Scrive Riane Eisler in Il calice e la spada:

«La storia della civiltà cretese comincia intorno al 6000 a. C., quando per la prima volta arrivò sulle spiagge dell’isola una piccola colonia di immigranti, probabilmente provenienti dall’Anatolia. Portavano con sé la Dea e una tecnologia agricola che li colloca nel Neolitico.

Nei successivi quattromila anni ci fu un progresso tecnologico, lento e costante, nella produzione di vasellame, nella tessitura, nella metallurgia, nell’incisione, nell’architettura e in altre arti, oltre che un’espansione del commercio e una graduale evoluzione del vivace e gioioso stile artistico tipico di Creta. Poi, all’incirca nel 2000 a. C., Creta entrò in quello che gli archeologi chiamano Minoico Medio, o periodo dei primi palazzi.
«Ci troviamo già nell’Età del Bronzo avanzata, un periodo in cui nel resto del mondo allora civilizzato la Dea veniva sistematicamente rimpiazzata da bellicose divinità maschili. Era ancora venerata, come Hathor e Iside in Egitto, Astarte o Ishtar a Babilonia, o come Dea del sole di Arinna, in Anatolia. Ma ormai era soltanto una divinità secondaria, considerata madre o consorte di divinità maschili più potenti. Perché stava sempre più diventando un mondo in cui il potere delle donne era in declino, in cui il dominio maschile e le guerre di conquista e di controffensiva stavano ovunque diventando la regola.»

È in questo contesto di tradizione che vede il tramonto delle società matrilineari che Merežkovskij, con la sua scrittura visionaria e sorprendentemente affascinante, coniuga i misteri della storia, dell’archeologia, del mito con la propria immaginazione.

L’autore scrisse questo libro nel 1925 – la prima traduzione italiana che presentiamo in questo e-book è dello stesso anno – e senza dubbio non aveva conoscenza solida sulle radici della civiltà occidentale usufruendo di un punto di vista che tenesse conto delle scoperte archeologiche più recenti e di come genetica e linguistica abbiano potuto scandagliare strati più remoti del nostro passato penetrando più a fondo il nostro orizzonte temporale. Eppure Merežkovskij riesce a offrire una narrazione che prendendo le mosse da brandelli di religione mesopotamica (il personaggio Tammuzadad, generalmente chiamato con il diminutivo Tamu è palesemente ispirato alle divinità mesopotamiche, tra le più significative, Tammuz e Hadad) mischia sapientemente leggende minoiche come l’amore di Pasifae per il toro e la nascita del Minotauro, con la storia cretese stessa. Così Tuta (il futuro faraone Tutankamen) incontra Idomeneo re di Creta:

«Tuta guardò il trono e restò senza fiato, non credendo ai propri occhi. Egli li spalancò per vedere meglio, ma era pur sempre la stessa cosa: sul trono sedeva un mostro, un uomo colla testa di toro.»

E subito dopo che lo stesso Tuta ha rivolto, benché stupefatto, il saluto al re:

«Ascoltava sè stesso con soddisfazione: specialmente lo inorgogliva l’aver vinto le difficoltà, l’unione strana del sesso femminile col maschile. Trasportato dall’eloquenza, egli guardava in faccia senza turbamento il re dal muso di toro: toro o no, l’importante era dire bene il suo discorso!
Due giovanetti in figura femminea si accostarono al re e gli tolsero il capo. Di nuovo Tuta rimase stupefatto e spalancò gli occhi: solo allora comprese che il muso di toro era una maschera.»

Idomeneo a sua volta saluta Tuta:

«– Che la Grande Madre ti benedica, figlio mio; a Lei innalziamo sempre le nostre preghiere, e che il nostro cuore e il cuore del nostro fratello amato, il grande re d’Egitto, siano uno solo, come il sole è unico nel cielo! – rispose il re cretese; e l’interprete tradusse in egiziano.
Nell’ascoltare quella voce tremula femminea, nel guardare quella faccia femminea tumida, Tuta non poteva capire se quello fosse uomo o donna.»

Con queste premesse si prepara l’arrivo di Tuta in Egitto. Ma questo arrivo deve attraversare sofferenza umana che si rapporta con il mistero della sofferenza divina. Merežkovskij cerca di trasmettere a chi legge la sua interpretazione del significato della storia, pregna di umanità e passione. E il tramonto della Dea Madre, attraverso i sacrifici crudeli e cruenti dei culti pre-cristiani, lascia intravedere la croce, simbolo che raffigura l’intendimento divino di immolarsi come mezzo di redenzione della creazione. La lingua della misericordia è difficile e spesso incomprensibile e la storia che Merežkovskij racconta su questo sfondo storico-mitologico è complessa.

Diò (che in questa traduzione italiana è scritta senza accento rendendo talvolta ancor più ambiguo significato e comprensione) è una sacerdotessa e danzatrice sacra cretese; siamo in un’epoca nella quale la tradizione vede segni beneauguranti nella morte sacrificale, come quella procurata nella tauromachia. L’amica prediletta di Diò è la danzatrice Eoïa (la cui figura nel racconto si sovrappone a quella di Pasifae); Tamu tuttavia è innamorato di Diò e questo lo rende geloso di Eoïa. Decide della morte di quest’ultima facendo ubriacare il toro insieme al quale Eoïa dovrà danzare e questo inebriato dall’alcol la uccide. Diò decide quindi di uccidere il toro sacro e di incendiare il labirinto che lo ospita; il desiderio di vendetta si compenetra con il rifiuto di una pratica religiosa rispetto alla quale le sembra di poter andare oltre, di dover accantonare. Sa che questo le costerà la morte sul rogo e sulla croce ma Tamu si immola in sua vece salvandole la vita e liberandola perché possa accompagnare Tuta in Egitto presso il faraone Akhenaton, al quale Tuta (Tutankamen) è destinato a succedere.

Merežkovskij usa abbondantemente del repertorio simbolista attraverso le descrizioni delle cerimonie spesso macabre e sanguinose che però evocano costantemente il simbolismo della Croce. Il sacrificio è parte stessa della divinità; il sacrificio della Croce si sostituisce ai precedenti sacrifici conservandone il misticismo e il mistero attraverso quell’unione di amore e dolore che dovrebbe indicare una direzione per condurre l’uomo oltre la crudeltà e la confusione verso un nuovo tipo di ordine.

I temi tardo-simbolisti che caratterizzano l’opera di Merežkovskij fin dalla fine del XIX secolo, soprattutto con la sua notissima trilogia, risentono in questo romanzo della conversione dell’autore ad un “Neo-cristianesimo” che dovrebbe sorgere dalla creazione di una società religiosa e da un rinnovamento della chiesa ortodossa russa. Ed è anche evidente che la prosa di Merežkovskij subisce l’influenza del realismo caratterizzante la letteratura russa del XIX secolo. Tuttavia anche questo romanzo di Merežkovskij trasmette la sensazione di essere di fronte a qualcosa difficilmente inquadrabile, qualcosa che non assomiglia a niente altro. L’erudizione e l’accuratezza di una ricostruzione storico-mitologica degli eventi narrati sono coniugati con episodi e personaggi di fantasia a loro volta mediati da un’interpretazione del tutto personale.

La traduzione italiana presentata in questo e-book è di Nina Romanovskaja (Nina Romanowsky secondo la grafia più frequente) già professoressa all’università di Kiev e trasferita a Milano fin dall’inizio del XX secolo dove svolse attività di insegnante di russo e di traduttrice di numerosi autori russi e per diverse case editrici. Morì a Milano nel 1951.

Il romanzo è stato recentemente riproposto in una nuova traduzione ad opera di Vittorio Fincati.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

— «Il Padre è amore». Ab-Vad. Ab: il Padre; Vad: l’amore. Ecco ciò che è scritto sul talismano.
— Che cosa vuol dire?
— Non lo so…. Lo porto sempre da quando mia madre me lo mise al collo, e non me lo tolgo mai; esso mi ha protetto in tutta la mia vita. Mi ha salvato anche poco fa dalla belva. Quando il cinghiale saltò fuori dal canneto e mi fece cadere, io cercai il coltello; ma la guaina era vuota. Disteso sotto il ventre del mostro, lo sentivo grugnire sopra di me e cercare la mia gola colle zanne. Fortunatamente mi aveva toccato in basso presso la clavicola, ma se fosse stato un po’ più in su, sarebbe stata la mia fine. Mi ricordai allora del talismano, lo tastai con una mano sul petto. “Ab vad!” mormorai, e coll’altra mano afferrai il coltello che era sull’erba; certamente mi era caduto mentre precipitavo a terra. Ebbi l’abilità di sollevarmi e l’immersi sino al manico nel ventre della belva.
— Il talismano ha salvato te, e tu hai salvato me.
— Non pensavo a te…. Del resto, se anche ti avessi salvato, che guadagno ne avrei? Noi altri mercanti pensiamo solo al guadagno….
— Aspetta, mercante; può darsi che venga anche il guadagno….

Scarica gratis: La nascita degli Dei di Dmitrij Sergeevič Merežkovskij.