«Io obbedisco al richiamo del signor Presidente. Non parlerò quindi del sovrano, ma del suddito, non di Guglielmo II, ma di Diederich Hetzling. Lor signori lo han visto. Un uomo mediocre, con mediocre intelligenza, privo di coraggio fin quando le cose andavan male e coraggioso non appena si mettevano bene…— Come lui – proseguì il difensore – ci sono state sempre migliaia d’uomini nel mondo che cercavano di fare i loro interessi mettendosi all’ombra dell’autorità, ma quel che hanno di nuovo i moderni arrivisti è una specie di romanticismo nei gesti da pessimi commedianti.»

Con questo spietato giudizio, Wolfgang Buck, nell’arringa finale del processo che lo vede contrapporsi, come avvocato difensore, a Diederich, testimone dell’accusa, ci dà un sintetico ma calzante ritratto del protagonista.

Dopo un’infanzia segnata dall’autoritarismo del padre («Quando egli aveva sottaciuto o mentito si strisciava timido e piagnucoloso a torno alla scrivania fin quando il signor Hetzling non s’accorgeva di qualcosa e non prendeva il bastone dall’angolo»), e poi degli insegnanti, viene mandato a studiare a Berlino; qui, mentre frequenta l’università, aderisce all’associazione studentesca “Nuova Teutonia”, i cui componenti, esaltati da fiumi di birra, enfaticamente celebrano il Kaiser, l’onore, la patria (l’immagine grottesca dei Neoteutoniani, che richiama alla mente i ritratti di Grosz, attirerà a Mann le critiche dei borghesi tedeschi). In questo ambiente Diederich, sfuggito al controllo del padre, pensa di trovare finalmente una sua identità:

«Diederich non era però guidato nè da orgoglio, nè da amor proprio, ma solamente dal suo sentimento dell’onore della corporazione. Egli stesso non era che un uomo, dunque nulla: la sua autorità, il suo diritto, la sua importanza derivavano dalla Corporazione. Anche fisicamente egli doveva ad essa tutto: la faccia diventata più larga, il ventre obeso che incuteva rispetto alle volpi e il privilegio di portare, le feste, stivaloni alti, berretto e sciarpa: la prima gioia dell’uniforme! Egli doveva naturalmente lasciare ancora il passo a un sottotenente perchè la corporazione a cui il sottotenente apparteneva – l’esercito – era la più alta, ma almeno poteva rivolgere la parola a un bigliettaio del tram senza tema d’essere maltrattato.»

Allo stesso modo il periodo di volontariato nell’esercito, benché Diederich cerchi in tutti i modi di abbreviarlo perché lo sforzo fisico richiesto dalle esercitazioni militari non è nelle sue corde, viene incontro alla sua indole di suddito: «nell’esercito si appartiene a una vasta organizzazione e si è, sebbene infinitesimale, una particella della Potenza e si sa sempre con precisione quello che si deve fare.»

I protagonisti della vicenda, ambientata, oltre che a Berlino, nella cittadina di Netzig (creazione di Mann), in realtà sono due, Diederich Hetzling e il Kaiser Guglielmo II; questi, che entra in scena solo in due occasioni, è onnipresente però in tutto il romanzo, attraverso pensieri, discorsi e azioni dei personaggi. Emblema ne è il monumento che la cittadina natale di Diederich, Netzig, per onorarne e compiacerne il discendente erige a Guglielmo il Grande con i fondi destinati ad un collegio per i figli illegittimi. Cruciale, nel romanzo, risulta quindi l’incontro di Diederich con il suo eroe, Guglielmo II. Da quel momento il protagonista cerca in tutto e per tutto di conformarsi al modello, nell’aspetto fisico («L’imperatore – disse – porta i baffi così. E adesso i tedeschi debbono portarli così.»), nella postura («Diederich si teneva dritto nella posizione del Kaiser quando parla con un aiutante di campo.»), nei discorsi («Sua Maestà aveva detto: «Quelli che vogliono essermi d’aiuto benvenuti; quelli che mi si mettono contro li spezzo» E Diederich provò di fulminare con gli occhi.»), ed i borghesi della sua città si uniformano, ripetendo le vuote parole con cui egli celebra il Kaiser, «la più personale delle personalità».

Terminati gli studi, Diederich alla morte del padre rientra a Netzig per assumere il controllo dell’azienda di famiglia. Vile con i potenti, benché ben intenzionato a complottare alle loro spalle per subentrare ad essi, sopraffattore nei confronti dei deboli (i suoi operai e i familiari), inizia, non senza difficoltà, la sua irresistibile ascesa. Come il narratore, che descrivendolo manifesta sempre un atteggiamento sprezzante e derisorio nei confronti del suo personaggio, cui fa compiere azioni che spesso provocano il riso di chi vi assiste (compreso il kaiser), così nessun lettore potrebbe immedesimarsi in questo giovane tanto ambizioso da anteporre i propri obiettivi, la ricchezza e l’ascesa sociale, a chiunque ed a qualunque sentimento.

In due situazioni, però, Diederich, umiliato e sopraffatto, si rende conto di essere stato strumentalizzato quando invece credeva di aver usato gli altri, e vive momenti di rara lucidità, in cui sembra quasi farsi portavoce del pensiero di Mann e della sua visione della società guglielmina:

«Stringeva i pugni nelle tasche. – Divoratori d’uomini, trascinatori di sciabole, banditi! Un giorno faremo piazza pulita. Butteremo giù tutto, i signori del Governo, i burocratici, l’esercito e persino la Potenza. La Potenza che passa sopra di noi e di cui noi baciamo gli zoccoli. Contro la quale non possiamo nulla perchè l’amiamo. Perchè l’abbiamo nel sangue avendo nel sangue la servilità.»

Nel romanzo le donne, inserite in un contesto maschilista, sono relegate a ruoli di contorno, funzionali a bisogni, interessi e obiettivi degli uomini, dalle prostitute che i personaggi volentieri ma clandestinamente frequentano, alle popolane trattate come oggetti, alle signore, in tutto e per tutto succubi dei mariti o, se nubili, con l’unica aspirazione di un matrimonio economicamente o socialmente vantaggioso. L’unica donna innamorata dell’intero romanzo, Agnese, non può che divenire una vittima dell’uomo amato e dei propri sentimenti.

Diederich può essere definito un antieroe, privo però nel romanzo di un antagonista, l’eroe, dato che tutti gli abitanti della cittadina, emblema della società guglielmina nei suoi diversi strati sociali, sono “sudditi”, interessati solo alle loro mire personali, disposti a cambiare bandiera per passare dalla parte di chi, di volta in volta, appare come il vincitore. Unica eccezione, il vecchio Buck, che, come il glorioso passato di cui è emblema («aveva fatto il quarantotto»), da borghese agiato, rispettato da tutti i cittadini, cade in disgrazia e, al figlio che gli chiede quale speranza possa rimanere in una società simile, dopo aver sollevato il volto verso il cielo stellato risponde: «L’anima dell’umanità. E in questo devi credere, figliolo. Non vivrebbe veramente chi vivesse soltanto per il suo tempo.»

Il romanzo viene pubblicato per la prima volta parzialmente, a puntate, nel 1912, sulla rivista politica di opposizione “Simplizissimus”: la “Zeit im Bild”, rivista liberale di Monaco, nel 1914 riprende a stamparlo, ma meno di un anno dopo smette con la motivazione che in quel momento non era possibile pubblicare un romanzo satirico contro la situazione politica del paese «a prescindere dalle difficoltà sicure che deriverebbero dalle più lievi allusioni alla persona del Kaiser».* Nel 1916 l’editore di Heinrich Mann stampa e distribuisce clandestinamente a politici ed intellettuali dieci copie. Solo nel 1918, alla fine della guerra, il romanzo può essere pubblicato e, tradotto, viene letto in tutta l’Europa.

Nell’edizione del 1919 la traduzione viene pubblicata anonima, ma secondo alcune fonti potrebbe essere dello scrittore Mario Mariani, che ha scritto la discutibile prefazione (cfr. Lavinia Mazzucchetti, Il romanziere della rivoluzione tedesca e suo fratello, in Ead., Novecento in Germania, Milano 1959, pp. 64-69).

Sinossi a cura di Mariella Laurenti

Dall’incipit del libro:

Diederich Hetzling era un tenero fanciullo che sognava volentieri, che temeva di tutto e che aveva sempre mal d’orecchi. Egli lasciava malvolentieri l’inverno le camere calde e l’estate il piccolo giardino che odorava degli stracci della cartiera e sopra i cui tigli spioveva il tetto di legno delle vecchie case.
Quando Diederich guardava il libro delle fole, il vecchio libro delle fole, rimaneva spesso interrorito. Vicino a lui, sulla banchetta, c’era stata una tartaruga grande quasi come mezzo lui! O sul muro di fronte si staccava fino alla cintola un gnomo e lo guardava con gli occhi strabici!
Più terribile della tartaruga e del gnomo era suo padre. E con tutto ciò lo si doveva anche amare. Diederich lo amava. Quando egli aveva sottaciuto o mentito si strisciava timido e piagnucoloso a torno alla scrivania fin quando il signor Hetzling non s’accorgeva di qualcosa e non prendeva il bastone dall’angolo. Ogni misfatto non scoperto metteva un po’ di dubbio nella sommissione e nella fede di Diederich. Una volta che suo padre inciampò, con la gamba paralizzata, per le scale e cadde, egli battè le mani e poi scappò.

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