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Tragedia in versi, in quattro atti, composta quasi di getto in poco più di tre mesi. Rappresentata per la prima volta al teatro Argentina di Roma il 16 aprile 1909 e pubblicata nello stesso anno.
Considerata quasi unanimemente come la realizzazione del tentativo, riuscito, di superamento degli schemi del teatro verista e borghese e di contrapposizione al verso artificioso di D’Annunzio, – vedi anche in appendice il commento del critico e drammaturgo Mario Ferrigni (1878-1943) – è però anche vero che le cadute di tono e gli scivolamenti declamatori rendono questa tragedia un documento dei gusti dell’epoca, lontana da un’esperienza artisticamente valida e attuale.
Ambientata nella Firenze medicea (e ispirata a due novelle del Lasca) l’opera ha per protagonista Giannetto Malespini che, vittima dei pesantissimi scherzi dei due fratelli Gabriello e Neri, il quale ultimo gli ha pure sottratta l’amata Ginevra, decide la sua vendetta durante una cena in casa di un cavaliere dei Tornaquinci. Approfittando dello stato di ebbrezza di Neri e della partenza per Pisa di Gabriello, lo induce a un’impresa che condurrà il Neri a essere imprigionato come pazzo furioso. Neri riesce però a districarsi dalla sua difficile situazione fingendosi realmente pazzo, ma innocuo. Liberato, si reca a casa di Ginevra convinto di trovarvi Giannetto, il quale aveva nel frattempo attratto nella trappola Gabriello che viene ucciso al posto suo nel letto della donna. Scoperto l’inganno, Neri questa volta impazzisce davvero.
Presso i contemporanei dell’autore fu enorme il successo dell’opera, rappresentata e replicata più volte anche in Francia, Germania e Stati Uniti. In mezzo a tanto consenso voglio però ricordare l’opinione di Silvio D’Amico che nel suo Teatro Italiano del 1937 definisce il verso di Benelli “prosa dove si va a capo dopo undici sillabe”.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
A Firenze, in casa di uno dei Tornaquinci, Cavaliere speron d’oro. Una sala da pranzo, con armi ai muri e bandiere in un angolo.
In faccia, a destra, un camino di pietra scolpita con alari. A sinistra, sempre in faccia, attraverso il muro larghissimo, la finestra aperta sugli orti, le case, le torri, il colle di San Miniato.
Un uscio per ogni lato: da quello di destra si va nelle cucine: da quello di sinistra, nell’interno della casa e alla porta di fuori.
Ornamenti semplici ed eleganti. Alle mura fregi ad affresco.
I servi apparecchiano la tavola, dispongono le sedie.
Il Calandra, il maggiore di loro, è attento all’opera con somma coscienza. Nencio è sbadato, ghiotto, rissoso.
È finito il tramonto: aria rossa di sera sui colli e la città.
I servi recano i lumi.
Verso la fine dell’atto, notte di luna. È maggio.
Il Tornaquinci entra recando nella mano un libro socchiuso come chi ha interrotto allora la lettura; si pone a sedere sopra un seggiolone, in disparte.
Scarica gratis: La cena delle beffe di Sem Benelli.