Pubblicato nel 1917, questo opuscolo è essenzialmente propagandistico, ma presenta il suo particolare interesse nel tentativo che l’autrice fa di mediazione tra la sua idea di emancipazione femminile e le esigenze belliche, alle quali si era dedicata con grande partecipazione rovesciando le proprie posizioni precedenti e sostenendo vigorosamente la causa interventista.
Nella prima parte dello scritto Maria Rygier presenta quindi l’evento bellico come un’occasione importante per le donne per entrare nel mondo del lavoro subentrando alla manodopera maschile impegnata al fronte e nelle attività alla guerra strettamente connesse. L’occasione c’è indiscutibilmente stata, ma mantenerla e consolidarla in tempo di pace è stato per le donne nuovamente molto arduo. Così è stato anche dopo la seconda guerra mondiale. Per esempio ci sono voluti quasi altri cinquant’anni perché le donne tornassero a guidare, come era abituale durante la guerra, i mezzi di trasporto pubblici. Ogni posizione professionale viene raggiunta dalle donne con maggiore fatica, maggiori ostacoli, maggiori difficoltà di quanto sia previsto perché un maschio raggiunga analoga posizione. La speranza e la previsione di Maria Rygier non si è quindi pienamente concretizzata e quando ci si è avvicinati alle posizioni di uguaglianza di genere non è stato in conseguenza ad eventi bellici.
Ma il tentativo di rendere coerenti concetti evidentemente contrastanti emerge nella seconda parte dello scritto, quando il ruolo della donna nei conflitti fra stati viene individuato nella sua funzione di non far decadere l’incremento demografico. Qui, fra concetti che oggi possono apparire a chi legge insensati e persino indisponenti, troviamo invece un’efficace anticipazione della politica demografica del fascismo. Per la propaganda mussoliniana, che attraverserà poi il ventennio di dittatura, il ruolo della donna verrà ridotto a quello di “fattrice”, relegandola, in alleanza alla propaganda cattolica, in una posizione sottomessa e subalterna. Maria Rygier ovviamente non è consapevole che le sue idee sulla donna-madre conducono quasi necessariamente allo sbocco reazionario che vede quest’ultima soprattutto produttrice di vittime belliche. Ma i riferimenti culturali, ai quali implicitamente l’autrice fa riferimento e che risultavano egemoni in quella fase storica, erano quelli che, a partire da Spengler per giungere a Richard Korherr, che sarà pochi anni dopo uno dei punti di riferimento di Mussolini, vedevano una relazione stretta tra andamento dei conflitti e politica demografica.
Non c’è mai stata una vera unità di vedute in proposito. Studiosi dell’argomento hanno spesso individuato la sovrappopolazione come una causa di conflitto, ma altri trovano invece che il decremento demografico possa essere causa altrettanto solida. Fin dagli ultimi decenni del XIX secolo il dibattito sulle idee di Malthus e sulle sue implicazioni nei possibili rivolgimenti sociali era particolarmente vivo, dopo essersi acquietato per quasi mezzo secolo. Non per caso Maria Rygier afferma parlando della Francia e delle donne francesi in rapporto alla guerra in corso:
«Quelle donne, […] che non avevano voluto abbassarsi alle volgarità della gravidanza e dell’allattamento, sono state percosse, violentate, insozzate dalla libidine dei soldati nemici, […] senza che l’esercito francese, inferiore numericamente al tedesco, perchè la popolazione della Francia era stata decimata nel germe dal neomalthusianismo, abbia potuto proteggerle efficacemente dall’oltraggio straniero.»
Non si tratta d’altro che d’una forma enfatica e ad effetto per riprodurre in estrema sintesi il dibattito europeo sui temi demografici che era persistente fin dalla seconda metà dell’800; da un lato abbiamo la Germania minacciata di sovrappopolazione e dall’altro la Francia entrata da decenni in una fase di stagnazione in seguito alla diffusione di massa della limitazione volontaria delle nascite. Questo andamento quantitativo divergente unito alle tendenze espansionistiche tedesche assumeva aspetti minacciosi, e Maria Rygier non manca di sottolinearlo al momento nel quale lo sforzo bellico in contrapposizione agli imperi centrali avrebbe dovuto rafforzarsi. Quindi non sono peregrine le posizioni di Maria Rygier ma corrispondono a prese di posizione esistenti nel dibattito culturale dell’epoca al quale parteciparono studiosi come Kautsky e, tra gli italiani, Zorzi e Loria. Dibattito evidentemente inasprito e, spesso, ridotto a slogan propagandistici, durante e in funzione della guerra. Qualche anno dopo Mussolini potrà affermare: «Qualche inintelligente dice: siamo in troppi. Gli intelligenti rispondono: Siamo in pochi. Il numero è la forza dei popoli che dispongono della terra necessaria: e ciò non occorre nemmeno dimostrarlo. Ma è anche la forza dei popoli che non dispongono della terra necessaria, se sanno tendere mente e muscoli per conquistarla.» (discorso dell’Ascensione, 26 marzo 1926). E facendo trascorrere ancora qualche anno: «Bisogna essere forti prima di tutto nel numero, poiché se le culle sono vuote la nazione invecchia e decade».
Il discorso travalica ovviamente le poche righe di presentazione di questo breve testo; bisognerà attendere ancora parecchi anni perché Gaston Bouthoul, tra i più acuti studiosi del fenomeno della guerra, esaminando le conseguenze demografiche delle guerre, sia dirette che indirette, possa introdurre il concetto di guerra come “infanticidio differito” e di “disarmo demografico”.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
Quando, nel secolo scorso, le militanti del femminismo levarono, tra l’ostilità e la derisione della grandissima maggioranza dei loro contemporanei d’ambo i sessi, la bandiera dell’emancipazione della donna, esse non prevedevano certo che la loro battaglia sarebbe stata vinta, quasi senza sforzo ed in mezzo al consenso generale, grazie al più formidabile avvenimento, che abbia sconvolto ed insanguinato l’umanità: la guerra mondiale, di cui viviamo oggi le terribili vicende.
Sembra strano, a prima vista, che la guerra, attività specificatamente maschile, la quale serve a mettere in evidenza ed a glorificare l’eroismo virile del combattente, abbia potuto valorizzare la tesi femminista ed esaltare l’importanza della funzione pacifica, esercitata dalla donna nella società.
Le epoche, segnate nella storia da recrudescenze di azione bellica e dal rinfocolarsi dello spirito militare, non sono state di solito molto favorevoli alla donna.
Durante il primo Impero francese, la donna era considerata poco più di un giocattolo, destinato a rallegrare gli ozii dei guerrieri, dopo la vittoria. E Napoleone I, l’ispiratore del codice civile, che porta il suo nome e che è così crudele ed umiliante per la donna, non si peritò di dichiarare brutalmente, in ripetute circostanze, che la sola missione della donna era di partorire dei figli: di dare cioè futuri soldati agli eserciti della Francia imperiale.
Scarica gratis: La donna italiana di Maria Rygier.