La vita della Deledda non fu particolarmente ricca di avvenimenti ma molto feconda dal punto di vista letterario, scandita com’era dall’uscita quasi annuale dei suoi romanzi. Il 10 settembre 1926 le venne assegnato il Nobel per la letteratura: è il secondo autore in Italia, preceduta solo da Carducci venti anni prima e resta finora l’unica scrittrice italiana premiata.
Schematicamente, le sue opere, fin dagli esordi, mirano alla pittura di caratteri, come traspare anche dai titoli (Anime oneste, 1895, La via del male, 1896). Le maggiori poi, fra le quali Elias Portolu (1900), Cenere (1904), Il segreto di un uomo solitario (1914), Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), possono leggersi come lo sviluppo e la discussione di casi di coscienza. Altre opere si succederanno, con una crescente intenzione autobiografica e introspettiva come testimonia anche l’ultimo romanzo, La chiesa della solitudine del 1936, dove la protagonista è, come l’autrice, malata di tumore. Di lì a breve infatti Grazia Deledda muore a Roma il 15 agosto 1936, lasciando un’opera incompiuta che verrà pubblicata l’anno successivo, a cura di Antonio Baldini, con il titolo Cosima, quasi Grazia.
Il realismo della Deledda assorbe e in certa misura metabolizza anche ciò che contraddice il realismo. Sogno, magia, religione pesano sugli eventi quanto e più delle cause sociali ed economiche. Parallelamente, la ricerca di un bello scrivere mediano, affine a un livello discorsivo colto ma non dimentico d’un qualche classicismo, fa sì che la pagina deleddiana, anche quella più nuda, appaia stipata di apporti, denunciando una sorta di “horror vacui”, di perenne inglobamento di elementi.
Sospese tra Verismo e Decadentismo, le opere della Deledda testimoniano in maniera molto chiara questo passaggio, sia a livello contenutistico che formale: dall’interesse per la cultura tradizionale sarda alla vera e propria analisi psicologica, al cospetto della quale l’ambiente isolàno viene trasformato in un puro e semplice sfondo.