziano a sperimentare in prima persona, al fine di aderire convintamente alla democrazia. Esempi pratici di questa attività sono riportati nel saggio, quali ad esempio le connessioni tra l’attività del cucinare e la chimica, la geografia e la storia. Ricavare dalla sperimentazione pratica la consapevolezza delle relazioni tra elementi, delle tradizioni di diversi popoli e paesi, della scienza eseguita sperimentando ed osservando, rende il sapere una parte viva della mente dello studente, non un elenco di nozioni astratte e scollegate apprese con noia se non con il ricatto.
La scuola e la società a cui tendeva Dewey risultano ancora oggi affascinanti, e rappresentano purtroppo ancora un ideale non completamente realizzato a oltre cent’anni di distanza. Rileggere le sue idee, tradotte con freschezza dalla Di Laghi, dà tuttora stimoli ed idee agli educatori, ma anche a tutti coloro a cui sta a cuore il futuro della società, quello che si forma nelle scuole.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Riferimento: Roberto Sani, La collana di classici della pedagogia «Educatori di ieri e di oggi»: un’ambiziosa (ma necessaria) scommessa sulla scuola e sugli insegnanti, «History of Education & Children’s Literature», XVI, 1 (2021), pp. 595-615
Dall’incipit del libro:
Noi siamo soliti a considerare la scuola da un punto di vista troppo individuale, come un’istituzione che stabilisca rapporti solo fra maestro e scolaro o fra maestro e parenti del fanciullo.
Quello che c’interessa di più è solo il progresso fatto da quel dato fanciullo di nostra conoscenza: lo sviluppo fisico che ha raggiunto, l’abilità che ha acquistato nel leggere, nello scrivere e nel disegnare, le sue cognizioni geografiche e storiche, i suoi abiti di pulitezza e d’ordine; in tal modo noi giudichiamo il lavoro della scuola. Ed abbiamo ragione; tuttavia il nostro giudizio può e deve essere allargato. La società deve desiderare per tutti i fanciulli, quello che i genitori più saggi desiderano per il loro figliuolo. Ogni altro ideale sarebbe ristretto ed egoistico, distruggerebbe la democrazia. Tutto quello che la società ha fatto per sè stessa deve, mediante la scuola, andare a profitto dei suoi futuri membri che possono alla loro volta effettuare tutte le speranze che la società ha formate per sè stessa. Qui l’individuale e il sociale sono una cosa sola: procurando quanto è necessario al bene dei fanciulli, la società lavora per il proprio bene; ed in questo compito il posto più importante è quello della scuola, poichè, come disse Horace Mann: «Dove è qualche cosa che cresce e si sviluppa, un formatore vale mille riformatori».
Scarica gratis: La scuola e la società di John Dewey.