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The Scarlet Plague fu scritto nella primavera del 1910, pubblicato per la prima volta nel 1912 su “London Magazine” e poi in volume nel 1915 con l’editore Macmillan di New York. In questo e-book la prima traduzione italiana a cura di Gian Dàuli e della sua moglie americana Edith Carpenter nell’ambito dell’iniziativa di editare le opere complete di Jack London, cosa pregevole ma che fu causa preponderante per il disastro economico delle edizioni Modernissima.
Considerato dalla critica “scrittore per ragazzi” London spaziò invece con risultati più che buoni nell’esplorazione del futuro, esplorazione che nasce dalla totale sfiducia ormai raggiunta nella possibilità di uno sviluppo sereno e positivo della civiltà. Upton Sinclair, che di London era amico, imputò queste visioni apocalittiche al delirio susseguente all’abuso di alcool. Ma queste visioni – quella di questo breve romanzo si colloca in maniera inquietante nel 2013 – corrispondevano al suo pessimismo del quale era peraltro perfettamente consapevole.
In una delle sue ultime interviste disse: “Potete domandarvi perché sono pessimista; me lo domando spesso anch’io. Possiedo la cosa più preziosa al mondo: l’amore di una donna; ho dei figli, molti soldi, ho successo come scrittore, molti uomini lavorano per me, ho un magnifico ranch e nonostante questo sono pessimista. Vedo le cose senza passione, scientificamente, e tutto mi appare sempre più spesso senza speranza; dopo lunghi anni di lavoro e di speranze la gente sta peggio che mai. C’è una classe dominante che vuole consolidare il suo potere. Vedo anni e anni di spargimenti di sangue. Vedo la classe dirigente prendere le armi per mantenere i lavoratori sotto il suo dominio, per schiacciarli se tentassero di spodestare i capitalisti. Vedo le cose alla luce della storia e delle leggi della natura”.
Non siamo di fronte comunque a un London “minore” diverso da quello “classico”. Fritz Leiber notò giustamente che “le sue storie fantastiche facevano intimamente parte della sua concezione del mondo”. Ed era una concezione tipicamente americana, permeata di quella ingenuità e grossolanità tipici dell’autodidatta americano. Per questa ragione in Italia non trovò mai spazio tra quelli che Sanguineti definì “americani alla Pivano” e sempre per questa ragione non gli fu mai concesso spazio nell’oligarchia editoriale italiana governata da Vittorini e Pavese.
Anche in La peste scarlatta emerge la violenza e durezza della vita tramite la quale respinge il mito marxiano e messianico dell’uomo nuovo; il suo bagaglio ideologico di socialista viene immerso nella verità della vita, quindi nella sua violenza. L’immane contagio che distrugge quasi interamente l’umanità è soprattutto il mezzo per raccontare questa violenza e rimane uno dei più noti racconti di epidemia e di dopo-catastrofe e ancora non cessa di inviare il suo messaggio che ci indirizza verso un futuro tenebroso e sconosciuto.
Non certo unico in questo; si potrebbero ricordare, sempre di London, The red one, e The Unparalleled Invasion – guerra batteriologica ai danni della Cina… – che appaiono oggi più che mai “classici dimenticati della letteratura fantascientifica” come disse Philip Joseph Farmer.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
La via tracciata da poco seguiva quella ch’era stata, un tempo, la massicciata d’una ferrovia che, da anni, i treni non percorrevano più. Ai due lati, la foresta aveva raggiunto e invaso i pendii inghiaiati involgendoli in un verde rigoglio di alberi e di cespugli. Non si trattava di una strada vera e propria ma, piuttosto, di un semplice viottolo, d’una larghezza appena sufficiente pel passaggio di due persone, e che aveva tutta l’apparenza di un sentiero d’animali selvatici.
Qua e là, alcuni pezzi di ferro arrugginito indicavano come sotto i cespugli esistessero ancora rotaie e traverse. A un certo punto si scorgeva un albero che, crescendo, aveva sollevato in aria tutta una rotaia alla quale era rimasta attaccata, per mezzo di un chiodo, una pesante traversa. La rotaia e la traversa così bizzarramente unite, s’ergevano fantasticamente contro il cielo.
Per quanto vecchia fosse la strada ferrata, si indovinava subito, data la sua strettezza, che doveva avere avuto un solo binario.
Un vecchio ed un ragazzo percorrevano il sentiero, e avanzavano lentamente, poichè il primo era carico d’anni. Un’incipiente paralisi, imprimeva al corpo e a tutti i gesti di lui un tremito convulso. Di sotto a un grossolano berretto di pelle di capra, che gli proteggeva il capo contro i raggi del sole, sfuggivano alcune ciocche di capelli bianchi, sporchi ed incolti; una specie di visiera, fatta ingegnosamente, con una grande foglia curvata, gli riparava la vista dalla luce troppo viva, pur permettendo al vecchio di seguire, di sotto, attentamente con lo sguardo l’avanzare dei piedi.
Scarica gratis: La peste scarlatta di Jack London.