Lipparini tornava volentieri a Cutigliano – che era il paese nativo della moglie – e il suo amore per l’Appennino pistoiese emerge chiaro in questa raccolta di racconti dove forse l’autore offre il meglio di se stesso, riuscendo a fondere in maniera armonica la sua vena di narratore con quella di giornalista, la sua tendenza all’erudizione con la delicatezza del redattore in trasferta. Il tutto compiacendosi nel sogno di un’età che ricorda ma che resta per lo più appunto un sogno. La sua tendenza a popolare la sua narrazione di figure storiche (Beatrice di Pian degli Ontani), ad animarla con richiami alla poesia, è una costante di Lipparini – la troviamo anche in altre raccolte come La visita pastorale che possiamo leggere in questa stessa biblioteca Manuzio – ma qui è espressa con la maggior grazia dovuta all’evidente amore per la terra che descrive. Per questo possiamo avvertire come l’amore letterario per la cultura si faccia strada nell’immaginazione e in una narrazione schiettamente popolare. Ma questo amore letterario non dà noia perché è espresso con notazioni delicate e discrete e sempre collocate in maniera armonica.

La Torre del Fattucchio – racconto che troviamo anche nell’altra raccolta su citata – e Golia sono forse i due migliori racconti di questo testo; scorrono rapidi su uno sfondo di realismo montanaro e campagnolo. Persone e cose sono fuse in stretta concordanza di azione e movimento: carbonai in una faggeta dove non ci sono case ma capanne fatte di frasche con una solida intelaiatura coperta da zolle erbose; macchie folte che celano funghi e mirtilli, ma anche lepri, e dove un colpo di fucile può sembrare un delitto; la rievocazione di un dolce e antico amore in un’osteria di montagna «dove il pittoresco non è dato dal sudiciume, ma da un tranquillo nitore». Ma analoghe concordanze troviamo anche nel triste ed inquietante Orologio di San Pasquale o nell’ambientazione di La moglie del Diavolo, dove Proserpina si muove

«dietro il Libro Aperto su le cui grandi pagine si era accumulata e distesa la neve: e la notte gli spiriti della terra e dell’aria tracciavano nei candidi fogli i loro eterni poemi.»

La luce lunare è invece lo sfondo di L’Avventura dei tre ladri:

«Di là, sopra al vicino limite dei faggi, appariva tutta l’Alpe, inondata dalla gran luce lunare, ricca di scintillii d’acque, con le rupi sassose intramezzate da bei prati d’erba sottile e bigia. Non c’era vento, ma scendeva tuttavia da quelle rupi e dai prati l’odor delle erbe selvagge, e l’aroma dei cespugli abbarbicati nel cavo della roccia. La quiete era ampia e diffusa, e comprendeva la terra e il cielo, dove palpitavano rare stelle.»

C’è una coerenza interna tra un brano che può apparire come un’etichetta letteraria appiccicata e la narrazione della amata montagna, per cui non si riscontrano fratture fra l’esposizione della cultura e delle letture che interessano l’autore e l’attenzione per un paesaggio a volte brullo e apparentemente inospitale. Il classicismo di Lipparini quindi non stona neppure nelle pagine nelle quali le cose della montagna sono viste attraverso una pratica artistica sempre fedele alla vena poetica.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del primo racconto La Torre del Fattucchio:

Il mio amico Gigetto del Serinaccio è poeta e cacciatore d’immagini. Poeta come sono tanti lassù, a Pian degli Ontani, nella patria della grande poetessa illetterata Beatrice; di quelli a cui l’ottava sgorga spontanea dal duro travaglio nei boschi o da una rozza gioia conviviale. Cacciatore d’immagini perché possiede una macchina fotografica con la quale ha ritrattato in mille modi le persone e i paesi della sua terra. Giacché per quella striscia di terra balzosa e boschiva che forma la valle del Sestaione, dallo snellissimo ponte sulla via maestra, su su per il torrente limpido e tortuoso, fin dove al Ponte alla Sega cominciano l’Alpe e il Demanio, egli è come un piccolo re. I castagneti bassi sul fiume sono in buona parte di lui; e sua è anche la grande faggeta che abbraccia i balzi a ponente, dalla quale la Torre del Fattucchio emerge snella e rosea nei tramonti come una gemma immensa incastonata in uno smalto verde.
Ma la terra montanina è una madre parca e poco può donare ai suoi figli. Cosí Gigetto ha nel podere del Serinaccio un deposito di carbone, e quando è il tempo dei tagli si mette per il bosco con le ambasciate dei carbonai. Segna i sentieri per i muli carichi, gli spazi tondi per le carbonare, i rifugi sotto una capanna di zolle nelle notti fredde e piovose. La sera, mentre l’ardore nascosto fuma silenziosamente e le cataste lontane rosseggiano, i carbonai si adunano attorno al loro piccolo re e incominciano dopo la cena frugale una gara di canto. Il giorno, nei brevi riposi, il capo si diverte a imprigionare la luce.

Scarica gratis: I racconti di Cutigliano di Giuseppe Lipparini.