Il quotidiano fiorentino “La Nazione” nel 1870 aveva commissionato a De Amicis alcuni reportage sulla presa di Roma; gli articoli, scritti in contemporanea all’entrata a Roma dell’Esercito italiano il 20 settembre 1870 – l’evento noto anche come ‘la breccia di Porta Pia’ – e nei giorni subito successivi, furono poi raccolti e pubblicati, nello stesso 1870, con il titolo Impressioni di Roma. Con questi scritti De Amicis concluse la sua esperienza di giornalista militare. Presto avrebbe lasciato l’esercito e si sarebbe dedicato ad un periodo di intensi viaggi intorno al mondo.
L’autore non attribuisce a questi articoli un valore letterario; dichiara invece, nella Prefazione:
«Son cose scritte in furia, parte a Roma, parte qui, pochi giorni dopo gli avvenimenti, senz’altro scopo che di trasfondere in altri un po’ della gratissima commozione provata da chi le scrisse.»
In effetti in questi scritti si avverte tutta l’enorme emozione che l’evento suscita nel giovane scrittore appena ventiquattrenne. Egli non è nuovo al mondo militare. La sua biografia racconta che a sedici anni entra nel Collegio militare a Torino, in seguito è ammesso nella prestigiosa Accademia Militare di Modena, dalla quale esce nel 1865 con il grado di sottotenente. Nel 1866 partecipa alla sfortunata battaglia di Custoza. Si trasferisce a Firenze, in quel momento capitale del Regno d’Italia, inizia a lavorare come giornalista militare e diviene direttore de “L’Italia militare”, organo ufficiale del Ministero della guerra.
Nel 1870 è dunque a Roma, dove giunge dopo aver seguito le tappe di avvicinamento dell’esercito italiano. In ogni pagina l’autore vuole ricordare quanto il nome di Roma sia sacro per tutti gli italiani, quanto sia forte e diffuso il desiderio di avere Roma come capitale del Regno, soprattutto dopo i tentativi falliti del 1860 (con i plebisciti risorgimentali che riscattarono una parte dello Stato pontificio ma non Roma), del 1862 (dopo la battaglia dell’Aspromonte), del 1866 (nel più ampio quadro della Terza guerra d’indipendenza) e infine del 1867 (dopo la campagna dell’Agro romano che terminò con la battaglia di Mentana nella quale venne sconfitto Garibaldi).
Per il popolo italiano “Roma non è che la città capitale del mondo cattolico”, ma, scrive De Amicis, Roma è anche il centro del mondo antico, libera, potente e sovrana, alla quale sono legati i nomi dei grandi eroi della storia antica. Ma oggi, sul finire del XIX secolo, la memoria della sua passata grandezza si è spenta, “le sue rovine sono coperte dal velo della religione” e con essa si sono estinti “l’amor di patria, di gloria guerriera, di virtù cittadina”:
«Ma quando si solleverà il velo della religione, non per squarciarlo, ma per avvicinarlo al cielo, e il sole della libertà batterà su tutto codesto mondo sopito, allora quelle tradizioni si ravviveranno e diventeranno una forza pel popolo italiano.»
Non si tornerà però, scrive l’autore, ad alimentare l’orgoglio nazionale con quelle glorie passate, “il tempo di disseppellire le superbie antiche è trascorso per l’Italia col regno dell’Arcadia”; ma il ricordo della passata grandezza di Roma, quando essa sarà capitale, ispirerà “un legittimo sentimento di alterezza”, che darà vigore e fiducia.
Nella pagine di questa raccolta si legge la straordinaria entusiastica accoglienza da parte delle romane e dei romani alle truppe che vengono a liberare la città, così come pochi giorni prima avevano fatto gli abitanti di Nepi e delle altre cittadine lungo il percorso di avvicinamento a Roma. Anche da parte del popolo romano c’è la netta percezione che questo evento epocale non sia soltanto una ‘liberazione’ ma anche l’atto finale per l’unificazione d’Italia.
Le romane e i romani restano sbalorditi dall’educazione dei soldati – anche se ahimè non mancano quelli che scrivono sui muri della torre che sale alla cupola di San Pietro o che raccolgono i pezzetti di mosaico dentro le Terme di Caracalla –, dal rispetto che dimostrano verso le donne, dall’ossequio nei confronti della religione: non sono quei barbari che il governo pontificio aveva fatto credere. In realtà molti di quelli che entrano in Roma sono sinceri cristiani così come nella città di Roma vi sono persone che pur essendo religiose, sperano nella liberazione e nel poter diventare italiani.
De Amicis scrive a proposito della composizione dell’esercito:
«Linguaggi e tradizioni si mescolano e si confondono. Le diverse nature si rafforzano l’una nell’altra, si contemperano, si completano; l’uomo italiano, schietto, unico, tipico quale dovrà riuscire col tempo, in esso si prepara. In esso è la più splendida espressione dell’unità d’Italia.»
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del libro:
Ecco un’altra volta i soldati italiani schierati da Fara ad Orvieto, e dietro a loro la voce della moltitudine che grida: – Andate, – e dinanzi il vecchio Tevere, rapido e sonoro, che sembra dire fuggendo: – Seguitemi.
Un’altra volta per quelle quiete campagne, sui taciti laghi incoronati di colli, nelle ville famose, tra i rottami delle mura ciclopiche e le mozze colonne delle necropoli etrusche, si spande un soffio di vita libera e un suono di libere spade. Si ripete un’altra volta, sperando, codesto gran nome di Roma, che non si può profferire senza intender noi stessi l’orecchio per raccoglierne il suono, come se ce l’avesse mormorato una voce ignota dall’alto; senza che l’anima tumultui e si confonda soverchiata dallo impetuoso affollarsi delle memorie e delle immagini; senza che il pensiero, sospinto di secolo in secolo, s’immerga e si fissi, con una specie di immobilità estatica, in quel meraviglioso passato, un’altra volta l’Italia sente tutta la vita rifluir precipitosa e possente al suo cuore.
Scarica gratis: Impressioni di Roma di Edmondo De Amicis.