La colonizzazione moderna degli ebrei in Palestina fu in gran parte impostata su un’organizzazione di tipo collettivistico sia agricolo che industriale. L’inizio di questo indirizzo si trova fin dalle origini del sionismo politico: dal 1901 T. Herzl, che fu il principale propugnatore di questa linea, con la costituzione del Keren Kajameth le-Israel (Fondo nazionale ebraico) aveva dato il via all’acquisto inalienabile di terreni palestinesi da assegnare tramite un canone d’affitto molto basso ai coloni. Gli ebrei delle cinque alijòt (flussi migratori) che si susseguirono dal 1882 alla fondazione dello stato di Israele erano molto spesso animati da ideali socialisti e libertari e diedero grande impulso agli insediamenti collettivistici con l’idea di prefigurare il futuro assetto della rinata società ebraica.

La prima colonia di questo tipo fu Degania fin dal 1909-1910. Le piccole colonie presero il nome di kevuzà; erano associazioni agricole di limitate proporzioni dal cui ampliamento e con l’estensione anche ad attività artigianali e poi industriali nacquero i kibbutz come si intendono ancora oggi. I primi kibbutz En Harod e Ten Josef furono fondati nel 1921. Gli sviluppi del movimento kibuzistico condussero alla formazioni di federazioni nelle quali si raggrupparono le colonie. Vi erano le federazioni ad orientamento socialdemocratico, quelle, in maggioranza, ispirantesi al sionismo socialista di D. B. Borochov; meno consistenti i raggruppamenti di ispirazione religiosa.

La consistenza della popolazioni del kibbuz varia da circa 100 abitanti fino a 1200. La struttura interna esclude qualsiasi proprietà individuale (inizialmente escludeva anche qualsiasi forma di lavoro salariato); ognuno dà secondo le proprie capacità e riceve secondo i propri bisogni. Il coordinamento delle attività è fondato sull’assemblea di tutti i chaverím (compagni) su base volontaria e garantito da un comitato liberamente eletto e responsabile. Da sottolineare che fin dall’inizio dell’esperienza kibbuzistica era esclusa ogni disparità di genere. Fin dall’inizio della «rivoluzione sionista», i padri fondatori avevano promesso di creare una nuova «donna ebraica». Per un numero abbastanza ristretto di persone, ciò significò libertà sessuale, teorizzata e praticata in ambienti altrettanto ristretti. Per la maggioranza, fu l’inizio della fine della struttura familiare tradizionale: nei kibbutzim, in particolare, ma pure in comuni urbane.

Tuttavia si può rilevare che l’accesso a nuovi lavori e lo stile di vita più libero non intaccarono comunque seriamente il ruolo dominante dell’uomo in campo economico. I maschi continuavano a svolgere i lavori più pagati e a monopolizzare quelli più legati alla produzione, dall’edilizia alle fabbriche. L’uguaglianza della donna rientrava nel discorso di ispirazione socialista del sionismo: la realtà fu piuttosto diversa. Per il trionfo delle rivoluzioni sionista e socialista, la donna dovette continuare a svolgere un duplice compito: oltre a sbrigare i lavori domestici, era anche una lavoratrice nei campi o nelle officine. Tutto questo comunque mentre l’organizzazione del “mandato britannico” in Palestina operava per la riproduzione dei meccanismi di funzionamento dell’economia vigenti in epoca tardo ottomana e agendo in direzione della trasformazione in senso capitalistico del mercato agricolo.

Da sottolineare tuttavia che benché la maggior parte dei libri sulla Palestina durante il Mandato è solita iniziare dai primi giorni del conflitto che culminerà nella prima ondata di violenze dell’aprile 1920, va però tenuto presente il carattere riduttivo di tale descrizione. Negli spazi di relativa autonomia in cui viveva la maggior parte della popolazione, la religione e i valori spirituali esercitavano un’influenza assai più diffusa sull’esistenza delle persone di quella esercitata dai funzionari britannici o dai sionisti animati da spirito coloniale. E nel 1946, l’anno nel quale fu pubblicato il breve testo che presentiamo, nella Palestina rurale, ma non solo, era vivissimo il desiderio di collaborazione fra i popoli ebraico e palestinese. Quando ormai il mandato britannico stava per finire, insediamenti ebraici garantirono un sostegno più organizzato e strutturato ai villaggi palestinesi, e cooperative agricole congiunte – un’assoluta novità – sorsero nel Marg Ibn ’Amr negli anni Quaranta, tra kibbutzim e villaggi, mentre nelle città furono creati nuovi uffici commerciali congiunti.

Troviamo infatti scritto nel capitolo Oasi nel deserto di questo libretto:

«Quando si è scavato un pozzo artesiano con successo, l’acqua serve naturalmente anche per il villaggio arabo vicino. Questa è una delle ragioni per cui le relazioni tra le colonie ebraiche e i vicini Arabi sono generalmente buone.»

In Palestina, la convivenza non fu solamente realizzata in circoli ristretti; fu anche una scelta ideale. Non godette di grande appoggio politico, anche perché non piacque a nessun uomo politico di grande rilevanza istituzionale. Fu tuttavia un pilastro teorico del Partito comunista di Palestina. Questo partito fu composto prevalentemente da ebrei sino al 1936, anno in cui, in seguito a quello che nella sua storia viene chiamato processo di «arabizzazione», iniziò ad aumentare il numero degli aderenti palestinesi. Nonostante il carattere marginale, questo partito contribuì a conferire un andamento alternativo allo sviluppo sociale diffondendo un discorso anazionale tramite i suoi giornali principali. L’organizzazione politica più apertamente favorevole al binazionalismo come stile di vita fu un piccolo gruppo denominato Brit Shalom (Patto di pace) e ideato da Yehuda Magness, un ebreo americano immigrato in Palestina nel 1922.

Aderente all’American Reform Movement in ambito ebraico, Magness non era interessato alla sovranità degli ebrei sulla Palestina, bensì a che potessero viverci nell’ambito di uno Stato unitario binazionale. Sino alla morte, avvenuta nel 1948, Magness cercò di convincere entrambe le parti della ragionevolezza e della praticabilità della soluzione da lui proposta. Perciò creò un’organizzazione politica. Uno dei suoi più grandi successi, verso la fine del Mandato, fu convincere Fawzi al-Husaini, personalità di spicco della famiglia Husaini, ad aderire al movimento Brit Shalom. Fawzi al-Husaini fu però assassinato poco dopo dai suoi familiari schierati su posizioni nazionalistiche. Magness fu uno dei fondatori della Hebrew University e ne fu anche il primo presidente, nonostante il suo prestigio rimanesse però sempre relegato ai margini dell’attività sionista. Racconta Noam Chomsky:

«Nel 1953 mia moglie e io vivevamo in un kibbutz in Israele; eravamo studenti, facevamo escursioni e un giorno ce ne andammo con lo zaino in spalla nella Galilea settentrionale. Eravamo in strada quando arrivò dietro di noi una jeep, un tizio uscì e si mise a gridare: «Dovete tornare indietro, avete sbagliato paese!». Eravamo entrati nel Libano. Oggi probabilmente ci accoglierebbero con le mitragliatrici spianate. Non ci dovrebbero essere frontiere in quell’area. Forse con il tempo questi confini decadranno; del resto, l’intero accordo imperialista Sykes-Picot comincia a vacillare. E potrebbero esserci sviluppi ulteriori, nel lungo periodo. A questo proposito, la soluzione a due Stati non andrebbe letta come una meta finale. Come ho detto prima, non è che gli Stati godano di una legittimità intrinseca; sono stati tutti imposti con la violenza, e continuano a generare violenza in tutto il mondo. È una struttura sociale inumana, e in quanto tale dovrebbe crollare, sempre. In questa prospettiva, il ritorno dei profughi non è più così irrealistico. Non sarebbe soltanto il riconoscimento di un torto storico, ma una vera interazione tra popoli, non basata sugli Stati, le religioni o le etnie. Ci sono altre basi su cui si può costruire questa interazione.»

Tra il 1949 e il 1954 però il sistema di confisca di terre e villaggi da parte dei colonizzatori divenne insistente e il principale beneficiario di tale politica fu proprio il movimento socialista del kibbutz Hashomer Hatz’air che, ufficialmente, recava lo slogan della coesistenza binazionale bene in vista sui suoi striscioni. Era il più a sinistra dei tre maggiori movimenti del kibbutz attivi nel giovane Stato di Israele; dimostrò, nei fatti, di essere anche il più avido. Le conseguenze sono state inarrestabili. Per approfondire questi temi, qui appena superficialmente accennati, è molto utile leggere, ad esempio, il libro di Ilan Pappe, Storia della Palestina moderna. Una terra due popoli.

Il breve testo che presentiamo fu edito in Italia nel 1946 a cura di Hechaluz, l’organizzazione dei giovani ebrei sionisti nata a Roma fin dal giugno 1944, non appena l’arrivo delle truppe alleate aveva allontanato i maggiori rischi per gli ebrei. Così viene descritta da Rav Urbach nel bollettino ebraico di informazione del 13 luglio 1944:

«La nuova vita che pervade la Comunità ebraica dopo la liberazione ha avuto espressione immediata nella creazione di un Centro Giovanile Ebraico, che raccoglie a scopo di istruzione e ricreazione i giovani dai sette ai venticinque anni. Esso ha posto la sua sede in Via Balbo n.33. Circa 200 ragazzi si sono iscritti ai corsi di lingua e di cultura ebraica, che sono assai frequentati. Nel giugno 1944, a Via Balbo 33 dove c’era una Singagoga e dove per alcuni anni ero andato alla scuola ebraica, i soldati palestinesi cominciarono a organizzare dei corsi per i giovani ebrei italiani sul kibbutz, i movimenti giovanili, l’anelito di raggiungere Erez Israel mentre cantavamo le canzoni sentimentali in ebraico che tentavamo di capire. Tra gli insegnanti ricordo Joel Barromi e Yaakov [Foà] Ben Porat che erano vicini all’Hashomer Hazair, un movimento di kibbutzim di sinistra che fin da allora mi sembrava consono alle mie idee politiche.»

L’intento del libretto è evidentemente propagandistico, ma senz’altro utile per aiutare a comprendere anche oggi il clima di entusiasmo attorno all’esperienza dei kibbutz e lo spirito collettivista che animava quella fase storica.

Sinossi a cura di Virginia Vinci e Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Le colonie collettiviste di Erez Israel sono non solo uniche nel mondo moderno ma sono anche le prime della loro specie nella storia. Molte epoche possono vantare degli esperimenti di vita in forma cooperativa, ma raramente essi hanno sorpassato lo stadio sperimentale e per lo più non riuscirono ad attrarre nuovi adepti all’infuori dei fondatori. Nessuno, per quel che si sa, ha saputo intessere qualche nuovo filo nella trama sociale, economica e politica del Paese dov’è sorto. Ci furono dei gruppi e delle associazioni i cui membri erano liberi ed uguali in un sistema di vita vago ed anarchico. Ma per lo più erano semplicemente dei mezzi per sfuggire alle convenzioni ed alle tradizioni della vita cosiddetta civilizzata. L’idea fondamentale conteneva raramente qualcosa di positivo; non vi era alcun ordinamento costruttivo che governasse la società. Lo spirito informatore era un non ben definito desiderio di liberarsi del vecchio sistema di vita ma non si aveva alcuna chiara idea di come si dovesse formare quello nuovo.

Scarica gratis: La colonia collettivista in Palestina.