Il performer, pittore e ceramista albisolese propone una nuova azione artistica che interroga il rapporto tra individuo, società e immaginario collettivo.
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Un viaggio attraverso l’identità, il tempo e la resilienza dell’essere umano: l’ultima performance sociatrica di Ivan Cuvato scuote i confini tra arte e terapia sociale.
L’ultima performance di Ivan Cuvato, artista e ceramista albisolese, si impone come un potente atto di Sociatria Performativa, una disciplina che coniuga l’arte alla terapia sociale. Nella fotografia diffusa in questi giorni, l’artista appare avvolto in un’aura di mistico distacco: il turbante sfilacciato come simbolo di un passato che si sfalda, gli occhiali scuri a celare lo sguardo e la lunga barba bianca come segno di saggezza, memoria e identità.
Questa immagine, lungi dall’essere una semplice autorappresentazione, è una dichiarazione artistica che affonda le radici nella riflessione sulla percezione dell’individuo nella società contemporanea. Il volto di Cuvato diviene una maschera simbolica: l’anonimato delle lenti nere richiama l’alienazione digitale, mentre il tessuto avvolto attorno al capo suggerisce una stratificazione culturale, un vissuto che si deposita come argilla sulla pelle del tempo.
La Sociatria Performativa, ideata e delineata dallo stesso Cuvato, si pone come un processo terapeutico collettivo, un’arte che non si limita all’estetica ma agisce sulla psiche sociale, provocando reazioni emotive e stimolando riflessioni critiche. In questo senso, la sua performance si inserisce in una tradizione di azioni artistiche volte a innescare cambiamenti nella percezione del pubblico, in un dialogo continuo tra individuo e contesto.
L’immagine diffusa funge da innesco per una riflessione più ampia sul ruolo dell’arte nell’epoca contemporanea: può l’opera d’arte diventare strumento di guarigione sociale? Cuvato sembra rispondere affermativamente, incarnando la figura di un moderno sciamano urbano che, attraverso la sua estetica e la sua presenza, invita lo spettatore a interrogarsi su ciò che vede e su ciò che, invece, rimane nascosto.
Con questa azione, l’artista albisolese conferma la sua capacità di superare i confini della pittura e della ceramica per addentrarsi nei territori dell’esperienza sensoriale e psicosociale. Il suo lavoro si pone come un invito a riscoprire il valore dell’arte come forza trasformativa, un ponte tra passato e presente, tra individualità e collettività, tra visibile e invisibile.