The cottage on the fells è un romanzo giallo pubblicato nel 1908. Negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo le ipotesi e le indagini sperimentali di Wilhelm Kühne, che ipotizzavano di poter estrarre dal fondo della retina di un morto l’ultima immagine vista da questo prima di morire, avevano influenzato parecchio la letteratura, e la cosiddetta optografia forense, disciplina sorta appunto da queste ricerche, aveva avuto persino un certo appiglio su alcuni investigatori. Tra questi certamente il più noto fu Walter Dew che tentò questa strada su Mary Jane Kelly, una delle vittime di Jack lo squartatore. Il processo di estrazione dell’immagine era pressoché impossibile con la tecnologia e le conoscenze dell’epoca, e a tutt’oggi risulta difficilissimo e assolutamente non utilizzabile nella pratica delle indagini scientifiche relativamente ai casi di omicidio. Tuttavia le opere letterarie (e successivamente cinematografiche) che mettono in campo questo tipo di indagine sono state numerose. Mi sembra che per primo fu Jules Verne a proporre questa pratica “di avanguardia” nel poco noto ma molto bello I fratelli Kip del 1902. Gli esempi successivi sono numerosi e si può ricordare il terzo film di Dario Argento, Quattro mosche di velluto grigio, che presenta questa pratica come assolutamente scientifica e la pone sullo sfondo di tutta la vicenda.
Stacpoole ripropone in questo avvincente giallo la possibilità di estrarre l’ultima immagine vista da un defunto dalla sua retina e farne una riproduzione fotografica come se fosse un negativo. In questo caso il defunto è morto di paura, ma l’immagine potrebbe fare luce addirittura su due misteriosi casi di omicidio avvenuti a distanza di anni in Francia e in Inghilterra. Questa estrazione di immagine è citata come basata sul “metodo di Mendel” ma non saprei dire se l’autore fa confusione (proprio in quegli anni si cominciavano a riscoprire e citare le sperimentazioni mendeliane) o semplicemente si rifà a un nome di fantasia. Resta il fatto che nel romanzo questa operazione riesce in maniera brillante e si rivela risolutiva.
Lo svolgimento della trama si snoda sempre sul filo di una ambiguità, retta con sapienza narrativa, dove predomina l’equivoco e la confusione tra vittima e omicida. Degno di menzione anche il modo nel quale viene descritto il rapporto tra investigatore professionista e investigatore dilettante, senza che l’autore voglia indirizzare le simpatie del lettore verso l’uno o verso l’altro dei due.
Traduzione italiana anonima del 1937, che, nonostante la destinazione popolare ed economica della collana che la ospitò, è sostanzialmente accettabile, pur con qualche taglio di poca entità e significanza, e con la numerazione dei capitoli non corrispondente all’originale per l’accorpamento di alcuni dei più brevi in un unico capitolo. Lettura ancor oggi godibile per gli amanti del genere investigativo.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Il piroscafo di Folkestone stava per partire da Boulogne.
Da levante il vento s’era levato, glaciale, e leggere nubi erano apparse nel cielo.
In piedi, sulla passerella che univa il battello alla terra, due amici, Hellier e Comyns, chiacchieravano aspettando il segnale della partenza.
— Non so capire perché tu ti ostini a rimanere a Boulogne – diceva Comyns al suo compagno.
— Ci sono tante cose al mondo che non ci sappiamo spiegare – rispose Hellier.
Ma a Comyns non sfuggí il suo imbarazzo.
«C’è sotto qualche cosa» pensò.
Hellier si era trattenuto a Boulogne una quindicina di giorni, col pretesto di un attacco d’influenza. Era avvocato, viveva d’una piccola rendita e aveva avuto sempre una passione per la letteratura romantica.
Scarica gratis: La paura che uccide di Henry de Vere Stacpoole.