Breve saggio, in cui l’autore, diventato celebre per Cuore, presenta con una prosa vivace la sua capacità di osservatore dei costumi di fine secolo XIX, analizzando con tono semiserio il fenomeno sociale della lettera anonima. Il discorso, pronunciato a fini benefici nel 1895, fu pubblicato nel 1897 da Treves, ed illustrato da Pagani e Ximenes con numerosi disegni.
Fenomeno ahimé assai diffuso, a detta dell’autore, in ogni parte d’Italia, la lettera anonima colpisce per motivi diversi persone di diversa estrazione sociale. L’intento di questa analisi è appunto quello di ridurre i sentimenti negativi che si accompagnano alla sua ricezione, come afferma in apertura il De Amicis:
«Se qualcuno degli uditori, quando riceverà una di quelle lettere, ricordandosi delle mie parole, invece di adirarsene e di soffrirne, la butterà via senza leggerla, o la leggerà col sorriso sulle labbra o con un sentimento di freddo disprezzo, credo che e l’argomento e il modo che ho scelto di svolgerlo parranno giustificati.»
L’impunità che si accompagna alla scrittura di una lettera anonima la rende un mezzo per sfogare il proprio odio e trarre una vendetta senza spese né rischio. Nel XXI secolo questa funzione sembra essere passata, ormai, ai commenti di odio che si trovano sui social media, generalmente creati da profili falsi e difficilmente riconducibili al vero autore, che se scoperto si difende protestando la propria innocenza e dando la colpa a non meglio identificati “hackers”.
Come i commenti di odio, le lettere anonime spesso prendono di mira persone più o meno celebri, augurando la morte o comunque tempi duri (ne ricevette anche il Manzoni!) o cercando di minarne l’autostima, anche con trovate ironiche (inviare un sillabario a uno scrittore, ad esempio); in alternativa, si cerca di colpire l’amore attraverso la potente arma della gelosia. E, purtroppo, la natura stessa poco razionale dell’innamorato (o innamorata) in preda alla gelosia rende il destinatario propenso a soffrire orribilmente per ciò che la lettera svelerebbe. Ancora più feroci le lettere scritte da un innamorato respinto all’oggetto del suo amore, o al rivale fortunato.
La forma presa dalla lettera può essere diversissima, usando una scrittura alterata, concludendo con “distinti ossequi” una pagina di insulti, scrivendo a stampatello, facendo scrivere la lettera stessa da un fanciullo o da una fantesca; perfino inviando un foglio bianco, ma con un motto celebre e salace come intestazione del foglio stesso: come ricorda l’autore,
«Di queste lettere io ne ricevetti una molto arguta, un mese dopo d’aver pubblicato un libro intitolato: Gli amici. Il foglio era tutto bianco; ma, ahimè! il motto diceva: — Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io.»
Ma se così numerose sono le lettere anonime, secondo l’autore chi effettivamente le scrive fa parte di una minoranza, ma si dedica con assiduità a questa occupazione, producendo anche “in serie” le sue missive. De Amicis paragona a un monello, che non può vedere un muro imbiancato senza volerlo deturpare con qualche scritta, colui che non può vedere felicità o successo senza provare tale e tanta invidia da adoperarsi attivamente per rovinarla con una lettera anonima. Un esempio di offese dirette senza nemmeno conoscere chi riceve la lettera è questo:
Un romanziere italiano, che non ha mai scritto pel teatro neppure un monologo, ricevette una lettera che cominciava così: — Ho letto tutte le tue commedie, e non ce n’è una che valga un biglietto d’entrata al loggione. —
Conclude però l’autore, che in fondo è meglio offendere con un foglio di carta, invece che con la spada o il veleno come nel passato; e che l’aumentare della civiltà dovuto all’educazione farà col tempo scomparire questa piaga.
Sinossi a cura di Gabriella Dodero
Dall’incipit del libro:
A molti parrà leggiero l’argomento di conferenza che ho scelto. Dichiaro, prima d’ogni cosa, che non intendo di fare una conferenza. Sarà una conversazione ‒ molto semplice, e allegra, in gran parte: ‒ e la chiamo conversazione benchè parli io solo, poichè son certo che interloquirete mentalmente con le vostre osservazioni e coi vostri ricordi, non discordanti dai miei; non essendo possibile che i più di quelli che m’ascoltano non abbiano avuto da occuparsi qualche volta, per necessità, e come parte passiva, ben inteso, del flagello letterario di cui voglio parlare. E se l’argomento vi par leggiero vogliate scusarmi in considerazione delle molte volte che, sotto forma di conferenza, vi sarà stato offerto, com’è l’uso corrente, un alimento scientifico un po’ troppo grave; non per l’intelligenza, è superfluo il dirlo, ma per la disposizione di spirito in cui eravate in quell’ora, alla quale conveniva piuttosto una distrazione piacevole che uno sforzo d’attenzione. Ma è veramente leggiero l’argomento?
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