La raccolta che prende il titolo dalla prima novella, La prima donna, fu pubblicata nel 1895. Tutta la raccolta risente del clima verista di quegli anni ma ad esso Di Giorgi aggiunge pennellate decadentiste, composto nel quale vari critici – Francesco Protonotari ad esempio, fondatore di «Nuova Antologia» – lessero una forte influenza della letteratura francese della metà dell’Ottocento, ma, direi, già a partire da Balzac. Di Giorgi comunque non arriva all’essenzialità di alcuni di quegli autori e, al contrario, indugia spesso in una ridondanza di linguaggio che risulta pesante.

Le cinque novelle – La prima donna, Tempesta stornata, La fine di Don Giovanni, Novella sentimentale, Il trionfo della malizia – esplorano gli ambienti siciliani della media borghesia.

Della prima novella è protagonista un giovane completamente assorbito ed alienato al mondo dai suoi ‘aridi’ studi giuridici, che si è dato il compito di riscattare la situazione rovinosa della madre vedova e delle sorelle, alla quale le ha condannate l’irresponsabilità del padre. Ed ecco appare la prima donna, che viene da un altro mondo, che ha altre aspirazioni, ma che riesce ad irretire il giovane. Da quel momento si apre un mondo del tutto sconosciuto ed affascinante, nel quale «tutto il bagaglio delle idee generalmente professate in fatto di doverosa cavalleria con le donne, di riserbo, di discrezione, era stimato vieto e stupido». Arrivano i primi debiti, i grattacapi e la situazione precipita, con un matrimonio, una maternità…

Assai meno scontata è la seconda novella, Tempesta stornata, semplice vicenda di giovani amanti nella quale galeotto è il desiderio di potere dell’ambizioso marito di lei, che Marco Minghetti in persona ha convinto ad entrare in politica. La capacità letteraria di Di Giorgi forse si sviluppava meglio nella forma teatrale se Protonotari, recensendo questa raccolta in «Nuova Antologia», scriveva che la commedia tratta da questa novella era indubbiamente superiore all’originale.

La novella La fine di Don Giovanni racconta di un barone di un piccolo paese siciliano alle prese con la sua fama di seduttore incallito. La sua vera autorità «non veniva a lui dalla sciarpa a tre colori e non andava ad esercitarla al Municipio, ma là, al Casino dei civili, dove ogni giorno, dopo pranzo, egli si metteva a parlare del suo viaggio». Già perché, al contrario di tutti i suoi compaesani, il barone di punto in bianco si avventura fuori dal paese, per conoscere tutto il mondo “o poco meno”, proprio come il personaggio di Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet. Ma le cose vanno peggio per il nostro barone.

In Novella sentimentale è una delicata e sfortunata storia d’amore, ambientata in Sicilia e a Roma. Tutt’altro che delicata è la storia d’amore, invece, narrata ne Il trionfo della malizia, nella quale un astuto paesano si mette al servizio del barone locale. O meglio, mette al servizio sua moglie, con tutto ciò che questo potrebbe comportare.

Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi

Dall’incipit del libro:

La lieta giornata d’aprile moriva: la dolcezza di quel lungo e tiepido bagno di sole, profumato dall’aria odorante di zágara, esalava lentamente. Ma prima di ritirarsi là, dietro il profilo roseo dei monti, il disco luminoso si stemperava in una densa pioggia di pulviscoli d’oro, ed era come una nebulosa immateriale e trasparente sospesa nell’aria, che s’allargava e si stendeva sempre più su tutte le forme della natura e delle cose.
Contro l’onda dorata e dilagante adesso, le gelosie della finestra dietro a cui Filippo Torreforte stava chino sui suoi libri e le sue carte, e che avevano impedito tutto il giorno ai raggi vivi del sole d’irrompere nella stanza, non offrivano più riparo. Ma il giovane non si difendeva più. Dieci ore quasi ininterrotte di lavoro erano passate sulla sua testa curva sopra la scrivania, dieci ore scorse nell’arido studio di un processo, nella consultazione del codice e dei classici del Diritto. E durante il lungo tempo, malgrado i suoi ventisei anni, malgrado il suo ricco e caldo sangue, avea saputo restare sordo e tetragono al languido invito della natura in festa, efficace ad esaltare le carni più pigre, i sensi più tardi, non s’era lasciato sedurre da quella carezza di sole che metteva una voglia acuta di stendervisi sotto, da quell’alito ineffabile di primavera che voleva essere avidamente bevuto ‒ tanto era l’ardore che l’animava, tanta la volontà che lo sorreggeva!

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