Il poliziotto francese Lecoq era già noto e popolarissimo tra i lettori per i tre romanzi L’affaire Lerouge del 1866, Le Crime d’Orcival e Le Dossier N. 113, entrambi del 1867, quando Gaboriau nel 1868 decise di scrivere e pubblicare Monsieur Lecoq, nel quale il protagonista è un giovane agente alle prese con la prima indagine della sua carriera. Il romanzo fu ospitato a puntate sul “Petit Journal” di Parigi. I lettori quindi già conoscevano il protagonista che risulta essere un precursore dell’indagine condotta con metodo induttivo e scientifico e in particolare questo romanzo – il quarto della serie ma, come detto, concepito come una sorta di “prequel” rispetto ai precedenti – risulta essere allo stesso tempo alle origini del moderno romanzo poliziesco pur rimanendo esempio tipicamente ottocentesco del feuilleton di qualità.

Nella prima parte del romanzo chi legge è messo di fronte alla prassi giudiziaria nella Francia alla metà del XIX secolo. La Pepaiuola, infima bettola alla periferia di Parigi, gestita dalla vedova Chupin con figlio già ospite delle carceri francesi, è teatro di un triplice omicidio che ha tutta l’aria di essere la conseguenza estrema di una banale rissa tra ubriachi e derelitti. Ma una frase apparentemente del tutto innocua sfuggita dalla bocca del presunto omicida colpisce il giovane agente Lecoq che intuisce l’incompatibilità tra l’aspetto da miserabile vagabondo e quella frase nella quale gli pare di poter scorgere un riferimento storico colto e raffinato. Lecoq viene quindi autorizzato dal suo capo arrogante e presuntuoso a compiere un supplemento di indagine, che nella mente e nelle intenzioni del capo stesso sarebbe stato un sistema per renderlo ridicolo. Nel sopralluogo che segue Lecoq mette in atto tutto l’acume, lo spirito d’osservazione e le sue notevoli qualità deduttive. Questo gli consente di individuare tracce che sono evidentemente in contrasto con l’apparenza dei fatti. La “scena del crimine” risulta quindi arricchita di nuovi personaggi: due donne che certamente hanno assistito al delitto e il misterioso Lacheneur che secondo le ultime parole di una delle vittime sembrerebbe essere indicato come il vero autore del delitto. La lotta per smascherare il presunto colpevole, e per scoprirne la reale identità, sarà lunga e tutt’altro che agevole. La messa fuori combattimento del giudice d’Escorval, primo incaricato a condurre l’inchiesta, sembra aprire la strada per l’indagine di Lecoq che trova prese in considerazione le sue tesi dal sostituto di d’Escorval, il giudice Segmuller. Quest’ultimo asseconda Lecoq persino nella sua mossa più audace che però termina con un apparente fallimento. Entra quindi in scena un personaggio che i lettori dei romanzi precedenti della serie già conoscono, papà Tabaret, una sorta di poliziotto in pensione che funge da consulente per tutta la polizia parigina, ispirato a una reale amicizia dell’autore. Papà Tabaret conferma tutte le intuizioni di Lecoq esortandolo ad andare a fondo con il suo metodo e indicandogli la chiave per risolvere il mistero dell’identità del presunto assassino.

La seconda parte del romanzo ci conduce, attraverso un audace flash-back, alle vicende che stanno all’origine del fatto di sangue descritto e indagato nella prima parte. Andiamo ad oltre trent’anni prima, nel pieno della Restaurazione del 1815 dopo la caduta di Napoleone. I nobili cacciati dalla rivoluzione accampano pretese sui loro antichi possedimenti. In questo scenario prende forma una intricatissima storia nella quale si intrecciano i destini di cinque famiglie che interpretano le varie parti sociali dell’epoca: i rivoluzionari che avevano occupato i possedimenti dei nobili; i nobili stessi, transfughi a causa della rivoluzione che ora cercano di riottenere i loro beni; i bonapartisti ora invisi alla Restaurazione, i popolani che sembrano essere in questo caso soprattutto una genìa di traditori al soldo dei potenti. Davvero avvincente il mirabile intreccio di odi, rancori, ricatti, tradimenti, ma anche di amori incrollabili e di gelosie non sempre giustificate. E lettrici e lettori avranno a questo punto tutti gli elementi per comprendere come in seguito a queste vicende alcuni dei protagonisti verranno a ritrovarsi, trent’anni dopo, nella fatale notte del triplice omicidio alla Pepaiuola. La piena luce sull’intera vicenda verrà infine fatta dall’ingegnoso stratagemma di Lecoq messo in atto nell’Epilogo.

Non è un romanzo destinato ai soli amanti del genere poliziesco, per i quali certamente rappresenta una gemma da non perdere anche per ragioni storiche di questo genere letterario. La vena inventiva dell’autore consente una lettura agile e divertente e nello stesso tempo di grande impatto drammatico. Il moderno lettore potrà divertirsi anche a cercare tra i personaggi le successive derivazioni nella successiva letteratura di genere: come non riconoscere, ad esempio, in papà Absinthe (papà Cicchetto nella traduzione italiana) un Watson – il famoso collaboratore di Sherlock Holmes – ante litteram? Lecoq stesso, in simbiosi con papà Tabaret che mitiga la sua esuberanza giovanile indicandogli i percorsi più adatti per incanalare le sue eccezionali capacità intuitive, prefigura non poco le caratteristiche più salienti di Sherlock Holmes: eccezionale abilità nel travestimento, logica ferrea accoppiata a un rigoroso metodo scientifico.

Tra gli eroi della narrazione poliziesca Lecoq si colloca tra l’analista dilettante Auguste Dupin che nel 1841 fu il protagonista de Gli assassini della Rue Morgue di Poe e il sergente Cuff di Wilkie Collins in The Moonstone (insieme alle prime avventure di Sherlock Holmes anche questi due testi li possiamo leggere in edizione elettronica in questa biblioteca Manuzio). Ma la sua verosimiglianza e il suo stretto legame con la realtà lo contraddistingue da questi altri pilastri della tecnica investigativa. Come sottolineò Oreste del Buono, questo legame con la realtà è evidenziato fin dalla scelta del nome: Lecoq infatti appare non casualmente riecheggiante Vidocq, il capostipite dello sviluppo della polizia moderna, con le sue scabrosità e ambiguità che sono state fonte di ispirazione per il balzachiano Voutrin ed è citato persino da Melville nel suo Moby Dick. Nel suo primo romanzo poliziesco, L’Affaire Lerouge, Lecoq non si erge ancora come protagonista e sembra quasi che Gaboriau voglia distribuire l’ispirazione che la vita di Vidocq gli aveva concesso, in tre personaggi: oltre a Lecoq stesso, il suo capo Gevrol e papà Tabaret. Tutti questi personaggi li incontriamo in Monsieur Lecoq e appunto Lecoq diverrà indiscusso protagonista dal successivo Le Crime d’Orcival.

La traduzione di questo romanzo ad opera di Alfredo Pitta si inserisce nel solco programmatico del curatore delle collane dei gialli Mondadori Alberto Tedeschi. Scrisse:

«Crediamo sinceramente che qualche taglio che ci siamo permessi qua e là, e soltanto nei luoghi non pertinenti alla trama, non abbia fatto perdere nulla né all’autore né al lettore contemporaneo. Al contrario riteniamo che sia stato vantaggioso per entrambi, poiché permetterà al pubblico d’oggi di appassionarsi senz’ombra di noia al vecchio maestro che tanti punti può dare ai moderni, e di ritrovare nei suoi stupendi racconti quello stesso fascino che faceva scordare ai nonni il letto e la cena».

I tagli che ho verificato effettivamente sono davvero pochi e poco significativi e, se pur legittimamente possono far storcere il naso di fronte a una ricerca di correttezza e completezza filologica, sono comunque giustificati da lungaggini e appesantimenti che erano funzionali al romanzo d’appendice ottocentesco e riguardano descrizioni che hanno ben poco legame con il dipanarsi narrativo principale.

Nel 1892 Fortuné de Boisgobey scrisse un seguito alla serie dei romanzi di Gaboriau con protagonista Lecoq: Vieillesse de Monsieur Lecoq. Nel cinema fu trasposto nel 1914 da Maurice Tourneur.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Il 22 febbraio 18…, che capitava ad essere l’ultima domenica di carnevale, verso le undici di sera, una squadra di agenti in borghese usciva dal posto di polizia dell’antica barriera d’Italia, in servizio di perlustrazione del vasto quartiere che andava dalla via di Fontainebleau alla Senna, dai bastioni esterni alle fortificazioni.
Quella zona comprendeva allora non pochi terreni incolti, che dopo la mezzanotte divenivano dominio di una turba di quei miserabili senza tetto e senza mestiere che temono persino le sommarie formalità dei piú poveri asili notturni. Vagabondi e pregiudicati vi si davano convegno, e, se la giornata era stata fruttifera, gozzovigliavano coi commestibili rubati alle mostre esterne delle botteghe. Quando poi avevano voglia di dormire, si insinuavano sotto le tettoie delle fabbriche o fra le rovine di qualche casupola abbandonata.

Scarica gratis: Il signor Lecoq di Émile Gaboriau.