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(voce di Luca Grandelis)Fondata nel 1987, la casa editrice Iperborea ha appena compiuto 25 anni, nei quali – oltre alle tante pubblicazioni – sono fioccati premi e riconoscimenti internazionali. Ne parliamo con Emilia Lodigiani, l’editrice italiana, già autrice di Invito alla lettura di Tolkien (Mursia, 1982).
«Al Nord» da 25 anni: com’è iniziata quest’avventura e a che punto è adesso?
È cominciata da una mia scoperta personale della letteratura nordica avvenuta a Parigi, dove ho passato dieci anni. Dopo la laurea in Letteratura Inglese avevo scritto un libro su Tolkien (poi edito da Mursia), che mi aveva avvicinato alle saghe antiche, delle quali mi affascinava la presenza forte dell’aspetto etico. Dopodiché cominciai a frequentare la Biblioteca parigina di Sainte-Genevieve, ricca di capolavori della letteratura nordica tradotti in francese o in inglese, dove si potevano leggere già nei primi anni ’80 autori come classici Lagerlof, Strindberg, Ibsen; ma anche contemporanei, come Torgny Lindgren e Lars Gustafsson. Ne rimasi folgorata; almeno quanto rimasi stupita, tornando in Italia, che nessuno li conoscesse, nessuno li traducesse, nessuno li leggesse. Mi resi conto che la grande editoria (i più sensibili all’epoca erano Feltrinelli, Garzanti e La Medusa Mondadori) era rimasta ferma ai grandi nomi e che non restava che fondare una casa editrice nuova, completamente dedicata a quella che consideravo una lacuna editoriale. Guardandomi poi intorno mi accorsi che la piccola editoria nasce quasi sempre così: dallo slancio appassionato di qualcuno che ama certi libri e vorrebbe condividerli con gli altri. Oggi abbiamo in catalogo 220 titoli, ma ciò che più conta secondo me è il fatto che da una quindicina d’anni tutti gli editori hanno preso a pubblicare autori nordici: se l’obiettivo era diffondere la cultura «iperborea», be’, direi che ci siamo riusciti in pieno. E tuttavia il fatto di essere «arrivati per primi» ci premia: molti dei nostri autori, pur tentati da editori ben più grandi (e più remunerativi!) continuano a rimanere con noi. È un motivo di grande gioia, e anche un po’ di vanto.
Forse siete arrivati in ritardo solo sui gialli: la vostra collana «Ombre» è nata qualche anno fa, mentre la moda italiana del giallo scandinavo è partita molto prima.
È vero: si è trattato di un errore (nel quale però non perseveriamo). Quando mi proposero Mankell, in anteprima, ci misi un anno a decidermi sul da farsi: a quell’epoca non c’era ancora grande interesse per queste cose e ce la si poteva prendere con calma; in più, i gialli non mi affascinavano e non avevo ancora deciso quale linea adottare. Quando mi decisi a chiamare l’editore, ahimé, era troppo tardi: mi disse di aver già venduto, quindici giorni prima, i diritti a Marsilio, sottolineando che del resto a me i gialli non erano mai interessati. Lì capii che si era trattato di una preclusione infruttuosa, che non intendevo spingere oltre. Oggi «Ombre», espressamente dedicata al giallo, pubblica 6 volumi all’anno e predilige – pur essendo una collana «di genere» – libri che, col pretesto del giallo, volino all’altezza della critica sociale (il cui prototipo è L’uomo laser di Gellert, ispirato a una storia vera e interamente basato su documenti, in grado di mettere a nudo le fragilità e le incongruenze di una società, come quella svedese, che spesso tendiamo a idealizzare con troppa ingenuità).
Una redazione costituita quasi completamente da donne: com’è il lavoro in questa squadra al femminile?
In effetti l’unico uomo in redazione è mio figlio, che a breve diventerà l’Editore Iperborea e che al momento si occupa soprattutto della parte informatica, gestione del sito, social network ecc. Direi che fra donne si lavora molto bene perché fra donne ci si capisce subito; d’altro canto l’«elemento uomo» offre spunti creativi che altrimenti non avremmo.
Dal 1993 è stato un susseguirsi di Premi nazionali ed ester per Iperborea; al contempo, Emilia Lodigiani riceve le più alte onorificenze dai governi di Svezia, Finlandia, Olanda. Qual è il segreto di una casa editrice così giovane che sa farsi apprezzare tanto in Europa?
Se posso dirlo senza falsa modestia, credo che tutto parta dalla qualità dei libri selezionati (che questa letteratura offre con grande generosità, soprattutto da parte di una generazione di scrittori nati intorno agli anni ’40 che reputo straordinaria) e dalla cura che riponiamo in ogni pubblicazione. D’altro canto, l’attenzione rivolta a noi fa capire una volta di più il valore riconosciuto alla cultura dai popoli con i quali abbiamo a che fare: ognuno di questi Paesi – ben consapevole che il proprio peso in Europa dipende in gran parte dalla cultura – ha un Centro dedicato alla diffusione della propria cultura all’estero, che funziona magnificamente ed è pronto a utilizzare a proprio vantaggio la funzione che può avere un’iniziativa come la nostra. Diverse pubblicazioni sono apparse anche grazie al contributo di queste istituzioni.
Il libro Iperborea che ha più amato in questi anni? E quello che, col senno di poi, non ripubblicherebbe?
È difficile rispondere: è un po’ come chiedere a una mamma quale sia il suo figlio preferito. Ci sono certamente autori cui mi sento più legata: Guran Tunstrom, che purtroppo non c’è più, e la nostra «ultima gloria», appena scoperta: Jon Stefansson. Per quanto riguarda il senno di poi… da un punto di vista esclusivamente commerciale, alcuni titoli avrei fatto meglio a non pubblicarli. Ma non tornerei indietro su nessuno di essi: ogni libro edito rappresenta qualcosa che desideravo comunicare, condividere. Non c’è nulla di cui, in questo senso, mi penta.
Dal formato libro stretto e alto che abbiamo subito amato alla recente collana «Ombre» dedicata al giallo scandinavo. Cosa ci riserva per il futuro la casa editrice Iperborea?
Stiamo pensando a investire maggiormente nel libro digitale, che nei prossimi anni si affermerà sempre di più; al contempo, pensiamo a una collana di saggi sulla letteratura nordica. Inoltre abbaimo cominciato a tenere presso la Casa editrice dei corsi di lingua, per ora svedese e danese, che contiamo di ampliare in futuro. Il nostro sogno (in particolare mio e di Pietro Biancardi, mio figlio) sarebbe poi quello di pubblicare audiolibri: ci piacerebbe tantissimo, ma al momento i costi sono troppo elevati. Con Iperborea siamo riusciti a realizzare molti dei nostri sogni, Spero di poterci riuscire anche con questo.