Il mistero del naufragio (1920), Il naufragio (1932), Il relitto dell’Alcione (1950), Il relitto (1991),Il saccheggiatore di relitti (1993): tutti i titoli scelti per le edizioni italiane di The Wrecker (traduzione letterale “il demolitore” o “il recuperatore”), pur ponendo in primo piano di volta in volta l’evento scatenante, il protagonista o il “mistero”, creano comunque nel lettore l’aspettativa di un romanzo d’avventura ambientato in mare, che l’incipit non delude. Nel club di Taiohae, capitale delle isole Marchesi (Polinesia francese), è “l’ora dell’absinthe“, e i soci si affollano attorno al proprietario di uno schooner appena approdato, Loudon Dodd, “un uomo anziano e piuttosto corpulento”, tempestandolo di domande.
Le risposte telegrafiche di Dodd, accennando agli aspetti più eclatanti delle sue mirabolanti avventure, destano l’incredulità dei presenti, ed egli, a cena da Havens, il “famoso uomo bianco tatuato, il fenomeno di Taiohae”, inizia a rievocarle. Il seguito del romanzo, nella finzione letteraria, non è che la trascrizione, da parte di Dodd, di questo racconto.
«Il principio di questa storia è il carattere del mio povero padre.»
Trasportati di colpo dal Pacifico a Muskegon, nel Michigan, ci ritroviamo ora a leggere un romanzo di formazione, in cui Dodd narra in prima persona la propria giovinezza e i colpi di scena che le hanno impresso svolte radicali.
Un’offerta irrinunciabile lo salva dai detestati studi all’Accademia commerciale (voluti dal padre come quelli di Stevenson alla Facoltà di Ingegneria) e gli consente di trasferirsi a Parigi per votarsi all’arte, immergendosi nell’atmosfera bohémien del Quartiere Latino e mescolandosi agli artisti squattrinati bramosi di fama. Ma mentre Stevenson, ottenuta a fatica la laurea in Giurisprudenza, era finalmente riuscito a dedicarsi con successo alla sola letteratura, Dodd, meno talentuoso e determinato, per sopravvivere deve ricorrere all’aiuto del padre milionario.
Un nuovo evento imprevisto chiude la felice parentesi e costringe Dodd a lasciare Parigi prima per Edimburgo, poi per San Francisco, dove si dedica con l’amico Tim Pinkerton ai più svariati affari, come il noleggio di uno schooner destinato ad esportare armi in Messico ed importarne sigari, la vendita di bottiglie di brandy o di saponette, il commercio di opere d’arte…, cui Dodd partecipa malvolentieri, poco interessato e timoroso di essere coinvolto in imprese avventate e fallimentari, oltre che illegali.
«Nei tempi di Parigi, solevo dare a Pinkerton un mio nomignolo particolare: ‘l’irreprimibile’ lo chiamavo nei momenti di amarezza; e ancora una volta il nome mi salì alle labbra. Quale nuovo guaio mi stava preparando? Quale nuova caldaia stava facendo bollire il mio benigno stregone per la sua vittima? Sotto la stella di qual nuovo intrigo stavo per porre piede sulla costa del Pacifico? La mia fede in quell’uomo era completa, e la mia diffidenza perfetta. Sapevo che mai avrebbe avute cattive intenzioni a mio riguardo: ma ero altrettanto convinto che, secondo le mie intenzioni, non avrebbe mai agito giusto.»
Ma proprio quando agli “intrighi” arride il successo e Dodd, ben poco propenso a proseguire su questa via, sta meditando di ritornare a Parigi e all’amata pittura, un nuovo affare imprime un’altra svolta alla sua vita. Per noi lettori, un nuovo cambiamento di scena, e non solo: dal romanzo di formazione passiamo a quello d’avventura. Il tempo della narrazione si dilata e tende a coincidere con quello della storia nella rievocazione del viaggio in mare di Dodd, “uomo di terraferma” divenuto, come lo definisce il capitano Nares, il “sopraccarico” dello schooner Norah Creina. La sua vita riecheggia anche ora le tappe di quella di Stevenson, stabilitosi ad Abemama, una delle isole Gilbert, durante la stesura del romanzo. E attraverso le parole di Dodd è lo stesso Stevenson che esprime tutto il suo amore per il mare e per quelle isole che non lascerà più.
«Non saprei dire che cosa avvenisse in me; se fosse l’impressione di pochi bei giorni, inconsciamente prolungati; o se quella sensazione nascesse solo più tardi, nel viaggio verso Honolulu. Una cosa è certa, ed è che prima ancora ch’io avessi visto un’isola degna della sua fama, potevo già datare la mia fedeltà ai mari del Sud. Persino il pallido mare mi sembra bello, sotto quei cieli; e quando soffia il vento, non conosco terra più bella del ponte d’uno schooner.»
L’arrivo all’isola di Middle Brooks dà inizio ad un’affannosa caccia al tesoro, non l’oro del capitano Flint ne L’isola del tesoro, ma un altrettanto prezioso carico di oppio che dovrebbe trovarsi in un brigantino dai mille segreti, il Flying Scud, naufragato nei pressi dell’isola ed acquistato a caro prezzo da Pinkerton e Dodd. Quest’ultimo, mentre con il capitano Nares lo esplora alla ricerca di oppio e di risposte, trova una foto dell’equipaggio e scopre con sorpresa che le persone non sono le stesse che nel saloon del porto di San Francisco si erano presentate come il capitano Trent e i superstiti del Flying Scud e lui aveva ritratto sul suo album.
«Mentre continuavo a guardare, un fatto mi scosse; e, come nebbia che dilegua al vento, caddero dai miei occhi e sonno e stanchezza: il gruppo che i miei occhi allarmati vedevano distintamente era un gruppo di estranei. […] la figura che mi ispirava forse la più grande curiosità era quella segnata “E. Goddedaal, primo ufficiale”. Quegli, che non avevo mai veduto, corrispondeva forse al vero; e poteva essere il perno, la chiave del mistero.».
Il romanzo di formazione, divenuto d’avventura, si trasforma ora in poliziesco e Dodd in un investigatore dilettante all’inseguimento dell’irraggiungibile Goddedaal, la chiave del “mistero”. Quando finalmente a Barbizon, luogo di ritrovo di pittori ed artisti ai margini della foresta di Fontainebleau, riesce ad incontrare il misterioso Goddedaal, alias Carthew Norris, alias Madden, e a farsi raccontare la sua storia, esce di scena, cedendo a lui il ruolo di protagonista e mantenendo solo quello di narratore, ora in terza persona.
Nell’epilogo, una lettera indirizzata all’amico Will Hicok Low, Stevenson riconduce le vicende a racconti ascoltati dai marinai sulla nave Equador, diretta verso le isole Gilbert, che avrebbero stimolato a tal punto la fantasia sua e del figliastro da far concepire loro la trama del romanzo ancor prima di sbarcare; ambienti e vicende parigini sarebbero stati invece ispirati dall’esperienza di vita dello stesso Stevenson, condivisa con l’amico, un pittore statunitense che come lui aveva frequentato a Parigi gli ambienti bohémien:
«non sarà la prima volta che udrete parlare dei pericoli del vino di Roussillon. Foglie morte del Bas Breau, echi della trattoria di Lavenue e di rue Racine, ricordi di un passato comune, siano queste le tappe che segnerete leggendo. E se null’altro troverete che vi piaccia in questa storia, respirerete almeno per una volta ancora l’aria della nostra gioventù.»
Nella stessa lettera, Stevenson, usando la prima persona plurale dal momento che firma il romanzo, pubblicato nel 1892, assieme al figliastro Lloyd Osbourne, spiega anche il motivo della curiosa commistione, in Il saccheggiatore di relitti, di diversi sottogeneri del romanzo:
«Da tempo già ci attirava e a vicenda ci ripugnava la forma moderna del romanzo poliziesco, a base misteriosa, la quale consiste nel cominciare il tema prescelto da un punto qualsiasi, il quale è tutto meno che il principio, per finire in un punto qualsiasi purché non ne sia la conclusione; ci attirava per il singolare interesse ch’esso presenta una volta ultimato, e per le singolari difficoltà che presuppone l’attuazione; e ci ripugnava quell’apparenza di insincerità e di superficialità di tono che sembrano costituirne l’inevitabile sfondo.»
Da qui la decisione di far precedere il nucleo centrale de Il saccheggiatore di relitti, la “storia misteriosa”, da “un romanzo di costumi e di caratteri”, che consenta di far entrare in scena gradualmente i diversi personaggi, narrando gli antefatti della loro storia per meglio delinearne il carattere.
«se […] il nocciolo della storia fosse stato rivelato a poco a poco, e alcuni dei personaggi introdotti, per così dire, prima dell’inizio; se si fosse cominciato il libro nel tono di un romanzo di costumi e di caratteri e trattato succintamente, tali difetti verrebbero a essere sminuiti e la nostra storia misteriosa sarebbe apparsa più aderente alla vita.»
Un romanzo complesso ed avvincente, in cui ci ritroviamo ad inseguire il protagonista, di volta in volta studente, artista, affarista malgré lui, guida turistica, marinaio, investigatore e infine proprietario di uno schooner, da Taiohae a Muskegon, Parigi, Edimburgo, San Francisco, Middle Brooks, Honolulu, Calistoga, New York, Stallbridge-Minster, per arrivare infine a Barbizon e lasciare il posto a un altro protagonista e a un altro viaggio…
La traduzione è a cura di Gian Dàuli, pseudonimo di Giuseppe Ugo Nalato (1884-1945), le cui note biografiche, curate da Paolo Alberti, si trovano qui https://liberliber.it/autori/autori-d/gian-dauli/
Sinossi a cura di Mariella Laurenti
Dall’incipit del libro:
Erano circa le tre d’un pomeriggio d’inverno. A Taiohae, capitale e porto delle isole Marchesi, soffiava un vento impetuoso e presago di burrasche; sul lido sassoso i marosi rumoreggiavano; e lo schooner da guerra, di quaranta tonnellate, che portava la temuta bandiera della Francia tra quel gruppo d’isole, tuttora abitate da cannibali, andava ad ancorarsi sotto Prison Hill. Sulla circostante chiostra dei monti le nuvole pendevano basse e scure; nel primo mattino era caduta la pioggia, quella pioggia tropicale che, in quanto a violenza, è una vera tromba d’acqua; e il verde cupo della montagna appariva ancora striato dai numerosi fili argentei dei torrenti.
In quelle isole dal clima torrido e salubre, l’inverno non è che una espressione verbale. La pioggia non aveva punto rinfrescato l’aria, né il vento rinvigoriva gli abitanti di Taiohae. Laggiù in fondo, il comandante stava dando alcuni ordini nel giardino della residenza, dietro a Prison Hill; e ai giardinieri, che erano tutti detenuti, non restava se non continuare a lavorare, all’ora in cui tutti gli altri abitanti sonnecchiavano e si prendevano un po’ di riposo: Vaekehu, la regina indigena, nella sua linda capanna sotto le palme sussurranti al vento, il commissario tahitiano nella sua imbandierata residenza ufficiale, i mercanti nelle loro botteghe, a quell’ora deserta, persino il domestico del club, dormicchiava col capo sul banco del bar, dietro cui facevano bella mostra la carta geografica del mondo intero e le tabelle degli ufficiali di Marina.
Scarica gratis: Il saccheggiatore di relitti di Robert Louis Stevenson e Lloyd Osbourne.