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(voce di SopraPensiero)Quale fiducia potremmo avere in un medico che dopo trent’anni si ostinasse a prescrivere il medesimo farmaco, del quale, nel frattempo, si è diffusamente manifestata l’incidenza negativa dovuta ai suoi effetti collaterali? È una delle domande che Maurizio Ferraris si pone nel secondo dei tre contenuti multimediali acclusi a Filosofia globalizzata, suo ultimo libro curato da Leonardo Caffo.
Cambiare idea (nel caso specifico: dal postmodernismo volgere al nuovo realismo) equivale con tutta evidenza a un aggiornamento e a un mettersi al passo con i tempi. Nella sua articolata postfazione al volume (La necessità di lasciar tracce), in riferimento alla svolta realistica di Ferraris (ma sarà davvero corretto parlare di «svolta»?), Caffo sostiene – avendolo peraltro sperimentato di persona – che mutare le proprie convinzioni talvolta diviene necessario, perlomeno è il segno di una evoluzione, di una riqualificazione dei presupposti del proprio lavoro. «Lasciar tracce» e «necessità» sono termini che vengono ad assumere nella pagine di Caffo un doppio senso: la prima espressione è allusione chiarissima alla teoria della documentalità mentre sigla la presa d’atto delle tracce che il maestro ha inciso nella formazione di un allievo dapprima perplesso, il quale in seguito, per necessità (e siamo dunque alla seconda), cioè a dire di fronte a un lavoro filosofico annoso e rigoroso, ha, per l’appunto, dovuto riconsiderare una opinione non sufficientemente ponderata.
Tra testimonianze, ricordi, riflessioni Caffo pone l’accento sulla antidogmaticità quale dote essenziale di Ferraris. Intanto non professa una forma di realismo radicale, fino ad essere antirealista nel caso della teoria dell’ontologia sociale: se l’oggetto sociale esiste in quanto atto iscritto, è un artefatto umano che, non per accidens, reagisce alla teoria dell’inemendabilità – «antirealismo sociale», Caffo definisce questa posizione specifica. Ferraris non si piega a princìpi di autorità, non assume argomenti come dogmi, piuttosto tende a smontare ogni teoria quando collide con l’esperienza, con la percezione e con il senso comune.
Con Ferraris, Caffo sottolinea che «la filosofia è una» e versatile, «dialogante con la scienza, rigorosa nel metodo, ma aperta alle tematiche tipicamente ‘continentali’», che si dilatano «dall’analisi filosofica del potere fino allo studio dell’essere, dell’animalità, del valore dell’arte». La filosofia dimora anche in forme in apparenza labili e nulla dovrà tenere in ombra. La filosofia è una anche in virtù della ricomposizione della dicotomia tra analitici e continentali, vale a dire tra una disposizione iper-logica che mira a circostanziare le cose e un surplus di storiografia o di istituzione di concetti. E su quest’ultimo assunto ci ricolleghiamo alla zona incipitale del libro, dove viene delineata la condizione antinomica insita in quella che Ferraris chiama «incommensurabilità dei paradigmi» della filosofia, modelli attinenti proprio a una disciplina – egli scrive – che non di rado si arroga il titolo di «discorso sull’universale». Tuttavia, negli ultimi decenni le cose sono profondamente mutate: sono passati i tempi in cui la filosofia si dava settorialmente, attraverso canali nazionali o ancora più ristretti (la diffusione della filosofia in lingua inglese ha contribuito in maniera decisiva al superamento di specificità locali, e alla globalizzazione), avvicendando prospettive e dottrine con pretese di definitività. È cosa d’altri tempi quel rincorrere quasi reverenziale il modello-guida (la filosofia tedesca nella fattispecie) mentre questo già declinava diversamente, cioè verso la filosofia analitica e il poststrutturalismo. La filosofia analitica cominciava a prendere campo, quella continentale di conseguenza a dubitare della propria unicità. Il divario tra analitici e continentali è, ed è stato, talora più esteriore che effettivo, è essenzialmente «una differenza tra pubblici della filosofia» – dice Ferraris. Relativizzata questa divaricazione, e «superata l’incommensurabilità dei paradigmi», si sta sempre più affermando un «terzo criterio» che si attiene a «una competenza scientifica» forte del pardoneggiamento della tradizione, a «una competenza teorica» che coniughi puntualità argomentativa analitica e spessore tematico continentale e a «una pertinenza pubblica». Dunque una filosofia non redatta in una sovralingua per specialisti, ma che al contrario si avvalga di uno strumento linguistico accessibile e comunicativo.
E il nuovo realismo? È questa stessa filosofia globalizzata che sta ipersegnando il nuovo secolo, dottrina già largamente accreditata e insieme in corso di svolgimento nella misura in cui si propone di dar conto delle pluriverse questioni che ineriscano alla contemporaneità. Sulla medesima linea Mario De Caro afferma – nel terzo contenuto multimediale – che la filosofia è «sapere critico», non una disciplina estinta come talora si tende a credere, vitale anzi quanto mai e in continuo avanzamento sul piano delle acquisizioni. Solo assumendo la tradizione filosofica in funzione delle problematiche attuali si potranno prevenire operazioni sterilmente storiografiche o uno studio sulle invarianze del pensiero. La prospettiva nuovorealista persegue una sintesi – non una soluzione compromissoria o una somma di canoni distinti – tra diverse forme di realismo e mira alla ricomposizione di realismo e antirealismo.
Relativamente al realismo ontologico – scrive Ferraris – abbiamo almeno sette motivi per una sua legittimazione (si legga in proposito «Perché un nuovo realismo ontologico?», dei cui principi si dà un’esposizione sistematica anche nel terzo capitolo del libro, che cronologicamente si situa tra il Manifesto di «Repubblica» dell’agosto 2011 e Manifesto del nuovo realismo edito da Laterza nel 2012. E si ascolti il primo dei contenuti multimediali). Tali ragioni sono: storiche (l’antirealismo nega l’autonomia di una estesa frazione di mondo), ontologiche (l’antirealismo pone sullo stesso piano ontologia ed epistemologia, naturale e sociale), epistemologiche (si ha esperienza delle cose a prescindere dal loro concetto), ermeneutiche (un esclusivismo realista sarebbe cosa estremamente negativa: l’ermeneutica è chiamata allora a intervenire laddove si abbia a che fare con costruzioni di soggetti. Sotto questo profilo il nuovo realismo è una prosecuzione della decostruzione, il che, al di là della rilevanza filosofica dell’assunto, mostra come Ferraris non abbia fatto che aggiornare il proprio background), morali (esistono i fatti prima delle interpretazioni, fatti che permettono il darsi di un giudizio morale), politiche (con contrappasso tragico, l’antirealismo accomuna realtà e reality), psicoanalitico-psichiatrico (è un dato – e inoltre un vantaggio evidente – che il mondo esiste indipendentemente dalle nostre rappresentazioni).
Filosofia «pura» e «impura», ispirata e sorvegliata dall’esigenza di una reductio ad unum perlomeno in quanto al metodo, non eccessivamente astratta, disposta anzi a contaminarsi con oggetti non tradizionalmente di pertinenza filosofica, il nuovo realismo è in grado di esercitarsi «in tutti i ruoli», e alcuni esempi in merito figurano nei «Parerga» 2, 3 e 4 al libro, dove Ferraris fa reagire la dottrina nuovorealista con i settori politico, economico (ed è interessante come venga fatta notare l’inesistenza di una realtà economica svincolata, come di fatto l’economia dipenda dalle volubili rappresentazioni dei soggetti) e giurisprudenziale. E ci sentiamo di dire: «quindi trarrem gli auspici», da questa prospettiva che sembra possedere le caratteristiche necessarie, e ampiamente sufficienti, per andare ben oltre il fatto puramente speculativo.
Filosofia globalizzata
Di Maurizio Ferraris
A cura di Leonardo Caffo
Mimesis, Milano-Udine, 2013
http://www.mimesisedizioni.it/La-voce-del-filosofo/Filosofia-globalizzata.html