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(voce di Luca Grandelis)«Molti si chiedono: può uno essere seguace di Cristo e sostenere l’attuale economia capitalistica mondiale?». Così Raimon Panikkar (filosofo catalano scomparso nel 2010), senza fronzoli o eufemismi, era solito porre sul tavolo i problemi durante le numerose occasioni pubbliche che ha offerto, spesso anche in Italia. Lo leggiamo qui in un nuovo volumetto dal titolo All’orizzonte un nuovo cristiano (pp. 48, euro 3,00) con il quale l’editore l’Altrapagina inaugura la collana «D&R – Domande e Risposte» (finalizzata essenzialmente a raccogliere testimonianze inedite, in specie interviste, di modeste dimensioni).
Anche se posta di rado, la domanda d’apertura è non solo centrale, ma necessaria. Se è vero che – come scrive Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (3,9) – «noi siamo i collaboratori di Dio»: il cristiano è cioè tenuto senza meno a fare in modo che le cose vadano «in terra come in cielo». I cristiani sono insomma destinati a fare della propria personale vocazione di cristiani un compito politico (cioè comune e concreto). Al di là di ogni semplificazione individualistica o «elevazione spiritualistica»: il tempo del cristianesimo (cui Panikkar associa il termine cristianìa) è quello dell’amore del fratello, del prossimo che ha bisogno del mantello e non può aspettare domani. Il tempo del cristianesimo non è il futuro, ma il presente.
Per questo – spiega Susan George, economista franco-americana intervistata da Achille Rossi nel libro Un sistema tossico (ed. l’Altrapagina, collana «D&R», pp. 40, euro 3) – non bastano né le sole buone intenzioni né la sola preghiera; ad esse bisogna affiancare l’azione concreta, pratica, organizzata ed efficace: «qualche volta nelle grandi riunioni incontro persone di buon cuore, con ottime idee, che procedono come se il potere nel mondo non esistesse, non si verificassero violenza e rapina e tutti fossero buoni e gentili. Bisogna ragionare in termini di potere, di come si può battere l’avversario, e non limitarsi a proporgli cose simpatiche di cui non gliene può importare di meno».
Perché tutto nella realtà è rapporto di forze (come ha scritto più volte il filosofo francese Maurice Bellet). D’altro canto, non si può fare affidamento sulla politica, smarrita nella propria collusione o inettitudine. Bisogna fare affidamento sulla propria capacità di comprendere e di organizzarsi di conseguenza contro il nemico comune: il capitalismo finanziario, che ruba ai poveri per dare ai ricchi, provoca le crisi economiche e alimentari e cerca di convincere il mondo che non vi sono alternative.
Mentre proprio sulle alternative concrete – che la George tratteggia – i cristiani possono trovare un’intesa anche con i cosiddetti «non credenti». Probabilmente certe questioni di principio – come il preservativo, l’aborto, il divorzio – appartengono al secolo scorso: nel senso che su di esse, è ormai chiaro, è impossibile trovare un accordo, che va lasciato evidentemente alle coscienze, al buon senso, al rispetto delle opinioni minoritarie e alla tutela dei più deboli. Oggi i cristiani, ed evidentemente non solo loro, sono chiamati a impegnarsi su un terreno più arduo e urgente: quello della giustizia.