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Non credo che possa esserci dubbio che Nerone sia il personaggio storico che ha da sempre goduto della peggior fama possibile. Gli autori cristiani – Commodiano, Suplicio Severo – lo indicarono come l’anticristo supportando tale idea con la “prova” che la somma del valore numerico delle lettere che formano il nome “Cesare Nerone”, scritto in alfabeto ebraico, risulta 666, cioè il “numero della Bestia” di cui si parla nell’Apocalisse di Giovanni. Talmente questa tesi ebbe presa che la sua persistenza si spinse fino al Medioevo con propaggini che giungono persino a Renan, che certamente non era uno studioso grossolano. La storiografia moderna però cerca di vedere un poco oltre alla storiografia cristiana che attinge, a modo suo, da Svetonio e Tacito i quali, per ragioni diverse, avevano visto colpiti dalla politica neroniana i privilegi del loro ceto e classe.
Val la pena ricordare che la storiografia cristiana, pur prendendo come fonte indiscutibile ogni racconto di nefandezze neroniane fatto appunto da Svetonio e Tacito, con grande disinvoltura non accetta più le medesime fonti se riportano le turpitudini che attribuiscono ai cristiani, e mette la sordina su quelle di Costantino: mentre tutti ancora oggi sanno che Nerone fu matricida, uxoricida, fratricida, ben poco resta nella cultura di massa del fatto che lo stesso Costantino fu assassino della moglie e del figlio e la tradizione della sua caratura storica elevata trova radice esclusivamente nel fatto che fece del cristianesimo la religione di stato. L’immaginario collettivo – consolidato dall’hollywoodiano Peter Ustinov che interpretò Nerone in Quo Vadis? – ma anche a livello di cultura medio-alta continua a vedere quindi Nerone come l’incendiario, sanguinario, folle crudele, inetto e sessuomane. Il riequilibrio viene però oggi da storici anglosassoni, francesi e romeni – il più importante centro studi neroniani ha sede a Bucarest – e, per gli italiani, da Mario Attilio Levi.
Non è qui la sede per affrontare il tema della revisione delle fonti storiche e dei corretti metodi storiografici, ma è certo che oggi emerge una immagine di Nerone ben diversa: quella di un uomo di stato lungimirante, attuatore di una politica di ampio respiro tesa a trasformare la società romana, sia da un punto di vista strutturale che culturale, e oggi difficilmente si può negare che i quattordici anni del suo regno furono il periodo di pace, di crescita economica e culturale più solido e duraturo di tutta quella fase storica.
Il breve saggio di Barbagallo può essere letto come studio di transizione tra la storiografia convenzionale e classica e quella moderna sull’argomento del periodo neroniano e, in particolare, della sua fine. Fin dall’introduzione infatti l’autore sottolinea con forza come l’impero di Nerone si colloca in una fase di apice dell’impero romano nel suo insieme; e che questo impero non fu una «così orribile cosa» come è stata fatta passare dai rancori di classe di una aristocrazia romana umiliata. Barbagallo, da storico esigente e raffinato, colloca quindi la fase neroniana in rapporto dialettico con il momento storico imperiale e ne vede la «catastrofe» come il momento culminante di alcuni conflitti interni dovuti soprattutto all’affievolirsi dei privilegi economici dell’Italia rispetto a quelli delle terre conquistate; e con questo privilegio “territoriale” veniva meno il privilegio politico dell’aristocrazia della terra nei confronti delle altre classi sociali. Dice Barbagallo: «L’Impero è soprattutto l’eguaglianza, la mitezza, la saggezza, la giustizia all’estero; l’eguaglianza, la pace, la prosperità, all’interno.» Quindi la reazione antineroniana va vista come un momento di rottura, non solo perché l’Impero sfuggiva di mano dalla casa dei Giulio-Claudii, ma anche per le modalità di elezione del nuovo imperatore Galba. La morte di Nerone e la fine del suo orribile governo non aveva fatto altro che aprire una nuova crisi, aggiungere nuovi mali alla lunga serie di quelli che la secolare Repubblica aveva accumulato e che l’Impero aveva solo iniziato ad arginare.
Il testo di Barbagallo affronta, anche se in maniera sintetica, i numerosi e difficili problemi particolari che emergono dallo studio delle fonti. Fino agli studi di Barbagallo le ultime parole attribuite a Nerone, suicida e inutilmente soccorso dal centurione che avrebbe voluto serbare il corpo del moribondo alla meritata punizione erano “Qualis artifex pereo!”. Da quel momento in poi invece le ultime parole divennero “È troppo tardi” e soggiunse: “Ecco la fedeltà umana!”.
Barbagallo sottolinea ancora come i caratteri distintivi del governo neroniano siano stati l’indisciplina, l’arbitrio, il favoritismo, la corruzione. Ma apre altresì la porta a uno studio sul periodo indirizzato all’analisi della dinamica di cambiamento economico-sociale. Barbagallo prende in esame la vicenda di Nerone dal momento della rivolta delle province occidentali mentre l’imperatore era in Grecia. Da queste mosse cerca di andare oltre alla storia convenzionale della “romanzesca rapidità e dramaticità” con la quale si consumò la sua catastrofe.
Per una visione moderna e storiograficamente aggiornata sull’epoca e la figura di Nerone si può utilmente leggere, oltre al saggio del 1945 del già menzionato Mario Attilio Levi, il libro di Edward Champlin e l’interessante esposizione divulgativa del giornalista italiano Massimo Fini.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del saggio:
La catastrofe del governo di Nerone segna uno dei momenti, non solo più drammatici, ma anche più ricchi di insegnamenti, che la storia del passato abbia potuto tramandarci. La fine di quel governo risponde alla prima grande crisi del nuovo regime imperiale romano.
L’Impero, che una leggenda, in buona parte creata dai rancori di classe dell’aristocrazia romana umiliata, fece passare come la tirannide e la servitù instaurate al posto della libertà e della sovranità popolare, non fu precisamente una così orribile cosa, nè l’antitesi fra Repubblica e Impero è tutta chiusa in quel dilemma feroce.
L’Impero fu un nuovo sistema di forze, applicato ad una grande società, che, rimutata nelle sue viscere e nelle sue forme esterne, andava ogni giorno rompendo i rapporti, sotto i quali fin allora era stata ordinata ed avea vissuto. Cessava per esso la dura egemonia di una città sovra l’universo mondo, e, quel ch’era peggio, la ripercussione sanguinosa dei suoi conflitti interni sulla vita e sulle carni delle province, attraverso lunghi anni conquistate e, dopo lunghe prove, tornate a risorgere. Cessavano per esso il privilegio economico di un paese ‒ l’Italia ‒ su tutti gli altri dell’orbe incivilito, e il privilegio politico di una breve côterie ‒ l’aristocrazia della terra di pochi distretti italici ‒ sulle svariate restanti classi sociali. Cessavano in ispecie i turbamenti interni, che, attraverso periodi di crisi violenta o di stasi minacciosa, duravano da almeno due secoli.
Scarica gratis: La catastrofe di Nerone di Corrado Barbagallo.