La principessa di Nenuphar.
di
Augusto Vittorio Vecchi
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Vicino alla sponda destra del Ticino poco più in su del ponte di Pavia c’è un padule. L’ombreggiano i pioppi italici dal fogliame d’argento: presso alla riva i gladioli rizzano le loro lunghe spade verde chiaro e là dove la terra comincia ad essere un tantin più asciutta germogliano folti e rigogliosi i non ti scordar di me. Se vedeste a primavera com’è bello il padule della Principessa Nenuphar! Miriadi di moscerini svolazzano fra i fiori giallo d’oro del gladiolo, fra le corolle bianche delle ninfee galleggianti sull’acqua dove gli alberi specchiano la loro immagine, intorno ai calicini cilestri delle veroniche che tappezzano il prato, ai piedi dei tronchi grigi-azzurri. E poi sopra tutto codesto bel paesetto tranquillo brilla il sole tiepido di Maggio e penetra tra foglia e foglia ed accende l’argento dei pioppi, il bianco cereo delle ninfee, lo zaffiro dell’acqua, lo smeraldo del prato o la schiena bruna delle rane, le quali chete, chi sopra la foglia liscia d’una ninfea, chi abbrancata alle acute lame dei gladioli, chi seminascosta fra i giunchi, chi invece lestamente nuotando nell’acqua morta del padule bellissimo, salutano gracidando mollemente la bella giornata di sole e di ombra.
Su quel padule impera una bella ranona dal ventre giallo, dalle anche potenti che io ho chiamato la Principessa Nenuphar.
Di tanto in tanto la vedo spiccare un salto, balzar fuori dall’acqua, saltar sulle più larghe foglione, accoccolarvisi gravemente come un giudice farebbe sulla sua poltrona, e poi sbarrare gli occhi rotondi a fior di capo, gonfiare il suo pancione color d’oro e mandar fuori un cro-cro cro-cro.
Ed allora se vedeste che affaccendarsi nel suo popolo palustre! Le rane guizzano su dal fondo, scendono a balzelloni dalle rive dove sono corse a caccia dei moscerini dall’ali multicolori, lasciano le radiche degli alberi dove si appiattano sovente e corrono tutte intorno alla Principessa e rispondono a quel maestoso cro-cro con un gracidare piano e rispettoso, come quello che faremmo noi se fossimo rane e se la nostra Regina c’interrogasse.
Quanta gente non capisce la lingua che parlano le rane! Tutti coloro che passano accanto ad uno stagno senza prestar attento orecchio ai rumori che vi si sentono, che guardano la farfalla che svolazza e non odono il lieve fremito delle sue ali, che non indovinano il dialogo fra l’ape e il fiore, tutti quelli pei quali la foresta è muta, pei quali il roteare dell’onda che batte contro lo scoglio è suono informe, non comprendono nulla della continua e svariata conversazione del mondo che ci circonda.
Ma il vostro amico Vecchi capisce tutti quei suoni ed intende le lingue delle rane, ed in quei cro-cro che ad altri sembrano tutti uguali egli scopre gli accenti dell’ira e dell’amore, i comandi e le preghiere.
La Principessa diceva:
— Correte ad avvisare la Istitutrice di mia figlia che fra poco andrò al palazzo d’estate dov’essa studia e che faremo insieme una passeggiata.
— Cro-cro, cro-cro, rispose il coro delle rane, e tosto a tutta forza di nuoto le snelle bestiuole approdarono alla sponda che guarda la parte più imboscata della foresta di pioppi.
Sopra una piccola isoletta d’arena tutta circondata da giunchi alti è costruito il palazzetto della Principessina Nenuphar.
È tutto di foglioline giovani di gladiolo, alle quali la tenera età dà il colore del porro. Dentro è tutto tappezzato di muschio umido e verde, e la sabbia ed il fango rincalzati intorno alle pareti esteriori impediscono che v’entrino le biscie, i biacchi, i topi d’acqua e tutti i brutti nemici della dinastia regnante. In mezzo un bel Nenuphar color d’avorio, che si rinnova ogni mattina, è posato sul muschio e serve di letto alla Principessina, una bella ranina verde colle zampettine chiare chiare e cogli occhi azzurri.
La Principessa madre entrò mentre l’Istitutrice faceva la lezione.
— Principessina — domanda l’Istitutrice — ditemi qual è il nostro dovere quando il tempo minaccia di cambiare.
— Signora maestra — risponde questa — allora noi dobbiamo abbandonare il fondo dello stagno, salire a galla, guardare il cielo che s’imbruna e gracidare in comune per avvisar gli uomini, acciocché mettano in serbo i fieni che stanno ammonticchiati nei prati; e poi dobbiamo cercare di prendere al varco i moscerini che volano sull’acqua perché quando piove gli è per noi impossibile andare a caccia.
— Brava Principessina, brava, andiamo innanzi.
In questo mentre l’entrata della Principessa madre interruppe la lezione.
La Principessa s’informò dalla Istitutrice dei progressi fatti, dei lavori eseguiti, della condotta della figlia. Ma qual fu il suo stupore quando udì che la piccola Nenuphar aveva quella mattina rifiutato di buttarsi nello stagno! Come, una ranocchia della famiglia cospicua di Nenuphar, la figlia del Re Mangiaporri morto l’anno prima nel difendere lo stagno paterno contro l’invasione della tribù delle serpi a schiena nera, la futura Regina aver paura dell’acqua! oibò! — Signora Principessina, – disse la mamma con un cro-cro formidabile e per il quale tremarono come foglie di canna mosse dal vento tanto la figliuola colpevole quanto la Istitutrice troppo indulgente, — signora Principessina, venite meco e vi darò io una lezione di nuoto.
— No, mammina, no, ho paura, gridava la Principessina alzando le zampine in segno di terrore e seguendo l’Istitutrice; no, mammina, no.
La Regina Nenuphar allora si mise a sedere sulla riva ed incominciò:
— Non c’è nulla che ti possa far paura. Noi ranocchie abbiamo sempre saputo nuotare e gli uomini che sono tanto superbi, alla fin de’ conti ci hanno avuto a maestre. Non c’è che a fender l’acqua colle zampe dinanzi ed a respingerla addietro colle zampine posteriori.
Anzi, lei signora, Panciarancia tenga per mano mia figlia mentre io le do coll’esempio una lezione.
In così dire la Regina non fece né uno né due, ma giù un bel tuffo.
Invano essa chiamava con cro-cro imperiosi la sua cara ranocchietta a seguirla; questa invasa dalla paura stendeva i piedini verso l’estremo lembo dell’acque, ma non si decideva ancora. La mamma rovesciata sullo stagno colle zampine anteriori la chiamava; nulla, nulla.
Resistere ai voleri della mamma è già una cosa cattiva, ma immaginarsi poi quando la mamma è una regina!
L’occhio bruno di questa si rannuvolò; fece un impercettibile segno del capo all’Istitutrice che diede una spinta alla spalla della Principessina che a capitombolo patapunfete! cascò nell’acqua. La rapidità della caduta impedì che lanciasse agli echi del lido un croù-croù di dolore; il limpido lenzuolo d’acqua s’aperse sotto di lei e l’inghiottì.
Ma non temete, bambini miei, non si fece punto male: sollevò prontamente il capo dal gorgo e la buona Regina ch’era pronta a venirle in soccorso la chiappò per le zampine davanti ed insegnandole il nuotare a tempo con dei cro-cro ripetuti e cadenzati le mostrò i movimenti del nuoto.
Allora tutto il popolo che attendeva la prima lezione di nuoto di colei che un giorno doveva esser sua Sovrana, diede in un gracidio di gioia e di trionfo. Le foglie delle ninfee, i fiori eburnei, le rive, i tronchi d’albero il cui piede si bagna nell’onda, i cespugli di giunchi, di gladioli e di non ti scordar di me popolaronsi di ranocchie che sotto la sferza del sole tiepido di Maggio plaudivano alla Principessina Nenuphar che, domata la paura giovanile, nuotava sull’onda tranquilla, guidata dalla madre maestosa e contenta.
Fine.
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TITOLO: La principessa di Nenuphar
AUTORE: Augusto Vittorio Vecchi
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti